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Sei un lavoratore autonomo o titolare di un’attività di impresa e hai ricevuto un avviso di accertamento? Hai bisogno di fare chiarezza circa l’atto che ti è stato notificato?
Ti invito a proseguire la lettura di quest’articolo: analizzeremo insieme la figura dell’accertamento analitico-induttivo, l’emissione del relativo avviso di accertamento e gli strumenti di tutela che hai a disposizione.
Per accertamento analitico-induttivo si intende quel controllo esercitato dall’Agenzia delle Entrate circa le dichiarazioni presentate dai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili.
Infatti, per verificare che le dichiarazioni fiscali presentate dai contribuenti corrispondano al vero, il Fisco può ricorrere a diversi strumenti d’indagine. Questi si diversificano a seconda del soggetto sottoposto a controllo.
I soggetti tenuti alle scritture contabili, quindi i lavoratori autonomi e titolari di attività d’impresa, possono essere sottoposti ad accertamento analitico-induttivo; trattasi di controllo esercitato sia ai fini delle imposte dirette che ai fini IVA.
Anzitutto vediamo in che cosa consiste.
1. Accertamento analitico-induttivo
Si intende quell’attività di verifica fiscale compiuta dall’Amministrazione Finanziaria sulla base di presunzioni.
Questo significa che il Fisco non ha necessità di avere prove certe per riconoscere attività non dichiarate o disconoscere quelle dichiarate. Ciò accade perchè assumono rilevanza anche gli indizi ai fini dei controlli.
Infatti ai sensi dell’art. 39 del DPR 600/1973, l’Agenzia delle Entrate può riconoscere la presenza di irregolarità nelle dichiarazioni dei contribuenti anche non avendo prove certe, ma basandosi su indizi gravi precisi e concordanti.
Questi possono derivare da documenti o elementi probatori emersi nel corso delle indagini, oppure da indici statistici che valutano i presunti ricavi-corrispettivi del contribuente.
A differenza dell’accertamento induttivo c.d. puro, in questo caso le scritture contabili risultano complessivamente attendibili.
Tuttavia, da una loro dettagliata analisi, emergono documenti o elementi probatori che fanno sospettare delle irregolarità. E’ sufficiente la presenza di indizi gravi, precisi e concordanti per qualificare una presunzione di evasione.
Gli elementi presuntivi non devono emergere necessariamente da documentazioni contabili, ma possono rilevare anche dal ricorso del Fisco a strumenti matematico-statistici.
Infatti, l’Ufficio può utilizzare strumenti di calcolo statistico per quantificare le presunte attività e passività del contribuente. Lo scostamento tra la dichiarazione e l’indice statistico fa presumere una violazione delle norme fiscali.
Questi strumenti sono gli studi di settore e gli ISA.
1.1. Gli studi di settore
Erano uno strumento statistico con cui, fino al periodo d’imposta 2018, si realizzava una c.d. standardizzazione delle attività di impresa.
L’obiettivo era quello di individuare presunti ricavi per diverse attività imprenditoriali. Nello specifico, si suddividevano in gruppi omogenei le imprese e successivamente si calcolavano i loro ricavi ipotetici. Questi si ottenevano considerando le specifiche caratteristiche di ogni gruppo.
I calcoli presuntivi venivano poi confrontati con le dichiarazioni dei contribuenti.
Il semplice scostamento tra quanto previsto dagli studi di settore e la dichiarazione del contribuente costituiva presunzione semplice fondante avviso di accertamento.
A partire dal periodo d’imposta 2018 questi sono stati sostituiti dai c.d. Indici Sintetici di Affidabilità fiscale.
1.2. L’Indice Sintetico di Affidabilità Fiscale (ISA)
Anche con questo strumento si presume l’esistenza di un certo numero di ricavi a seconda delle caratteristiche dell’impresa.
In questo caso si attribuisce un valore in scala al contribuente, in base al confronto tra la sua dichiarazione e le sue presunte attività. Trattasi di un punteggio variabile da 1 a 10 che è indicativo del suo c.d. grado di affidabilità fiscale.
Sta al contribuente ottenere questo punteggio, con il ricorso ad un software messo a disposizione dall’Ufficio.
Infatti, tramite l’apposito software il contribuente ricava il giudizio di affidabilità, che dovrà essere poi inserito in un modello integrante la sua dichiarazione.
