Accordo di ristrutturazione del debito: come funziona

L’accordo di ristrutturazione dei debiti, ai sensi dell’art. 57 del Decreto legislativo 14 del 2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), è uno strumento di risanamento della posizione debitoria a cui le imprese in crisi possono ricorrere al fine di ridurre l’esposizione debitoria, ovvero, al fine di riequilibrare la propria situazione finanziaria.

Le fasi sono sostanzialmente due: una di natura privatistica-stragiudiziale, e una fase giudiziale, in quanto l’accordo raggiunto è soggetto ad omologa del tribunale.

Può essere proposto da qualsiasi imprenditore, sia esso persona fisica, sia dalla società o dal diverso ente, per mezzo dei propri rappresentanti legali.

1. Definizione

L’accordo di ristrutturazione dei debiti è disciplinato espressamente dall’art. 57 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Rappresenta, in poche parole, uno mezzo di risanamento utile alle imprese al fine di ridurre la propria posizione debitoria. Come sopra anticipato, e a differenza degli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento (ai sensi dell’art. 56 del Codice della crisi d‘impresa), l’accordo di ristrutturazione è soggetto anche alla omologa del tribunale.

 Nonostante quest’ultimo passaggio, l’accordo in esame rientra comunque nel novero degli strumenti negoziali. Senza scendere eccessivamente nel dettaglio, è possibile gli accordi di ristrutturazione dei debiti come un accordo formato con un numero preciso di creditori, almeno in 60%, (cosiddetto accordo ordinario) ovvero il 30% dei creditori (accordo agevolato) o il 75% dei creditori omogenei appartenenti alla medesima categoria (accordo esteso) e successivamente “certificato” dalla relazione di un soggetto abilitato il quale attesta la veridicità dei dati, nonché l’effettiva attuabilità dell’accordo stesso.

Lo scopo degli accordi di ristrutturazione dei debiti è quello di consentire alle imprese in difficoltà di salvarsi e di uscire da un eventuale stato di crisi. Grazie all’accordo di ristrutturazione dei debiti, infatti, viene data la possibilità all’imprenditore stesso di continuare a dirigere la propria attività economica e, su istanza di parte, il proprio patrimonio è assistito da determinate tutele (si pensi ad esempio al blocco delle azioni esecutive cautelari) al fine di consentire il risanamento della posizione debitoria.

2. Ambito di applicazione

Giunti a questo punto è importante analizzare l’ambito soggettivo di applicazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti al fine di comprendere chi, effettivamente, possa utilizzare questo particolare strumento giuridico. In estrema sintesi, l’attuale normativa in vigore stabilisce che possono avvalersi degli accordi di ristrutturazione dei debiti gli imprenditori, anche non commerciali. Sono esclusi, invece, i cosiddetti “imprenditori minori”, ai sensi dell’art. 57 del Codice della crisi d’impresa.

Pertanto, anche gli imprenditori non commerciali (ovvero gli imprenditori agricoli) possono stipulare gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Ancora, possono stipulare tali accordi non solo gli imprenditori persone fisiche ma anche persone giuridiche e enti collettivi in generale.

Ma quando un’impresa può essere definita “minore”?; a dare una risposta al quesito è l’art. 2 del Codice della crisi d’impresa  il quale definisce minore l’impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti:

1) attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila, nei tre esercizi antecedenti alla data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività  se di durata inferiore;

2) ricavi, in qualunque modo risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività, se di durata inferiore;

3) un ammontare di debiti, anche non scaduti, pari ad euro 500.000.

Tali valori, diversamente da come si potrebbe pensare, non sono “statici”, questo perché possono essere aggiornati ogni tre anni con Decreto del Ministro della giustizia.

2.1. Presupposti applicativi e doveri delle parti

Per poter presentare la domanda di accordo di ristrutturazione dei debiti è necessario che l’imprenditore si trovi in una situazione di crisi o di insolvenza. In realtà occorre precisare che il dato normativo fa espresso riferimento al concetto di “stato di crisi”, anche se la dottrina da anni vi fa rientrare anche il concetto di insolvenza.

