Accertamento analitico: come difendersi

Periodicamente, l’Agenzia delle Entrate avvia una serie di indagini per verificare che i contribuenti dichiarino e versino l’intero imponibile. In genere gli accertamenti cambiano in base ai contribuenti e ai redditi che sono oggetto di controllo.

Tuttavia tra tutti i metodi di accertamento, quello analitico può essere definito come universale.

Infatti, può essere impiegato dall’Ufficio per esercitare controlli fiscali nei confronti di tutti i contribuenti e in riferimento sia alle imposte dirette che a fini IVA.

E’ definito analitico proprio perché si riferisce analiticamente alle singole componenti di reddito del contribuente (art. 38 del DPR 600/1973).

La caratteristica principale di quest’attività di indagine consiste nel fatto che la ricostruzione dell’imponibile avviene in base alle sue singole componenti. In buona sostanza laddove siano note le fonti dell’imponibile, l’Ufficio ricalcola minuziosamente l’intero reddito per verificarne la corrispondenza con le dichiarazioni.

Se hai bisogno di maggiori informazioni circa questo metodo di indagine e in merito alle difese che hai a disposizione, ti invito a proseguire la lettura di questo articolo. Ci occuperemo del metodo analitico di verifica fiscale in tutte le sue varianti, e degli strumenti di tutela a disposizione del contribuente.

1. Accertamento analitico

Consente di ricalcolare la base imponibile sia per le imposte dirette, che per le imposte indirette a fini IVA.

Questo genere di controllo si basa sulla dichiarazione o sulle sue scritture contabili presentate dal contribuente. Infatti è proprio a partire da queste che l’Ufficio ricalcola l’intero imponibile.

In particolare, ai fini delle imposte dirette la determinazione della base imponibile si ottiene con:

  • il ricalcolo di singole categorie di redditi;
  • lo scomputo di alcune detrazioni o deduzioni indicate in dichiarazione, che in realtà non sono dovute;

L’accertamento a fini IVA, quindi rivolto solo ai lavoratori autonomi o imprenditori, invece si basa sui dati riscontrati nelle scritture contabili. Quando:

  • emergono prove dirette circa l’occultamento della base imponibile, con una dichiarazione non corrispondente alla situazione reale;
  • si riscontrino degli errori nell’applicazione di norme fiscali;

E’ utilizzabile al fine di verificare le imposte dovute dai contribuenti che siano persone fisiche o soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili.

Vediamone insieme le caratteristiche.

1.1. Contribuenti non soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili

Trattasi di accertamento limitato alla verifica delle imposte sui redditi, rivolto a:

  • persone fisiche non soggette ad IVA;
  • enti non commerciali;
  • società semplici e simili;

L’Ufficio può ricalcolare l’imponibile del contribuente in base ad una serie di dati emergenti dalle dichiarazioni fiscali o ricavate attraverso l’impiego dei suoi incisivi poteri istruttori. Tra questi rientra, per esempio, l’accertamento bancario.

Infatti nei confronti delle persone fisiche, ai sensi dell’art. 38 del DPR 600/1973, e ai fini del ricalcolo l’Ufficio può utilizzare:

  • gli elementi contenuti in dichiarazione o nelle dichiarazioni precedenti;
  • i dati raccolti tramite l’Anagrafe tributaria o l’impiego dei poteri istruttori;
  • presunzioni basate su indizi gravi, precisi e concordanti riferite ad una specifica componente di reddito;

L’art. 40 del DPR 600/1973 disciplina l’accertamento nei confronti delle società semplici e degli enti non commerciali. A questi si applicano le regole previste per le persone fisiche. E’ previsto un accertamento unitario rivolto all’IRES per la società e all’IRPEF per i soci.

1.2. Soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili

In questo caso l’accertamento è utile sia alla ricostruzione della base imponibile per le imposte dirette, che a fini IVA.