Nel caso di omissione della comunicazione, il Fisco concede un termine ultimo per poter adempiere. Alla scadenza del termine, il contribuente può essere soggetto ad una sanzione pecuniaria fino ad euro 2.000,00 ed essere convocato in contraddittorio.
In base al punteggio ottenuto vengono riconosciuti una serie di benefici al contribuente, per esempio:
- la riduzione di almeno un anno dei termini di decadenza per l’accertamento;
- l’esclusione dell’accertamento sintetico;
- l’esclusione degli accertamenti basati su presunzioni semplici;
Il contribuente può migliorare l’indice di affidabilità, e godere dei relativi benefici.
Nello specifico può:
- integrare la dichiarazione con elementi positivi non risultanti dalle scritture contabili;
- correggere anomalie evidenziate dal sistema;
Laddove invece vi siano bassi indici di affidabilità fiscale, l’Agenzia delle Entrate deve convocare il contribuente in contraddittorio.
2. Il contraddittorio
Con l’accertamento analitico-induttivo è obbligatorio l’avvio del contraddittorio con il contribuente. Infatti, a differenza di altri generi di indagine, l’Ufficio non può emettere avvisi di accertamento automatici.
Questo accade perché il Fisco non ha elementi probatori certi circa la sua colpevolezza, ma solo indizi.
L’obbligatorietà del contraddittorio costituisce una garanzia per il contribuente che già in questa fase può difendersi. L’obiettivo del contraddittorio è proprio quello di verificare se i ricavi presunti esistano nel caso concreto o se vi siano ragioni che giustificano dei ricavi inferiori.
Sta al contribuente, infatti, dimostrare le circostanze per cui i ricavi o compensi presunti non sono stati realmente conseguiti.
3. Avviso di accertamento
Laddove non siano ritenute sufficienti le motivazioni avanzate dal contribuente in contraddittorio, l’Agenzia delle Entrate può emettere un avviso di accertamento.
Questo si baserà sulle presunzioni oggetto dell’accertamento e su eventuali elementi emersi nel corso del contraddittorio.
Il contribuente ha il diritto di impugnare l’avviso di accertamento e di difendersi, presentando ricorso. In questo dovrà inserire tutte le documentazioni e gli elementi probatori che ha a disposizione, a sostegno della propria posizione.
La difesa del contribuente può basarsi sia sulle contestazioni che concretamente gli vengono mosse, che sulla presentazione dell’avviso di accertamento. Infatti può impugnare l’atto anche per la presenza di c.d. vizi di legittimità.
Come ogni avviso di accertamento, anche quello c.d. analitico-induttivo deve rispettare una serie di formalità, ai sensi dell’art. dell’art. 7 della legge 212/2000. Laddove manchino questi requisiti, l’avviso di accertamento è nullo.
Ai sensi dell’art. 21-septies della l. 241/1990 si prescrive la nullità del provvedimento che:
- manchi degli elementi essenziali. Per esempio quando l’atto non è sottoscritto, è privo di intestazione o manchi di adeguata motivazione;
- sia emesso in carenza di potere da parte del Fisco;
- rientri in altri casi di nullità previsti dalla legge.
La stessa legge, all’art. 21-octies, disciplina che ogni atto viziato da violazione di legge sia annullabile.
Questo è il caso in cui, per esempio, venga emesso un avviso di accertamento senza previo contraddittorio con il contribuente.
Anche in tutti questi casi il contribuente ha la possibilità di impugnare l’avviso di accertamento, presentando apposito ricorso di fronte alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado competente.
4. Il visto pesante
Il contribuente ha la possibilità di difendersi ancora prima che l’Ufficio avvii un accertamento nei suoi confronti. Infatti, può ricorrere a degli strumenti protettivi che garantiscano la validità delle sue dichiarazioni.
Uno meccanismo di tutela del contribuente c.d. ex ante, quindi prima dell’avvio dell’accertamento, è la presentazione del visto pesante.
Questo è un documento rilasciato dai responsabili dei Caaf a seguito di una speciale procedura di asseverazione.
In buona sostanza, con il visto pesante si attesta la congruità dei ricavi dichiarati con quelli desumibili da ISA e studi di settore; lo stesso inoltre garantisce che tutto quanto dichiarato all’Agenzia delle Entrate corrisponde alla contabilità e documentabilità dell’impresa.
