Associazione in partecipazione: come farla?

Con il contratto di Associazione in partecipazione due soggetti possono esercitare congiuntamente una attività di impresa o uno specifico affare, condividendo utili e perdite in base al risultato.

È importante sottolineare da subito che, dunque, due soggetti possono fare ciò senza dover instaurare un vincolo giuridico definitivo, come può essere quello societario.

Introduciamo l’argomento stabilendo che il contratto di associazione in partecipazione è disciplinato all’ art. 2549 del Codice Civile ed è un contratto con il quale un soggetto offre un determinato apporto a un’impresa, in relazione a uno o più affari, in cambio della partecipazione agli utili.

Si tratta di un negozio giuridico di indubbio interesse dal momento che più volte ha subito modifiche da parte del legislatore.

Ciò è accaduto poiché lo scopo è sempre stato quello di evitare che il contratto di associazione in partecipazione fosse utilizzato per nascondere un’effettiva prestazione di lavoro subordinato.

Non è un caso ,infatti, che in seguito all’entrata in vigore della riforma c.d. Jobs Act, del 2015, l’apporto dell’associato non può consistere nemmeno in parte in una prestazione lavorativa nel caso in cui costui sia una persona fisica.

1. Associazione in partecipazione: disciplina

Come accennato, l’Associazione in partecipazione è disciplinata dal Codice civile con gli articoli dal 2549 al 2554. Per la sua struttura, è facile evincere che questo tipo di contratto sia stato largamente utilizzato in quanto permette a due o più soggetti di svolgere congiuntamente una attività di impresa o uno specifico affare anche per un tempo limitato.

Abbiamo visto però che ragioni legate a un utilizzo a volte abusivo della forma contrattuale (si pensi ai vantaggi fiscali derivanti da tale contratto) hanno indotto il legislatore a intervenire radicalmente su questa forma contrattuale.

1.1. Brevi cenni storici dell’istituto

Rammentiamo come nel 2012 la c.d. riforma Fornero avesse già impattato radicalmente sull’istituto, stabilendo che i lavoratori persone fisiche che potevano partecipare all’affare inquadrato nel contratto di associazione in partecipazione non potessero essere in numero superiore a tre, escludendo da tale conteggio però il coniuge, i parenti e gli affini. In caso contrario, il rapporto sarebbe stato considerato subordinato, in maniera presuntiva. La disciplina tracciata dalla riforma Fornero è stata superata da quella legata al Jobs Act.

Come detto, la disciplina introdotta nel 2012, oggi non più in vigore, trova tuttora applicazione per tutti quei contratti ancora in essere, stipulati fino all’entrata in vigore della legge attuativa del Jobs Act del 2015.

La Legge Fornero (Legge 92/2012), dunque, in caso di mancanza di specifiche condizioni,  assimilava l’Associazione in partecipazione al lavoro subordinato.

Pochi anni dopo, il Jobs Act (D.Lgs 81/2015) esclude la possibilità, per le persone fisiche, di instaurare Associazioni in partecipazione con apporto, anche parziale, in forma di lavoro.

Si comprendono bene, dunque, le motivazioni che hanno indotto il legislatore a inasprire le condizioni dell’utilizzo di un tale schema contrattuale, ma, d’altro canto, è facile anche immaginare come la libertà d’iniziativa economica sia stata in qualche modo compromessa.

Si consideri, infatti, che i limiti imposti all’utilizzo del contratto di associazione in partecipazioni non consentono più ai soggetti di poter utilizzare questo contratto tanto quanto come un tempo.

2. Associazione in partecipazione: caratteristiche

L’Associazione in partecipazione è definita dall’art. 2549 comma 1 del Codice Civile come quel contratto tipico con il quale “l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto”.

A tal proposito, occorre analizzare quali sono gli elementi che identificano questa tipologia contrattuale.

  • La condivisione del rischio d’impresa da parte dell’associato che può partecipare, oltre che agli utili dell’impresa, anche alle eventuali perdite (nel limite del suo apporto);
  • Il diritto dell’associato a controllare l’attività dell’impresa dell’associante o dell’affare;
  • Il conferimento da parte dell’associato di un apporto che può essere di varia natura);
  • Il diritto dell’associato di percepire una quota di utili.

Come già visto, la caratteristica tipica e che meglio descrive questa forma contrattuale è il fatto che non si costituisce un nuovo soggetto giuridico.