Quanto alle imposte dirette, per poter ricorrere ad accertamento analitico, è necessario che vi sia l’attendibilità delle scritture contabili. Infatti, nel corso delle verifiche dei soggetti obbligati alla tenuta della contabilità, l’Ufficio deve sempre preliminarmente accertarsi che queste siano utilizzabili.  

A seconda dell’esito di questa prima verifica, potrà ricorrere ad accertamento analitico, induttivo o analitico-induttivo. Come per l’analitico-induttivo, anche nell’accertamento analitico c.d. puro deve esserci una generica attendibilità delle scritture contabili.

L’Agenzia delle Entrate ricorre all’accertamento analitico quando:

  • non sono state correttamente applicate le disposizioni fiscali circa il reddito d’impresa o da lavoro autonomo;
  • in presenza di documentazione scritta o dichiarazioni verbali gli elementi indicati in dichiarazioni debbano qualificarsi come falsi e/o incompleti;
  • manca una corrispondenza tra gli elementi dichiarati e quelli risultanti dal bilancio;

L’accertamento svolto nei confronti di società di persone include sia i redditi imputabili alla società che quelli imputabili ai soci, non potendo essere disgiunti. Ci si trova di fronte, quindi, ad un’unica base imponibile.

Rispetto alle verifiche a fini IVA invece gli elementi da rettificare possono emergere dal confronto tra quanto dichiarato e quanto emerge dalle annotazioni dei registri o dalle informazioni ricavate con l’utilizzo dei poteri istruttori. Quando dai controlli risulta un’imposta inferiore a quella dovuta o in eccesso con somme detraibili, l’Ufficio procede ad una rettifica.

Quando queste irregolarità risultano in modo certo da prove documentali o altri dati in possesso del Fisco, questo procede alla rettifica indipendentemente dall’ispezione della contabilità.

L’Ufficio procede alla rettifica di quanto dichiarato dal contribuente, quando siano riscontrate delle inesattezze. Ne apporta variazioni per la corretta tassazione.

La rettifica viene notificata al contribuente con un avviso di accertamento.

2. Avviso di accertamento

E’ l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate comunica al contribuente di aver riscontrato delle irregolarità nella sua dichiarazione e la relativa rettifica. Contiene la reale base imponibile e le sanzioni a cui il contribuente è soggetto.

A fronte di un avviso di accertamento il contribuente deve scegliere quale strumento di tutela impiegare per tutelare i propri interessi.

Laddove decida di non opporsi all’accertamento del Fisco, può procedere con acquiescenza.

Con questa il contribuente decide di pagare le imposte accertate e le relative sanzioni, senza opporsi. Colui che decida di collaborare in questi termini ha diritto alla riduzione di un terzo delle sanzioni applicategli.

A contrario, può essere che invece il contribuente voglia contestare solo l’imponibile accertato, non opponendosi alle sanzioni.

 In questo caso è prevista la riduzione di un terzo delle sanzioni che vengono tempestivamente versate. Successivamente dovrà essere presentato un ricorso avverso l’avviso di accertamento per chiedere l’annullamento delle sole imposte.

A pena di nullità l’avviso di accertamento deve contenere anche tutti gli elementi su cui si fonda, che sono contestabili dal contribuente.

Infatti questo può tutelare la propria posizione impugnando l’avviso di accertamento e dimostrando la correttezza della propria dichiarazione o delle proprie scritture contabili. In questo modo si procede con ricorso avverso l’intero avviso di accertamento comprensivo di sanzioni di fronte alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado territorialmente competente.

3. La giurisprudenza rilevante della Corte di Cassazione in materia di accertamento analitico

Cass. civ. Sez. V Ord., 26/09/2022, n. 28036.

Costituisce presupposto per procedere all’accertamento analitico – induttivo la complessiva inattendibilità della contabilità, da valutarsi sulla base di presunzioni ex art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600, del 1973, alla stregua di criteri di ragionevolezza, ancorché le scritture contabili siano formalmente corrette. Dunque neppure la tenuta formalmente regolare della contabilità impedisce l’accertamento analitico – induttivo, quando la contabilità mostri inattendibilità, come nell’ipotesi in cui l’attività di impresa del contribuente risulti inspiegabilmente antieconomica.