Ma cosa significa “stato di crisi”? in poche parole, per stato di crisi si intende lo stato reversibile di difficoltà economico finanziaria che rende molto probabile l’insolvenza del debitore. In genere si manifesta con la classica inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte in modo regolare alle obbligazioni pianificate, ai sensi dell’art. 2 del Codice della crisi d’impresa.

Per “stato di insolvenza”, invece, si intende lo stato del soggetto debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali provano che il soggetto debitore non è più in grado di soddisfare in modo regolare alle proprie obbligazioni, ai sensi dell’art. 2 lettera b del Codice della crisi d’impresa.

Per quanto concerne i doveri delle parti, invece, durante le trattative e nell’esecuzione degli accordi, il debitore (ovvero l’imprenditore) deve comportarsi seconda buona fede e con correttezza (ai sensi dell’art. 4 del Codice della crisi d’impresa). Più precisamente, il debitore è tenuto innanzitutto ad illustrare la propria situazione patrimoniale in modo esaustivo, veritiero e trasparente, fornendo ai creditori tutte le informazioni necessarie ed appropriate allo strumento della regolazione della crisi o dell’insolvenza.

Ancora, il debitore è tenuto ad assumere in modo tempestivo le iniziative idonee alla rapida definizione della procedura, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori. Infine, il debitore è tenuto a gestire il patrimonio o l’impresa durante la procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza nell’interesse dei creditori.

I creditori hanno il dovere preciso di collaborare lealmente con il debitore, con i soggetti coinvolti con gli organi nominati dall’autorità giudiziaria e di rispettare l’obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite.

3. In cosa consiste la procedura?

Il procedimento per poter concludere un accordo di ristrutturazione dei debiti era prima disciplinato dalla Legge Fallimentare, oggi, invece, è espressamente disciplinato dal Codice della crisi d’impresa ed è un iter unitario caratterizzato da diverse fasi.

3.1. Deposito della domanda di accesso

Il debitore deve presentare l’accordo sottoscritto con i creditori aderenti presso il Tribunale competente.

L’accordo deve comporsi di un piano di risanamento, contenente le modalità e le tempistiche di adempimento dell’accordo, con una serie di allegati richiesti. L’intesa raggiunta, deve essere idonea ad assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei, nei termini indicati dalla legge (120 giorni).

La veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica e giuridica del piano, l’idoneità dell’accordo e del piano ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei termini, devono essere attestate da un professionista in possesso dei requisiti di indipendenza previsti dalla legge.

L’accordo deve essere pubblicato nel registro delle imprese.

Da tal momento decorrono due termini:

  • 60 giorni, entro i quali è fatto divieto ai creditori di intraprendere azioni cautelari ed esecutive individuali;
  • 30 giorni, entro i quali fare opposizione.

Per facilitare l’utilizzo di tali accordi, l’impresa può anche fare una richiesta di preaccordo (o proposta di accordo) ottenendo l’applicazione anticipata delle tutele, mediante un’istanza di sospensione iscritta nel registro delle imprese, e vedendosi assegnata un termine per depositare i documenti.

3.2. Fase giudiziale: omologa del Tribunale

Anche la fase giudiziale si presenta ridotta: il Tribunale dovrà valutare la documentazione depositata e verificarne la regolarità. In assenza di opposizione, il Giudice procederà con apposito decreto di omologa, finalizzato ad attribuire efficacia giudiziale (in caso di opposizioni vi sarà udienza).

In caso di mancato accoglimento della domanda di omologa, il Tribunale dichiara con sentenza, su apposito ricorso di parte, l’apertura della cosiddetta liquidazione giudiziale ai sensi dell’art. 48, comma 7, del Codice della crisi d’impresa. È bene precisare, però, che l’apertura della liquidazione giudiziale (ovvero della procedura concorsuale che ormai ha letteralmente mandato in pensione il fallimento) può avvenire solo ed esclusivamente su domanda di parte e giammai d’ufficio

3.3. Esecuzione dell’accordo

Infine, la fase esecutiva concerne l’adempimento di quanto previsto dall’accordo e sarà disciplinata dalle norme privatistiche. Infatti, il Codice della crisi d’impresa non si occupa espressamente della fase di esecuzione dell’accordo di ristrutturazione, ovvero, della fase che si apre non appena omologato l’accordo.