Alla luce infatti del dettato normativo, associato e associante sono legati da un vincolo contrattuale non spendibile nei confronti dei terzi, che può essere sia a tempo determinato che a tempo indeterminato. In ogni caso è escluso un vincolo di subordinazione.

L’associante dovrà essere una persona, fisica o giuridica, che esercita attività di impresa, in forma individuale o collettiva. L’associato invece, può essere una persona giuridica o una persona fisica, esercente o meno attività di impresa.

3. Le tipologie di apporto

L’apporto è l’elemento che meglio caratterizza questa tipologia contrattuale: senza questo elemento il contratto, semplicemente, non potrebbe esistere. In base all’accordo delle parti, l’associato può apportare in azienda denaro, beni, servizi o lavoro. A seconda della tipologia di apporto, distinguiamo un contratto di Associazione in partecipazione in base al diverso trattamento fiscale.

  • con apporto di (solo) lavoro;
  • apporto di (solo) capitale;
  • con apporto misto (lavoro e capitale).

Come accennato, a decorrere dal 25 giugno 2015, per disposizione del Jobs act (D.Lgs 81/2015), non è più possibile stipulare contratti di Associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro o misto, nel caso in cui l’associato sia una persona fisica.

Al contrario, invece, la possibilità rimane per i soggetti diversi dalle persone fisiche.

Quindi oggi l’Associazione in partecipazione è possibile:

  • per le persone fisiche: con apporto di solo capitale;
  • per i soggetti diversi dalle persone fisiche: con apporto di solo lavoro, solo capitale o miste.

4. Obblighi e diritti delle parti

Il controllo e la gestione dell’impresa così come l’affare per cui è stata contratta un’associazione in partecipazione spetta all’associato.

Al contrario, invece, non spetta all’associato il diritto di veto, neppure sulle operazioni straordinarie.

All’associato spetta il rendiconto dell’affare compiuto o quello annuale della gestione, se questa si protrae per più anni.

Il rendiconto in parola assume la forma di un conto economico, dell’impresa o dell’affare, redatto secondo le regole della contabilità ordinaria o semplificata (a seconda della tipologia dell’azienda), e dovrà essere datato e firmato da entrambi i contraenti.

All’associato spetta, al termine del contratto, la restituzione dell’apporto o del suo valore (a seconda della tipologia dell’apporto), al valore nominale (diminuito delle eventuali perdite).

La restituzione dell’apporto spetta anche in caso di apporto di lavoro, ma solo se quantizzato monetariamente dalle parti in sede di stipula contrattuale.

La specifica modalità ed entità della partecipazione agli utili è definita dalle parti in sede di stipula contrattuale, in base all’apporto dell’associato.

La partecipazione agli utili può essere una percentuale fissa o variabile; da prassi, è possibile prevedere una partecipazione, in percentuale, ai ricavi invece che agli utili.

In base all’articolo 2553 del Codice civile, l’associato oltre che agli utili può partecipare anche alle eventuali perdite, ma solo nei limiti del suo apporto; ma la partecipazione alle perdite, da parte dell’associato, può essere esclusa per accordo contrattuale tra le parti.

Il contratto di Associazione in partecipazione non richiede forme particolari, ma ai fini probatori, si richiede la forma di scrittura privata registrata o autenticata o di atto pubblico.

5. Divieto di prestazioni lavorative

Come accennato, secondo la disciplina vigente, è precluso, per l’associato persona fisica, apportare il proprio lavoro ad uno o più affari dell’impresa. Da quanto sopra ne deriva che l’associazione, se persona fisica, può apportare solamente un conferimento in denaro o una fornitura di beni che siano strumentali all’attività di impresa.

Tale limitazione non vale invece per le persone giuridiche, che potranno pertanto ben continuare ad offrire all’associante dei servizi lavorativi.

In verità, però, anche questa novità legislativa non sembra però scongiurare il rischio potenziale che dietro un contratto di associazione in partecipazione si celi in realtà un rapporto di lavoro subordinato.

Non sfugge, infatti, che in realtà le persone giuridiche che prestano servizi lavorativi potrebbero essere ditte individuali o società uni personali.

La conseguenza è chiara: infatti, a questo punto, spetterà all’interprete, volta per volta, verificare se effettivamente la “forma” dell’associazione in partecipazione sia quella più corretta, soffermandosi in particolar modo sulla sussistenza del rischio di impresa in capo all’associato.