Cass. civ. Sez. V, 08/07/2022, n. 21656.

Se è vero che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento notificato al contribuente, in tale sede quest’ultimo ha l’onere di provare la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame.

Cass. civ. Sez. V, 14/04/2022, n. 12127.

L’accertamento induttivo puro svolto ai sensi dell’art. 39, secondo comma, D.P.R. n. 600 del 1973, consente all’Amministrazione finanziaria di prescindere del tutto dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili e di determinare l’imponibile sulla base di elementi meramente indiziari, ancorché inidonei ad assurgere a prova presuntiva ai sensi degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., ma costituenti presunzioni supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, quando i dati in esse contenuti siano assolutamente inattendibili e tali da inficiare l’utilizzabilità anche di quelli apparentemente regolari, ponendo a carico del contribuente l’onere di fornire la prova contraria, ossia di dimostrare di non avere conseguito il reddito accertato ovvero di avere conseguito un reddito inferiore a quello indicato dall’ufficio.

Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord., 04/03/2022, n. 7169.

In tema di rettifica dei redditi d’impresa, l’accertamento analitico induttivo presuppone, a differenza di quello induttivo “puro”, che la documentazione contabile sia nel complesso attendibile, sicché la ricostruzione fondata sulle presunzioni semplici, di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600 del 1973, non ha ad oggetto il reddito nella sua totalità, ma singoli elementi attivi e passivi dei quali risulta provata aliunde la mancanza o l’inesattezza.

Cass. civ. Sez. V Ord., 31/01/2022, n. 2847.

Il curatore fallimentare, in quanto detentore delle scritture contabili dell’impresa assoggettata a fallimento, ha l’onere di fornire informazioni all’amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 in risposta a questionari, ancorché precedentemente inviati all’imprenditore “in bonis”, traendo tale onere fondamento nella disponibilità da parte del curatore delle indicate scritture, nonché in quello più generale di esibizione di quest’ultime a chi ne abbia diritto, salvo che il curatore o l’imprenditore “in bonis” dimostrino di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici, nel termine concesso, per causa a loro non imputabile.

Cass. civ. Sez. V Sent., 16/11/2021, n. 34586.

In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il termine dilatorio di sessanta giorni stabilito dall’art. 12, comma 7, st.contr. – che deve necessariamente intercorrere tra il rilascio al contribuente del verbale di chiusura delle operazioni (accessi, ispezioni o verifiche eseguite nei locali destinati all’esercizio di attività professionali o commerciali) e l’emanazione del relativo avviso di accertamento – trova applicazione anche nel caso in cui l’accesso avvenga al di fuori della sede aziendale presso persona diversa dal contribuente, detentrice delle scritture contabili e sua mandataria, ponendosi in questa ipotesi a carico del contribuente un onere di collaborazione con l’Ufficio verificatore.

Cass. civ. Sez. V Ord., 04/11/2021, n. 31620.

In tema di accesso nei locali aziendali ai fini IVA, la sottoscrizione del verbale da parte del contribuente o da chi lo rappresenta ai fini dell’art. 52, comma 6, del d.P.R. n. 633 del 1972, può ben provenire dal professionista incaricato delle scritture contabili ed essere da questi apposta sul verbale anche al di fuori dei locali aziendali, essendo il predetto professionista mandatario del contribuente investito di un onere di collaborazione con l’ente verificatore.

Cass. civ. Sez. V Ord., 24/06/2021, n. 18211.

In tema di accertamento dell’IVA e delle imposte sui redditi, il rilievo di ammanchi di beni sulla base di scritture contabili non obbligatorie esclude l’applicabilità della disciplina dettata dal d.P.R. n. 441 del 1997, in materia di presunzioni legali di cessione e di acquisto di beni, la quale presuppone che gli ammanchi siano riscontrati a seguito di un inventario fisico dei beni o di un confronto basato su documentazione contabile obbligatoria; nondimeno la rettifica delle dichiarazioni fiscali può avvenire anche sulla base di presunzioni semplici dotate dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., in quanto queste possono essere desunte anche da documentazione contabile non obbligatoria tenuta dal contribuente e rinvenuta dai verificatori ovvero spontaneamente esibita in sede di verifica (nella specie, costituita da prospetti inventariali volontariamente redatti dalla contribuente).