Pertanto, potrebbe sorgere spontanea la domanda: come è possibile tutelare il proprio patrimonio in caso di inadempimento del debitore? In caso di inadempimento del debitore, i creditori estranei all’accordo che non vedranno soddisfatti il proprio credito potranno presentare istanza finalizzata all’apertura della liquidazione giudiziale dell’imprenditore, mentre i creditori aderenti non soddisfatti potranno chiederne la risoluzione della procedura, ai sensi e per gli effetti degli art. 1453 e seguenti del c.c. pertanto, se la richiesta di risoluzione viene accolta i crediti ritornano alla loro portata originaria e cessa qualsiasi riduzione o dilazione.

Nel caso di creditori cosiddetti fiscali, invece, (si pensi ad esempio all’Agenzia delle entrate-riscossione, enti previdenziali come l’INPS ecc.) si ha una vera e propria risoluzione di diritto della transazione fiscale conclusa nell’ambito degli accordi di ristrutturazione, se il debitore non esegue interamente, entro 90 giorni dalle scadenze fissate, tutti i pagamenti dovuti.

4. Fasi eventuali

Il procedimento, però, non finisce qui poiché possono verificarsi anche delle fasi eventuali.

4.1. Impugnazione contro l’omologazione degli accordi: reclamo

In sintesi, contro la sentenza emessa dal tribunale che decide sull’omologazione dell’accordo di ristrutturazione del debito è possibile proporre reclamo. Il reclamo deve essere proposto con apposito ricorso da depositare presso la cancelleria della corte di appello entro e non oltre il termine di trenta giorni.

4.2. Sospensione dell’accordo  

Una volta proposto il reclamo sopra descritto, il giudice di appello, su apposita richiesta della parte interessata, o del curatore, può, in caso di gravi e fondati motivi, chiedere l’inibitoria, in tutto od in parte temporanea, dell’attuazione dell’accordo.

Ovviamente la corte di appello può disporre anche le opportune tutele per i creditori e per la continuità aziendale. In ogni caso, avverso il reclamo proposto, decide la corte di appello con decreto, il quale non è suscettibile di essere impugnato in cassazione.

4.3 Revoca dell’omologazione dell’accordo

In caso di accoglimento della domanda, dunque, in caso di revoca dell’omologazione, restano pur sempre salvi gli effetti degli atti legalmente posti in essere dagli organi della procedura.

Gli organi della procedura rimangono in carica, con i relativi compiti, fino al momento in cui la sentenza emessa sulla revoca non passi in giudicato (ovvero diventa definitiva e non più impugnabile).

5. Misure cautelari

Quando si parla di misure cautelari si fa riferimento a provvedimenti emessi dal giudice competente finalizzati a tutelare il patrimonio dell’impresa a seconda delle esigenze concrete. Per misure di protezione, invece, si fa riferimento alle misure temporanee disposte sempre dal giudice al fine di evitare che determinate condotte dei creditori possano pregiudicare, fin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione dello stato di insolvenza o di crisi.

Ad esempio, il Tribunale può emettere dei provvedimenti cautelari idonei ad assicurare in modo provvisorio gli effetti della sentenza di omologazione degli accordi di ristrutturazione del debito, come la nomina di un custode d’azienda ai sensi dell’art. 54 del Codice della crisi d’impresa.

Sia le misure cautelari che le misure di protezione sono concesse solamente su richiesta di parte.

Quest’ultime, però, possono essere richieste solamente nel corso delle trattative e prima del deposito della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, non dopo.

6. Accordo di ristrutturazione dei debiti e convenzione di moratoria

La convenzione di moratoria, in estrema sintesi, è un’altra tipologia di accordo, il quale si distingue dall’accordo di ristrutturazione poiché difetta della cosiddetta fase di omologazione.

L’istituto in questione era disciplinato dall’art. 182 septies della Legge Fallimentare, la quale ne limitava l’applicazione ai creditori finanziari. Viceversa, l’art. 62 del Codice della crisi d’impresa, presenta interessanti novità rispetto al passato. Infatti, oggi la convenzione di moratoria conclusa tra debitore e creditori può avere per oggetto: la rinuncia agli atti, la sospensione delle azioni esecutive e conservative, la dilazione delle scadenze dei crediti o comunque ogni altra misura che non comporti rinunzia al credito.