6. Partecipazione agli utili

La partecipazione agli utili dell’associato comporta la necessità che si faccia correlativamente carico delle eventuali perdite subite negli affari che costituiscono oggetto di controllo. È tuttavia fatto salvo ogni patto contrario. In ogni caso, le perdite subite dall’associato non devono superare il valore del suo apporto.

Si consideri poi che la partecipazione dell’associato all’affare dell’impresa non fornisce alcun diritto a costui di influenzare la gestione dello stesso. L’associato può naturalmente pretendere il rendiconto finale della sua attività, o il rendiconto annuale se l’affare si protrae per più di un esercizio.

7. La giurisprudenza rilevante in materia di associazione in partecipazione

Cass. civ. Sez. I Ord., 22/06/2022, n. 20159.

In tema di associazione in partecipazione, l’autonomia che, di regola, si accompagna alla titolarità esclusiva dell’impresa e della gestione da parte dell’associante trova limite sia nell’obbligo del rendiconto ad affare compiuto o del rendiconto annuale della gestione che si protragga per più di un anno, ex art. 2552, comma 3, c.c., sia, in corso di durata del rapporto, nel dovere generale di esecuzione del contratto secondo buona fede, che si traduce nel dovere specifico di portare a compimento l’affare o l’operazione economica entro il termine ragionevolmente necessario a tale scopo; ne consegue che, alla stregua dei principi generali sulla risoluzione dei contratti sinallagmatici per inadempimento, applicabili all’associazione in partecipazione, l’inerzia o il mancato perseguimento da parte dell’associante dei fini cui l’attività d’impresa o di gestione dell’affare è preordinata determina un inadempimento che, quando si protragga oltre ogni ragionevole limite di tolleranza può, perciò, secondo l’apprezzamento del giudice del merito, dar luogo all’azione di risoluzione del contratto, secondo le regole indicate negli artt. 1453 e 1455 c.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva respinto la richiesta di risoluzione di un contratto di associazione in partecipazione relativo ad immobili da costruire, ritenendo che le parti non avessero indicato un termine specifico ed essenziale per la realizzazione dell’affare, mentre il mancato inoltro del rendiconto non costituiva inadempimento grave dell’associante, in quanto lo stesso aveva messo a disposizione documentazione ritenuta equipollente, consistente nei propri bilanci ed allegati contabili).

Cass. civ. Sez. I Ord., 22/06/2022, n. 20152.

In tema di associazione in partecipazione, il patto di non concorrenza di cui all’art. 2596 c.c., il quale prevede che lo stesso è valido se circoscritto ad una determinata zona o a una determinata attività, può essere esteso a tutto il territorio nazionale, qualora l’attività dell’altro contraente sia di rilievo nazionale. (Nel caso di specie la S.C. ha ritenuto valido il patto che impediva la concorrenza dell’associato nei confronti dell’associante, per una durata infra-quinquennale ed interna al rapporto associativo, pur se con oggetto determinato “per relationem” con riguardo all’attività merceologica esercitata dall’associante ed esteso all’intero territorio nazionale, stante l’analoga rilevanza territoriale di detta attività).

Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 07/03/2022, n. 7398.

La causa del contratto di associazione in partecipazione si connota per la partecipazione dell’associato al rischio di impresa e alla distribuzione non solo degli utili, ma anche delle perdite. Pertanto la riconducibilità del rapporto di lavoro al contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato ovvero al contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili esige un’indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua anche delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che il primo implica l’esistenza per l’associato di un rischio di impresa che è configurabile pure laddove le parti abbiano escluso la partecipazione alle perdite, poiché in tal caso l’eventuale assenza di utili determina l’assenza di compensi, necessariamente correlati all’andamento economico dell’impresa.

Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 07/02/2022, n. 3762.

In tema di distinzione tra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa, che la riconducibilità del rapporto all’uno o all’altro degli schemi predetti esige un’indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica l’obbligo del rendiconto periodico dell’associante e l’esistenza per l’associato di un rischio di impresa, il rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere dell’associante di impartire direttive e istruzioni al cointeressato, con assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare della persona o dell’organo che assume le scelte di fondo dell’organizzazione dell’azienda.

Cass. civ. Sez. lavoro, 07/09/2021, n. 24082.