Cass. civ. Sez. V Ord., 17/06/2021, n. 17244.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, in violazione dell’art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, si determina un ostacolo nell’analisi contabile del fisco sicché ne discendono l’incompletezza e l’inattendibilità delle scritture contabili, che giustificano anche l’accertamento induttivo puro ex art. 39, comma 2, lett. d), del medesimo d.P.R. e il ricorso alle presunzioni cc.dd. supersemplici, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Pertanto, ove il contribuente non abbia assolto – già in sede di accesso, ispezione o verifica – l’onere di mettere a disposizione degli accertatori le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario, egli è tenuto ad esibirle, al più tardi, in sede contenziosa, onde consentire al giudice di merito, ferma la legittimità del metodo dell’accertamento, di valutarne l’attendibilità.

Cass. civ. Sez. V Ord., 14/04/2021, n. 9794.

Le scritture contabili obbligatorie, ai sensi del D.P.R. n. 600/1973 e di altre leggi tributarie o speciali devono essere conservate sino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo di imposta, anche oltre il termine stabilito dall’art. 2220 c.c. o da altre leggi tributarie. Detta norma non può essere intesa nel senso che l’obbligo di conservazione, scaduto il periodo decennale, si protrae sino alla scadenza dei termini anzidetti per una durata che dipende esclusivamente dalla volontà dell’ufficio, rispetto alla quale il contribuente non avrebbe altra difesa che conservare le scritture “sine die”.

Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord., 14/11/2019, n. 29707.

È legittimo il ricorso all’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa ex art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, anche in presenza di una contabilità formalmente corretta ma complessivamente inattendibile, potendosi, in tale ipotesi, evincere l’esistenza di maggiori ricavi o minori costi in base a presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, per il cui assolvimento, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, da cui il fisco ha dedotto l’inesistenza delle passività dichiarate, non è sufficiente né la regolare annotazione delle fatture nelle scritture contabili né l’effettività delle spese.

Cass. civ. Sez. V Sent., 01/08/2019, n. 20731.

In tema di imposte sui redditi, la dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall’Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, preclude la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa e rende legittimo l’accertamento induttivo solo ove sia non veritiera, cosciente, volontaria e dolosa, così integrando un sostanziale rifiuto di esibizione diretto ad impedire l’ispezione documentale, poiché l’art. 52, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, a cui rinvia l’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973, ha carattere eccezionale e deve essere interpretato alla luce degli artt. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto di difesa del contribuente e da non obbligare lo stesso a pagamenti non dovuti, sicché non può reputarsi sufficiente, ai fini della suddetta preclusione, il mancato possesso imputabile a negligenza o imperizia nella custodia e conservazione della documentazione contabile.

Cass. civ. Sez. V Ord., 21/03/2018, n. 7025.

In tema di rettifica dei redditi d’impresa, l’accertamento analitico induttivo presuppone, a differenza di quello induttivo “puro”, che la documentazione contabile sia nel complesso attendibile, sicché la ricostruzione fondata sulle presunzioni semplici, di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, non ha ad oggetto il reddito nella sua totalità, ma singoli elementi attivi e passivi, dei quali risulta provata “aliunde” la mancanza o l’inesattezza.

Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord., 14/03/2018, n. 6219.

In tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio nel corso del procedimento non sussiste per gli accertamenti cd. “a tavolino”, senza che, peraltro, l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, possa essere interpretato nel senso che la consegna della documentazione contabile spontaneamente effettuata dal contribuente presso gli uffici dove viene eseguita la verifica possa essere equiparata a quella compiuta presso la sede della società e successivamente proseguita, ai sensi del comma 3 di detta disposizione, negli uffici dell’amministrazione.