Ancora, diversamente dall’accordo di ristrutturazione, la convenzione di moratoria produce effetti anche nei confronti dei creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria. Infine, le condizioni previste dalla legge al fine di concludere in modo legittimo una convenzione di moratoria sono estremamente simili a quelli che vengono richiesti per l’accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 61 del Codice della crisi d’impresa.

Anche per la convenzione di moratoria è stato previsto dal legislatore, ai sensi dell’art. 62 del Codice della crisi d’impresa viene ripetuto quanto previsto in materia di accordo esteso ai sensi dell’art. 61 del Codice della crisi d’impresa. Ovvero, non è considerata nuova la presentazione della prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria giù stipulati.

Infine, la convenzione di moratoria (unitamente alla relazione del professionista indipendente) deve essere comunicata ai creditori non aderenti mediante apposita lettera raccomandata con relata di notifica (ovvero A/R). Dopo trenta giorni dalla comunicazione è possibile presentare apposita opposizione dinanzi al Tribunale competente, il quale è tenuto a decidere sulle opposizioni in camera di consiglio con sentenza. Contro quest’ultima è possibile proporre reclamo dinanzi alla Corte di appello, ai sensi dell’art. 51 del Codice della crisi d’impresa.

7.  La rinuncia alla domanda di accesso

Per completezza, è necessario segnalare che è ammessa la cosiddetta rinunzia alla domanda di accesso, in tal caso ovviamente la procedura si estingue, salva la legittimazione del Pubblico Ministero ex art. 43 del Codice della crisi d’impresa.

In caso di rinunzia, il Tribunale provvede mediante decreto di estinzione e può condannare la parte che ha incardinato il procedimento al pagamento delle spese legali. Il decreto in questione viene successivamente comunicato al Pubblico Ministero. Inoltre, se la domanda è stata preventivamente registrata presso il Registro delle imprese, il cancelliere dovrà comunicare immediatamente detto decreto di estinzione anche al medesimo registro al fine di rendere edotti i terzi dell’avvenuta estinzione.

8. Quali i vantaggi dell’accordo di ristrutturazione dei debiti

Vi sono una serie di aspetti vantaggiosi da tenere in considerazione che lo rendono preferibile alle altre procedure concorsuali.

In primis, il fatto che il debitore non subisce uno spossessamento del proprio patrimonio, la cui gestione resta in capo allo stesso.

Non vige il principio della par condicio dei creditori, ossia l’eguale diritto per i creditori ad essere soddisfatti sui beni del debitore, e non è prevista alcuna votazione dei creditori.

Viene a mancare la figura del commissario giudiziale.

Avvalendosi di questo strumento, si può inoltre beneficiare dell’istituto della transazione fiscale, potendovi rientrare anche debiti fiscali e contributivi, previa adesione dell’amministrazione finanziaria.

9. Consulenza e assistenza legale per il tuo caso

L’accordo di ristrutturazione del debito è uno strumento da tenere in considerazione soprattutto nei casi in cui la crisi d’impresa non sia irreversibile e l’imprenditore non voglia perdere il controllo della propria attività.

A differenza delle altre procedure attivabili, consente al debitore di pianificare autonomamente e in accordo con i creditori aderenti un risanamento dell’impresa, riducendo la propria esposizione debitoria. È chiara, dunque, l’intenzione del legislatore di dare la possibilità direttamente all’imprenditore di trovare una soluzione per soddisfare, nei limiti del possibile, la pretesa dei propri creditori senza dover porre fine alla propria attività economica organizzata.

Tra l’altro, si tratta di una procedura tutt’altro che costosa e farraginosa, il che semplifica sicuramente la vita agli imprenditori che cercano di trovare una soluzione rapida ai propri problemi, senza aggravare ulteriormente la propria posizione debitoria.

Proprio per questo motivo, al fine di Pianificare Difendere al meglio il tuo Patrimonio, ti consiglio di completare il Modulo di contatto che trovi in questa pagina.

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