Il legislatore ha inteso sottoporre agli obblighi di comunicazione di instaurazione ex art. 9 comma 2 d.l. 510/1996 i rapporti di lavoro di natura subordinata, le collaborazioni in forma coordinata e continuativa, anche nelle modalità a progetto, i rapporti dei soci lavoratori di cooperativa e quelli di associato in partecipazione con apporto lavorativo ma non i rapporti inerenti alle professioni intellettuali, il cui esercizio è condizionato ad una previa iscrizione ad appositi albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 c.c. e che si sostanziano in una prestazione intellettuale.

Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 18/11/2020, n. 26273.

La riconducibilità del rapporto di lavoro al contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato ovvero al contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili, esige un’indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che il primo implica l’esistenza per l’associato di un rischio di impresa, configurabile pure laddove le parti abbiano escluso la partecipazione alle perdite, poiché in tal caso l’eventuale assenza di utili determina l’assenza di compensi, necessariamente correlati all’andamento economico dell’impresa. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva qualificato come subordinato un rapporto formalmente contrattualizzato in regime di associazione in partecipazione essenzialmente sul rilievo che alle lavoratrici era stato assicurato un compenso garantito mensile, sostanzialmente corrispondente alla retribuzione fissata dalla contrattazione collettiva per il profilo professionale corrispondente alle mansioni di fatto svolte – commesse di negozio -, senza partecipazione alle perdite).

Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 10/11/2020, n. 25221.

La riconducibilità del rapporto di lavoro al contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato ovvero al contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili, esige un’indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica l’obbligo del rendiconto periodico dell’associante e l’esistenza per l’associato di un rischio di impresa, il secondo comporta un effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere dell’associante di impartire direttive e istruzioni al cointeressato, con assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare di colui che assume le scelte di fondo dell’organizzazione aziendale. (Nella specie, la S.C. ha reputato incensurabile l’accertamento compiuto dal giudice di merito, che aveva desunto il carattere simulato del rapporto di associazione in partecipazione dalla mancata prova della consegna del rendiconto da parte dell’associante).

Cass. civ. Sez. I Sent., 03/06/2020, n. 10496.

La natura sinallagmatica del contratto di associazione in partecipazione rende applicabile la disciplina della risoluzione per inadempimento, che richiede una valutazione di gravità degli addebiti, da effettuarsi alla luce del complessivo comportamento delle parti, dell’economia generale del rapporto e del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto sancito dall’art. 1375 c.c., che, per l’associante, si traduce, nel dovere di portare a compimento l’impresa o l’affare nel termine ragionevolmente necessario. Alla pronuncia di risoluzione consegue, oltre all’effetto liberatorio per le prestazioni ancora da eseguire, anche quello restitutorio per quelle già eseguite, con obbligo, per l’associante, di restituire l’apporto ricevuto dall’associato, non essendo l’associazione in partecipazione riconducibile alla categoria dei contratti ad esecuzione continuata. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento dell’associante, adottata dal giudice di merito, dopo aver riscontrato plurimi inadempimenti, tra cui l’omessa destinazione all’attività d’impresa dell’apporto in denaro dell’associato, ritenuta espressiva di una condotta contraria a buona fede, per essere tale apporto strumentale all’esercizio dell’impresa oggetto dell’associazione).

Cass. civ. Sez. I, 03/06/2020, n. 10496.

In tema di contratto di associazione in partecipazione, qualora ne sia pronunciata la risoluzione, consegue da un lato un effetto liberatorio per le obbligazioni che ancora dovevano essere eseguite, dall’altro un effetto restitutorio per quelle che erano state, invece, già oggetto di esecuzione, in relazione alle quali sorge per l’accipiens il dovere di restituzione. Qualora tale obbligo restitutorio abbia ad oggetto prestazioni pecuniarie, il ricevente è tenuto a restituire le somme percepite maggiorate degli interessi calcolati dal giorno della domanda di risoluzione.

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 24/09/2019, n. 23791.

In tema di contributi previdenziali per il familiare coadiutore dell’imprenditore commerciale, sussiste l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti ex art. 2 della l. n. 613 del 1966 anche nel caso in cui il lavoro sia stato formalizzato come rapporto di associazione in partecipazione, non rientrando tale tipologia contrattuale tra le eccezioni normativamente previste che riguardano esclusivamente il coadiutore soggetto all’assicurazione generale obbligatoria quale lavoratore dipendente o apprendista.