Cass. civ. Sez. V Ord., 05/07/2017, n. 16531.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, sempre che la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente e sostanzialmente inattendibile, in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento del contribuente. In tal caso è, dunque, consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi.

Cass. civ. Sez. V Ord., 19/05/2017, n. 12649.

Nel sistema dell’inversione contabile denominato “reverse charge”, l’obbligo di autofatturazione e le relative registrazioni assolvono una funzione sostanziale, in quanto, compensandosi a vicenda con l’assunzione del debito avente ad oggetto l’IVA a monte e la successiva detrazione della medesima imposta a valle, comportano che non permanga alcun debito nei confronti dell’Amministrazione, e consentono i controlli e gli accertamenti fiscali sulle cessioni successive; ne consegue che, in tal caso, ai fini del disconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA da parte dell’amministrazione finanziaria, è ammessa anche la prova mediante presunzioni, gravi, precise e concordanti, con conseguente inversione dell’onere probatorio sul contribuente.

Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord., 14/11/2014, n. 24278.

In tema di accertamento dei redditi d’impresa, il discrimine tra l’accertamento condotto con metodo analitico contabile e quello condotto con metodo induttivo sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili, laddove nel metodo induttivo le omissioni o le false ed inesatte indicazioni risultano tali da inficiare l’attendibilità e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento, anche degli altri dati contabili, apparentemente regolari. Ne consegue che il mutamento della linea difensiva dell’Ufficio finanziario, che, pur avendo proceduto all’accertamento con metodo analitico extracontabile, abbia, nel ricorso in appello, dichiarato di aver utilizzato quello induttivo, non comporta di per sé una “immutatio libelli” tardiva e non consentita, se non mutino i presupposti di fatto sui quali si basano le due valutazioni (nella specie irregolarità contabili relative alle rimanenze finali), attesa la necessità che, fin dall’accertamento, siano valutati gli elementi presuntivi attraverso cui sia possibile individuare induttivamente un reddito imponibile diverso rispetto a quello dichiarato.

Cass. civ. Sez. V Sent., 05/11/2014, n. 23550.

In tema d’imposte sui redditi, è legittimo il ricorso all’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa ex art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, anche in presenza di una contabilità formalmente corretta ma complessivamente inattendibile, potendosi, in tale ipotesi, evincere l’esistenza di maggiori ricavi o minori costi in base a presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, per il cui assolvimento, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, da cui il fisco ha dedotto l’inesistenza delle passività dichiarate, non è sufficiente né la regolare annotazione delle fatture nelle scritture contabili né l’effettività delle spese, le quali difettano del requisito dell’inerenza all’attività imprenditoriale, in quanto, derivando da un illecito penale, sono espressive di finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’impresa.

Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord., 09/10/2014, n. 21391.

Gli avvisi di accertamento emessi ai sensi degli artt. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 51 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per effetto del controllo delle dichiarazioni e della documentazione contabile del contribuente, non sono assoggettati al termine dilatorio previsto dall’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, la cui applicazione postula lo svolgimento di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali del contribuente, e non si estende all’ipotesi in cui la pretesa impositiva sia scaturita dall’esame di atti sottoposti all’Amministrazione finanziaria dallo stesso contribuente e da essa esaminati in ufficio.

Cass. civ. Sez. V Sent., 24/09/2014, n. 20094.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 39, primo comma, lett. c), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta “dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”, da cui derivino presunzioni semplici, desumibili anche da documentazione extracontabile ed in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. (In applicazione di tale principio la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva annullato l’avviso di accertamento fondato sulla documentazione extracontabile di altro contribuente, reperita in sede di verifica nei confronti di quest’ultimo).

Cass. civ. Sez. V Sent., 14/05/2014, n. 10478.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la verifica della regolarità delle scritture ausiliari di magazzino, la cui tenuta è obbligatoria per espressa previsione dell’art. 14, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ha come elemento di riferimento, ai sensi del disposto dell’art. 39, secondo comma, lett. d), del medesimo d.P.R., le schede di lavorazione, le quali, pertanto, dovendo essere utilizzate per il controllo predetto, non possono a loro volta essere ritenute facoltative e discrezionali e vanno, invece, valutate al fine di accertare la complessiva regolarità delle scritture contabili.