Presentando il visto pesante insieme alla dichiarazione, si producono due importanti conseguenze:
- si limita la possibilità che il Fisco avvii l’accertamento induttivo, entro la fine del terzo anno successivo alla presentazione della dichiarazione;
- in caso di emissione di avviso di accertamento, la presentazione del ricorso impedisce la riscossione fino all’emissione della sentenza di primo grado.
5. La giurisprudenza rilevante della Corte di Cassazione in materia di accertamento analitico-induttivo
Cass. civ. Sez. V Ord., 18/06/2019, n. 16259.
La discordanza tra i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62 bis dello stesso d.l. n. 331 cit., autorizza l’ufficio finanziario, allorché ravvisi siffatte “gravi incongruenze”, a procedere all’accertamento induttivo anche fuori delle ipotesi previste dall’art. 54 e, in particolare, anche in presenza di una contabilità formalmente in regola, con conseguente ammissibilità dell’accertamento induttivo oltre le ipotesi già previste dal successivo art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972. I cosiddetti studi di settore introdotti dagli artt. 62 bis e 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993, direttamente derivanti dai “redditometri” o “coefficienti di reddito e di ricavi” previsti dal d.l. 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154, idonei a fondare semplici presunzioni, sono, infatti, da ritenere supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti, che possono essere utilizzati dall’ufficio anche in contrasto con le risultanze di scritture contabili regolarmente tenute, finché non ne sia dimostrata l’infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente.
Cass. civ. Sez. V Sent., 13/06/2012, n. 9642.
La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ‘ex lege’ determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards’ in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli ‘standards’ al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte.
Cass. civ. Sez. V Ord., 31/10/2018, n. 27847.
L’accertamento induttivo fondato sul mero divario, a prescindere dalla gravità dello stesso, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore è legittimo solo a decorrere dal 1° gennaio 2007, in base all’art. 1, comma 23, della l. n. 296 del 2006, che non ha portata retroattiva, trattandosi di norma innovativa e non interpretativa, in quanto, con l’aggiunta di un inciso, ha soppresso il riferimento alle “gravi incongruenze”, prima operato tramite il rinvio recettizio all’art. 62-sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993, conv., con modif., nella l. n. 427 del 1993.
Cass. civ. Sez. V Ord., 30/10/2018, n. 27622.
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali e da informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescritti dall’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, perché nella nozione di scritture contabili, disciplinate dagli artt. 2709 e ss. c.c., devono ricomprendersi tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, spettando poi al contribuente l’onere di fornire adeguata prova contraria.
Cass. civ. Sez. V Ord., 23/05/2018, n. 12680.
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali e da informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescritti dall’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, perché nella nozione di scritture contabili, disciplinate dagli artt. 2709 e ss. c.c., devono ricomprendersi tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, spettando poi al contribuente l’onere di fornire adeguata prova contraria.(Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata che aveva ritenuto assolta detta prova richiesta al contribuente in virtù di una perizia giurata di parte, senza fornire alcuna motivazione sulle ragioni della prevalenza di quest’ultima sulla prova indiziaria).
Cass. civ. Sez. V Sent., 30/07/2014, n. 17298.
In tema di IVA, il mancato rinvenimento, nei locali in cui il contribuente esercita la sua attività, di beni, risultanti in carico all’azienda in forza di acquisto, importazione o produzione, pone, ai sensi dell’art. 53 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e dell’art. 2728 cod. civ., una presunzione legale di cessione senza fattura dei beni medesimi, che può essere vinta solo se il contribuente fornisca la prova di una diversa destinazione, e che legittima il ricorso, da parte dell’ufficio, al metodo di accertamento induttivo ex art. 55, secondo comma, n. 2, del citato d.P.R. n. 633 del 1972.
Cass. civ. Sez. V Sent., 13/06/2012, n. 9641.
La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards’ in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards’ al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invitoal contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte.
Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord., 30/03/2012, n. 5213.