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 23/09/2019, n. 23608.

Diversi sono gli orientamenti in relazione agli effetti di taglio restitutorio seguenti alla risoluzione del contratto di associazione in partecipazione per inadempimento dell’associante, ossia se l’associato abbia diritto alla restituzione della somma che ebbe propriamente a dare all’associante in sede di apporto o per contro della somma che derivi dall’applicazione sull’importo a suo tempo apportato della considerazione – in addizione o in sottrazione – degli utili/perdite maturati sino al momento della risoluzione del contratto. A favore della prima soluzione si è sostenuto che l’applicazione in via sostanziale della regola contenuta nella seconda parte dell’art. 1458, comma 1, c.c. (per i contratti a esecuzione continuata oppure periodica) risulta sbarrata dal rilievo che “l’apporto dell’associato” costituisce una dazione o prestazione unitaria (di natura patrimoniale o tecnica) in cambio di una controprestazione pur essa unitariamente considerata nella partecipazione agli utili ed eventualmente delle perdite. Nel senso dell’opposta soluzione normativa, si è rilevato che se la risoluzione del contratto segue a vicende che affliggono non la fattispecie, ma lo svolgimento del rapporto contrattuale – nel contratto di associazione in partecipazione l’associato corre, per l’intero periodo di esecuzione del rapporto, il rischio propriamente afferente all’esercizio dell’impresa e/o allo svolgimento degli affari a cui il contratto pertiene: così come non manca di segnalare la norma dell’art. 2253 c.c., per cui le relative “perdite … colpiscono l’associato” sino al limite dell’azzeramento dell’apporto. Di talché, nella fattispecie, non essendo state ravvisate evidenze decisorie tali da consentire la definizione del ricorso presso la cd. sezione filtro, si rimetteva il ricorso alla discussione in pubblica udienza, presso la sezione tabellarmente competente.

Cass. civ. Sez. I Ord., 10/08/2017, n. 19937.

In tema di associazione in partecipazione, nel caso di fallimento dell’associante, che determina lo scioglimento dell’associazione ai sensi dell’art. 77 l. fall., l’associato ha diritto di far valere nel passivo del fallimento il credito per quella parte dei conferimenti che non è assorbita dalle perdite a suo carico, costituendo elemento essenziale del contratto, come si evince dall’art. 2549 c. c., la pattuizione a favore dell’associato di una prestazione correlata agli utili di impresa e non ai ricavi, i quali ultimi rappresentano in se stessi un dato non significativo circa il risultato economico effettivo dell’attività di impresa.

Cass. civ. Sez. I Ord., 10/08/2017, n. 19937.

In tema di associazione in partecipazione, nel caso di fallimento dell’associante, che determina lo scioglimento dell’associazione ai sensi dell’art. 77 l. fall., l’associato ha diritto di far valere nel passivo del fallimento il credito per quella parte dei conferimenti che non è assorbita dalle perdite a suo carico, costituendo elemento essenziale del contratto, come si evince dall’art. 2549 c. c., la pattuizione a favore dell’associato di una prestazione correlata agli utili di impresa e non ai ricavi, i quali ultimi rappresentano in se stessi un dato non significativo circa il risultato economico effettivo dell’attività di impresa.

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 28/04/2017, n. 10583.

In tema di riscossione di contributi previdenziali, l’opposizione avverso la cartella esattoriale di pagamento dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione su diritti ed obblighi inerenti al rapporto previdenziale, sicché grava sull’ente previdenziale l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa e, nella specie, la natura subordinata del rapporto di lavoro. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso la sussistenza di un’associazione in partecipazione tra la dipendente e la società opponente sul rilievo che quest’ultima non aveva provato gli elementi propri di tale rapporto, peraltro omettendo di considerare il documento contrattuale sottoscritto dalle parti e le risultanze testimoniali per attribuire valenza esclusiva alla natura dell’attività lavorativa svolta, di addetta alle vendite di un negozio).

Cass. civ. Sez. lavoro, 07/04/2017, n. 9032.

L’elemento differenziale tra il contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa e di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato risiede nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l’apporto della prestazione lavorativa da parte dell’associato e l’espletamento di analoga prestazione lavorativa da parte di un lavoratore subordinato.

Cass. civ. Sez. lavoro, 31/08/2016, n. 17447.