Cass. civ. Sez. V Sent., 11/04/2014, n. 8539.

In materia di imposte sui redditi, la dichiarazione del contribuente di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall’Amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, preclude la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa e rende legittimo l’accertamento induttivo solo ove sia non veritiera, cosciente, volontaria e dolosa, così integrando un sostanziale rifiuto di esibizione diretto ad impedire l’ispezione documentale. Infatti, l’art. 52, quinto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, a cui rinvia l’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ha carattere eccezionale e deve essere interpretato alla luce degli artt. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto alla difesa e da non obbligare il contribuente a pagamenti non dovuti, sicché non può reputarsi sufficiente, ai fini della suddetta preclusione, il mancato possesso imputabile a negligenza o imperizia nella custodia e conservazione della documentazione contabile.

Cass. civ. Sez. V Sent., 29/01/2014, n. 1857.

In tema di accertamento delle imposte sul reddito, l’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sancisce la mera facoltà, e non l’obbligo, per l’Ufficio, di invitare il contribuente a fornire dati e notizie in ordine agli accertamenti bancari, sicché, come la sua omissione, anche l’esistenza di eventuali, lievi difformità dell’invito stesso rispetto al modello legale, soprattutto quando esso sia comunque idoneo a garantire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa, non determina l’invalidità dell’accertamento induttivo sintetico operato dall’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 39, secondo comma, lett. d bis), del citato decreto. (Nella specie, la S.C. confermando la sentenza impugnata, ha ritenuto legittimo un avviso di accertamento emesso, ai fini IRPEF, a seguito della notifica di un invito ex art. 32 del suddetto d.P.R. che, benché carente dell’indicazione dell’oggetto dei chiarimenti da richiedere al contribuente e recante un termine per l’esibizione dei documenti inferiore a quindici giorni, conteneva pur sempre il chiaro invito al medesimo, rimasto peraltro inadempiuto anche nei diversi gradi del giudizio, a produrre la documentazione contabile ed amministrativa relativa all’anno di imposta oggetto di verifica).

Cass. civ. Sez. VI – 5 Ord., 21/10/2013, n. 23839.

In sede di accertamento fiscale l’Amministrazione finanziaria può acquisire dati e documenti contabili che, anche se irregolari, possono essere utilizzati ai fini della ricostruzione induttiva del reddito. Anche il processo verbale di constatazione, se non firmato, non inficia la validità dell’accertamento; inoltre, essendo vietata, in questo contesto, la prova testimoniale, il giudice tributario può accogliere, a fini istruttori, le dichiarazioni rese da soggetti terzi.

Cass. civ. Sez. V Sent., 18/05/2012, n. 7871.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confligente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. In tali casi, pertanto, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti -, maggiori ricavi o minori costi, ad esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente. (Nella specie, l’amministrazione finanziaria aveva ritenuto inattendibile la contabilità del contribuente in relazione ad una anticipazione di cassa effettuata dal titolare dell’azienda, senza tener conto di indizi favorevoli al contribuente, ed aveva applicato una percentuale di ricarico sulla scorta di un campione esiguo di merce venduta; la S.C., nell’affermare il principio su esteso, ha cassato la sentenza impugnata, che aveva respinto il ricorso del contribuente).