In caso di omessa dichiarazione è facoltà dell’Amministrazione finanziaria ricorrere ad ogni e qualsiasi elemento, dato o notizia comunque raccolto ed avvalersi di indizi e presunzioni anche sfornite dei caratteri di gravità, precisione e concordanza al fine di determinare il reddito imponibile del contribuente sul quale grava l’onere di allegare fatti impeditivi, modificativi od estintivi della pretesa tributaria fatta valere, non rilevando la detenzione dei registri obbligatori per l’IVA da parte dell’ufficio impositore, circostanza che rende solo più gravoso assolvere detto onere.
Cass. civ. Sez. V Sent., 16/11/2011, n. 24051.
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. Ne consegue che detta “contabilità in nero”, per il suo valore probatorio, legittima di per sé, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli. (Fattispecie relativa alla ricostruzione di redditi di persona fisica derivanti da collaborazione coordinata e continuativa in favore di una società, operata mediante il ricorso ai “brogliacci” reperiti presso la sede di quest’ultima, nonché presso l’abitazione dell’amministratore e dei soci).
Cass. civ. Sez. V, 13/10/2011, n. 21101.
Le gravi inesattezze nella tenuta della contabilità protratte per parecchi mesi, delle quali non sia stata fornita una chiara spiegazione costituisce circostanza sufficiente a legittimare l’azione accertatrice con metodo induttivo da parte dell’amministrazione secondo i parametri legali indicati dalla giurisprudenza di legittimità.
Cass. civ. Sez. V Sent., 14/02/2007, n. 3223.
In tema di accertamento dell’IVA, la disciplina introdotta dall’art. 12 del d.l. 2 marzo 1989, n. 69, convertito in legge 27 aprile 1989, n. 154, non esclude l’applicazione dei coefficienti presuntivi per la determinazione induttiva dell’ammontare dei ricavi, dei compensi e del volume d’affari, sotto il profilo soggettivo, ai rappresentanti di commercio, né, sotto il profilo oggettivo, al tipo e alla natura dell’attività da essi svolta, in quanto la nuova procedura rende legittimo, nei confronti dei soggetti con contabilità semplificata, sia l’accertamento analitico contabile del reddito imponibile, sia l’accertamento induttivo extracontabile. I coefficienti presuntivi di reddito rappresentano, infatti, un valore minimale nella determinazione del volume d’affari, che si pone alla base dell’accertamento del reddito in un’ottica statistica, non astratta, bensì riferita al singolo settore economico; la loro applicazione pone una presunzione legale relativa, come tale superabile con la prova contraria – diretta a dimostrare fatti e circostanze specifiche che concretamente rivelino il conseguimento di un ammontare di ricavi inferiore -, la cui previsione è enfatizzata dall’invio al contribuente del questionario, con il quale vengono richiesti chiarimenti per iscritto, nell’ottica della disciplina collaborativa disegnata dallo stesso art. 12, tutt’altro che pregiudizievole all’esercizio del diritto di difesa.
Cass. civ. Sez. V, 26/01/2007, n. 1715.
In tema di accertamento delle imposte sul reddito, l’apprezzamento in ordine alla gravità, precisione e concordanza degli indizi posti a fondamento dell’accertamento effettuato con metodo presuntivo attiene alla valutazione dei mezzi di prova, ed è pertanto rimesso in via esclusiva al giudice di merito, salvo lo scrutinio riguardo alla congruità della relativa motivazione.
6. Consulenza e assistenza legale per il tuo caso
L’accertamento analitico-induttivo è un particolare metodo di indagine usato dal Fisco e basato su presunzioni, anche semplici.
E’ rivolto solo ai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, quindi lavoratori autonomi e titolari d’impresa.
Di fronte a queste attività, il contribuente può difendersi dimostrando la regolarità delle proprie dichiarazioni e la loro compatibilità con le scritture contabili.
A volte può essere utile chiedere ai Caf un c.d. visto pesante per tutelare la propria posizione. In altri casi è sufficiente esporre le proprie difese in contraddittorio con il Fisco; mentre in alcune ipotesi è necessario ricorrere all’impugnazione dell’avviso di accertamento presentando ricorso.
E’ importante analizzare tutte le possibilità messe a disposizione dal legislatore, al fine di optare per quella più adatta alla propria situazione.
Se hai bisogno di maggiori informazioni sull’istituto o circa le possibili strategie difensive, ti invito a chiedere una consulenza o assistenza legale ai Professionisti di ObiettivoProfitto.it compilando il Modulo che trovi in questa pagina.