In merito alla distinzione tra rapporto di associazione in partecipazione e rapporto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa, la riconducibilità del rapporto all’uno o all’altro degli schemi predetti esige un’indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che mentre il primo implica l’obbligo del rendiconto periodico dell’associante e l’esistenza per l’associato di un rischio di impresa, il rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere dell’associante di impartire direttive ed istruzioni al cointeressato, con assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare della persona o dell’organo che assume le scelte di fondo dell’organizzazione dell’azienda.

Cass. civ. Sez. I Sent., 21/06/2016, n. 12816.

Il contratto di associazione in partecipazione, che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l’attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota di utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all’altro (associato) e l’apporto da quest’ultimo conferito, non determina la formazione di un soggetto nuovo e la costituzione di un patrimonio autonomo, né la comunanza dell’affare o dell’impresa, i quali restano di esclusiva pertinenza dell’associante, sicché soltanto l’associante fa propri gli utili e subisce le perdite, senza alcuna partecipazione diretta ed immediata dell’associato, che può unicamente pretendere, una volta che l’affare sia concluso con esito positivo, la liquidazione ed il pagamento di una somma di denaro corrispondente all’apporto ed alla quota spettante degli utili.

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 01/12/2015, n. 24427.

Nel caso di contratto misto di associazione in partecipazione e collaborazione di lavoro è ammissibile che le parti assumano il reddito netto dell’associante quale parametro per determinare, in percentuale, la distribuzione degli utili (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello relativa a contratto concluso, e in essere, anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 53 del d.lgs. n. 81 del 2015).

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 08/10/2015, n. 20189.

Nell’associazione in partecipazione, ancorché la disciplina dell’art. 2552 c.c. sia derogabile, l’associante non può restare esonerato da ogni perdita, ossia dal rischio di impresa, in contrasto con l’art. 2549 c.c.

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 29/01/2015, n. 1692.

La riconducibilità del rapporto di lavoro al contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato ovvero al contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili, esige un’indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica l’obbligo del rendiconto periodico dell’associante e l’esistenza per l’associato di un rischio di impresa, il secondo comporta un effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere dell’associante di impartire direttive e istruzioni al cointeressato, con assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare di colui che assume le scelte di fondo dell’organizzazione aziendale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ravvisato un’associazione in partecipazione nella ampia autonomia dell’associato – privo di vincoli di orario – nella gestione del rapporto con i fornitori e nella fissazione di prezzi e condizioni di vendita delle merci, nell’assenza di controllo da parte dell’associante sulle presenze dell’associato, nella partecipazione di questi agli utili ed alle perdite in relazione all’andamento dei singoli esercizi).

Cass. civ. Sez. I Sent., 17/04/2014, n. 8955.

Il contratto di cointeressenza impropria, quale risulta delineato dall’art. 2554 cod. civ., si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l’attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota di utili derivanti dalla gestione di una sua impresa all’altro (associato) e l’apporto che quest’ultimo, senza partecipare alle perdite, conferisce per lo svolgimento di quell’impresa. Ne consegue l’applicabilità delle norme dettate per i contratti a prestazioni corrispettive, tra cui gli artt. 1460 e 1220 cod. civ.

Cass. civ. Sez. I Sent., 30/05/2013, n. 13649.

Il contratto di associazione in partecipazione per un periodo di tempo determinato non è un contratto basato sull’elemento della fiducia e, pertanto, non è consentito il recesso unilaterale anticipato.

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 28/01/2013, n. 1817.

In tema di contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato, l’elemento differenziale rispetto al contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili d’impresa risiede nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l’apporto della prestazione da parte dell’associato, dovendosi verificare l’autenticità del rapporto di associazione, che ha come elemento essenziale, connotante la causa, la partecipazione dell’associato al rischio di impresa e alla distribuzione non solo degli utili, ma anche delle perdite. Pertanto, laddove è resa una prestazione lavorativa inserita stabilmente nel contesto dell’organizzazione aziendale, senza partecipazione al rischio d’impresa e senza ingerenza ovvero controllo dell’associato nella gestione dell’impresa stessa, si ricade nel rapporto di lavoro subordinato in ragione di un generale “favor” accordato dall’art. 35 Cost., che tutela il lavoro “in tutte le sue forme ed applicazioni”.

Cass. civ. Sez. I, 14/05/2012, n. 7426.