Cass. civ. Sez. V Sent., 25/03/2011, n. 6937.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’irregolare tenuta della contabilità derivante dalla mancata scritturazione del libro degli inventari, riscontrata per plurimi esercizi e, comunque, per l’intero periodo oggetto di ispezione, giustifica il ricorso all’accertamento induttivo anche per l’anno nel quale, alla fine del periodo considerato, era ancora possibile redigere detto inventario, essendo il relativo termine non scaduto, in quanto, pur nella indipendenza di ogni esercizio economico rispetto agli altri, la mancanza di dati contabili per gli anni precedenti si riflette anche su quello in contestazione, rendendo plausibilmente impossibile verificare la correttezza dei dati contabili della frazione considerata e ciò giustifica la percentuale di ricarico applicata dall’ufficio, mediante il ricorso ai dati tratti dagli studi di settore, poiché la verifica non si fonda su questi ultimi, ma resta basata sulle predette irregolarità contabili e, dunque, ammette il ricorso a metodi presuntivi in sede di rideterminazione del reddito conseguente ad accertamento induttivo, gravando sul contribuente l’onere di provare l’inidoneità degli stessi a tal fine.

Cass. civ. Sez. V Sent., 24/09/2010, n. 20201.

In tema di accertamento induttivo nell’ipotesi in cui risulti una contabilità regolarmente tenuta, l’accertamento dei maggiori ricavi d’impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, soltanto quando raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità.

Cass. civ. Sez. V Sent., 30/12/2009, n. 27927.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel sistema dell’art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, il metodo induttivo costituisce una deroga rispetto a quello analitico e, quindi, l’Ufficio può farvi ricorso solo in presenza dei presupposti che ne legittimano l’utilizzo – determinati dalla progressione della gravità delle violazioni contestate o dalla complessiva inattendibilità delle scritture contabili – mancando i quali deve procedere con metodo analitico; quest’ultimo è infatti da privilegiare per le maggiori garanzie che offre al contribuente, il quale può beneficiare di una motivazione che chiarisce i motivi delle singole riprese ed esercitare in modo più puntuale il diritto di difesa nell’ambito di un “contraddittorio analitico”, e non inseguendo vaghe presunzioni. (Fattispecie in cui la S.C. ha escluso la possibilità di procedere ad accertamento induttivo in presenza di un’unica operazione contabile non fatturata, avente modica entità in relazione al complessivo giro di affari).

Cass. civ. Sez. V Sent., 12/01/2009, n. 374.

In tema di infedeltà della dichiarazione IVA, derivante dall’omessa annotazione di operazioni imponibili ed omessa fatturazione, l’art. 54, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 consente di procedere all’accertamento anche mediante il controllo di dati e notizie raccolti nei modi indicati dal precedente art. 51, incluse, quindi, le indagini bancarie, previste dal n. 7 di tale norma, le quali possono riguardare anche conti e depositi intestati a terzi, inclusi i familiari del socio (nella specie la moglie), quando l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a scopo di evasione fiscale. In questi casi, la presunzione di operazioni commerciali non registrate, discendente dalla riscontrata movimentazione di somme su conti formalmente intestati a terzi, non è qualificabile come (inammissibile) presunzione di doppio grado, poiché è l’art. 51, secondo comma, n. 2), del d.P.R. n. 633 cit., a prevedere che i singoli dati ed elementi risultanti dall’indagine bancaria debbono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili.

Cass. civ. Sez. V Sent., 21/12/2007, n. 27060.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 33, sesto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 non prevede che le operazioni di verifica contabile, accesso, ispezione siano fatte in contraddittorio, ma soltanto che tali operazioni siano compiute “alla presenza di un responsabile della sede o dell’ufficio”, diversamente dall’art. 52, sesto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale, in materia di IVA, stabilisce che il verbale debba essere sottoscritto dal contribuente; ne consegue la legittimità dell’operato della Guardia di Finanza e della pretesa fiscale pur quando il processo verbale di constatazione non sia stato redatto in contraddittorio con il contribuente e da lui sottoscritto.

Cass. civ. Sez. V Sent., 31/08/2007, n. 18337.