In merito all’interpretazione della volontà espressa in contratto oggetto di controversia, a fronte di un contratto a contenuto sinallagmatico, come può essere il contratto di associazione in partecipazione, è necessario che l’Autorità giudiziaria adita, tenuto conto dei canoni interpretativi prescritti dal codice di rito, riconduca tale volontà alla realizzazione dell’equo contemperamento degli interessi delle parti.

Cass. civ. Sez. I, 14/05/2012, n. 7426.

Al fine di pervenire ad una corretta interpretazione del contratto oggetto di controversia, occorre innanzitutto ricercare la comune volontà delle parti, non esclusivamente sulla base della sua aderenza al testo normativo, ma anche al comportamento delle parti. Di talché, nel caso in esame, la sentenza impugnata è stata considerata viziata, dal momento che non ha fornito le ragioni di un comportamento negoziale alquanto illogico, essendo volto all’acquisizione di una prestazione di mero contenuto intellettuale che si sarebbe potuta acquisire con la stipulazione di un contratto d’opera e non con il coinvolgimento del progettista nell’impresa mediante l’associazione in partecipazione.

Cass. civ. Sez. lavoro, 21/02/2012, n. 2496.

L’associazione in partecipazione con apporto di lavoro e rapporto di lavoro subordinato con retribuzione legata ai risultati ed agli utili dell’impresa si distinguono in quanto la prima ipotesi comporta la sopportazione delle perdite con piena partecipazione al rischio d’impresa.

Cass. civ. Sez. lavoro, 21/11/2011, n. 24619.

Laddove la prestazione lavorativa sia inserita stabilmente nel contesto aziendale senza ingerenza nella gestione o partecipazione al rischio d’impresa, il rapporto di lavoro deve qualificarsi come subordinato. Compete al giudice del merito accertare circostanze e fatti idonei ad escludere o avvalorare la sussistenza della subordinazione, nelle varie forme nelle quali può manifestarsi.

Cass. civ. Sez. I Sent., 28/10/2011, n. 22521.

Il principio espresso dall’art. 1458, primo comma, cod. civ., secondo cui gli effetti retroattivi della risoluzione non operano per le prestazioni già eseguite, riguarda i contratti ad esecuzione continuata o periodica, ossia soltanto quelli in cui le obbligazioni di durata sorgono per entrambe le parti e l’intera esecuzione del contratto avviene attraverso coppie di prestazioni da realizzarsi contestualmente nel tempo. Pertanto, ad essi non può ricondursi il contratto di associazione in partecipazione ex art. 2549 cod. civ., con il quale l’associante attribuisce all’associato, come corrispettivo di un determinato apporto unitario, una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari, trattandosi, a differenza del contratto di società, di un negozio bilaterale, che crea un singolo scambio fra l’apporto e detta partecipazione.

Cass. civ. Sez. I Sent., 24/06/2011, n. 13968.

Il contratto di associazione in partecipazione, che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l’attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota di utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all’altro (associato) e l’apporto da quest’ultimo conferito, non determina la formazione di un soggetto nuovo e la costituzione di un patrimonio autonomo, nè la comunanza dell’affare o dell’impresa, i quali restano di esclusiva pertinenza dell’associante. Ne deriva che soltanto l’associante fa propri gli utili e subisce le perdite, senza alcuna partecipazione diretta ed immediata dell’associato, il quale può pretendere unicamente che gli sia liquidata e pagata una somma di denaro corrispondente alla quota spettante degli utili e all’apporto, ma non che gli sia attribuita una quota degli eventuali incrementi patrimoniali, compreso l’avviamento, neppure se ciò le parti abbiano previsto nel contratto, in quanto una clausola di tal fatta costituisce previsione tipica dello schema societario, come tale incompatibile con la figura disciplinata dagli artt. 2549 e segg. cod. civ., con la conseguenza che al contratto complesso, in tal modo configurabile, deve applicarsi soltanto la disciplina propria del contratto di associazione in partecipazione, ove sia accertato che la funzione del medesimo sia quella in concreto prevalente.

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 24/02/2011, n. 4524.

In tema di distinzione fra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato, pur avendo indubbio rilievo il “nomen iuris” usato dalle parti, occorre accertare se lo schema negoziale pattuito abbia davvero caratterizzato la prestazione lavorativa o se questa si sia svolta con lo schema della subordinazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la sussistenza di elementi caratterizzanti la associazione in partecipazione, ossia la partecipazione agli utili e la sottoposizione di rendiconti, ed aveva invece ravvisato la subordinazione nelle concrete modalità di svolgimento del rapporto, caratterizzate dal pagamento di retribuzione a cadenze fisse, da direttive tecniche e continui controlli della prestazione).