In tema di accertamento dell’IVA, non è necessaria l’autorizzazione della Procura della Repubblica per accedere ad un locale: a) che sia adibito solo ad attività sottoposta ad IVA di soggetto passivo di IVA; b) che sia nella piena ed esclusiva disponibilità del soggetto passivo di IVA; c) al quale l’accesso sia possibile solo attraverso un locale adibito ad abitazione di un terzo, che abbia dato il suo consenso ad accedere al proprio appartamento, perché, ricorrendo le indicate condizioni, siffatta specie di locale interno all’appartamento di un terzo rientra nella categoria del locale considerata dall’art. 52, primo comma, n. 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. e non nella categoria di locale oggetto dell’art. 52, primo comma, n. 3, dello stesso atto normativo, né in quella di locale oggetto dell’art. 52, secondo comma, dello stesso d.P.R..

Cass. civ. Sez. V Sent., 25/05/2007, n. 12262.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, il comportamento omissivo del contribuente, che trascuri di rispondere ai questionari previsti dall’art. 32, n. 4, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e non ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti e libri contabili relativi all’impresa esercitata, in tal modo impedendo o comunque ostacolando la verifica dei redditi prodotti da parte dell’Ufficio, vale di per sé solo ad ingenerare un sospetto più che giustificato in ordine all’attendibilità di quelle scritture, rendendo “grave” la presunzione di attività non dichiarate.

Cass. civ. Sez. V, 21/12/2005, n. 28342.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 39, comma primo, lett. c), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta “dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”. In tal caso, l’esistenza di attività non dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, con conseguente inversione dell’onere della prova, spettando al contribuente dimostrare – anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette – l’infondatezza della pretesa fiscale. (Nella specie, l’esistenza di attività non dichiarate era stata desunta da un documento attestante la compravendita non contabilizzata di oro).

Cass. civ. Sez. V, 28/09/2005, n. 19014.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, il comportamento del contribuente che ometta di rispondere ai questionari previsti dall’art. 32, n.4, del d.P.R. n. 600 del 1973 e non ottemperi alla richiesta di esibizione di documenti e libri contabili relativi all’impresa esercitata, impedendo in tal modo, o comunque ostacolando, la verifica dei redditi prodotti da parte dell’Ufficio, vale di per sè solo ad ingenerare un sospetto sull’attendibilità di dette scritture, rendendo “grave” la presunzione di attività non dichiarate desumibile dal raffronto tra le percentuali di ricarico applicate e quelle medie del settore, e, conseguentemente, legittimo l’accertamento induttivo emesso su quella base dall’Ufficio ex art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973.

Cass. civ. Sez. V, 07/10/2005, n. 19620.

La norma formulata in tema di IVA dall’art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 – secondo cui i documenti contabili di cui il contribuente ha rifiutato l’esibizione in sede di ispezione o verifica, o che in quella sede ha dichiarato di non possedere, non possono essere presi in considerazione a suo favore in sede amministrativa o contenziosa – è applicabile anche in materia di accertamento delle imposte sui redditi, per l’espresso richiamo contenuto nell’art. 33, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600; tale applicazione non è in contrasto con l’art. 19 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (applicabile “ratione temporis” e che in via generale consente la produzione innanzi alle Commissioni tributarie di documenti non prodotti dal contribuente in occasione della dichiarazione), in quanto quest’ultima disposizione va intesa nel senso che il potere per il contribuente di produrre documenti sussiste nei limiti in cui non sia incorso in decadenze.

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I poteri dell’Amministrazione Finanziaria sono molto estesi. Questi implicano la possibilità del Fisco di reperire un grandissimo quantitativo di informazioni circa i diversi contribuenti. Le informazioni ottenute vengono poi impiegate nell’esercizio di controlli a fini fiscali.

E’ attraverso l’insieme dei dati raccolti che l’Agenzia delle Entrate è in grado di operare una ricostruzione analitica delle dichiarazioni del contribuente.

Con un’analisi dettagliata delle componenti dell’imponibile ne individua le irregolarità. In presenza di queste, procede ad una sua rettifica sanzionando il contribuente-evasore.

Il legislatore ha messo a disposizione diversi strumenti di protezione del contribuente. Sta a lui, infatti, decidere come muoversi di fronte alle contestazioni dell’Ufficio.

Ogni strumento implica importanti conseguenze, per questo è essenziale optare per quello più adatto alla propria situazione.

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