Cass. civ. Sez. lavoro, 27/01/2011, n. 1954.

Non vale ad escludere la causa del contratto di associazione in partecipazione la mancanza di effettiva possibilità di controllo dell’associato sulla gestione dell’impresa, atteso che l’art. 2552, co. 3, c.c. prevede il diritto dell’associato al controllo ed al rendiconto annuale della gestione, ma non ne determina le modalità, lasciando alle parti il potere di stabilire le modalità del controllo e lasciando poi libera la parte associata di esercitare o non tali poteri. Anche le modalità concrete del controllo e del rendiconto non rientrano, dunque, nella struttura essenziale della causa del contratto de quo e non ne determinano l’invalidità.

Cass. civ. Sez. I Sent., 12/11/2010, n. 23015.

L’offerta al pubblico di valori mobiliari di associazione in partecipazione – mediante emissione di certificati rappresentativi della posizione di associato – non costituisce negozio in frode alla legge, ex art. 1344 cod. civ. in relazione all’art.2410 cod. civ. ed alla luce della legge n. 216 del 1974 (disposizioni applicabili, “ratione temporis”, con riguardo al quadro normativo vigente prima del d.lgs. n. 385 del 1993), in quanto la disciplina del prestito obbligazionario è modellata su quella del mutuo, e la diversità rispetto al contratto di associazione in partecipazione, individuabile nel fatto che l’associato rischia il suo apporto, porta ad escludere che l’emissione di buoni rappresentativi da parte dell’associata possa integrare l’elusione dell’art. 2410 cod. civ..

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 28/05/2010, n. 13179.

L’associazione in partecipazione ha, quale elemento causale indefettibile di distinzione dal rapporto di collaborazione libero-professionale, il sinallagma tra partecipazione al rischio d’impresa gestita dall’associante e conferimento dell’apporto lavorativo dell’associato. Ne consegue che l’associato il cui apporto consista in una prestazione lavorativa deve partecipare sia agli utili che alle perdite, non essendo ammissibile un contratto di mera cointeressenza agli utili di un’impresa senza partecipazione alle perdite, tenuto conto dell’espresso richiamo, contenuto nell’art. 2554, secondo comma cod. civ., all’art. 2102 cod. civ., il quale prevede la partecipazione del lavoratore agli utili “netti” dell’impresa.

Cass. civ. Sez. lavoro, 08/02/2010, n. 2728.

In caso di domanda diretta ad accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro, qualora la parte che ne deduce l’esistenza non abbia dimostrato la sussistenza del requisito della subordinazione – ossia della soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che discende dall’emanazione di ordini specifici oltre che dall’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo sull’esecuzione della prestazione lavorativa – non occorre, ai fini del rigetto della domanda, che sia provata anche l’esistenza del diverso rapporto dedotto dalla controparte (nella specie, di associazione in partecipazione), dovendosi escludere che il mancato accertamento di quest’ultimo equivalga alla dimostrazione dell’esistenza della subordinazione, per la cui configurabilità è necessaria la prova positiva di specifici elementi che non possono ritenersi sussistenti per effetto della carenza di prova su una diversa tipologia di rapporto.

Cass. civ. Sez. lavoro, 26/01/2010, n. 1584.

Qualora venga accertato che all’associato in partecipazione viene corrisposto un assegno erogato mensilmente in modo costante e risulta assente qualsiasi indicazione in tema di rendiconto periodico, di ripartizione di utili e di gestione degli incassi, il rapporto lavorativo deve qualificarsi come subordinato.

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 08/10/2008, n. 24871.

In tema di distinzione fra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa, la riconducibilità del rapporto all’uno o all’altro degli schemi predetti esige un’indagine del giudice del merito – volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti – il cui accertamento, se adeguatamente e correttamente motivato, non è censurabile in sede di legittimità.

Cass. civ. Sez. I Sent., 01/10/2008, n. 24376.

Al contratto di associazione in partecipazione non si applica il divieto del patto leonino, dettato in materia societaria dall’art. 2265 cod. civ., ai sensi del quale è vietato che uno o più soci siano esclusi in modo totale e costante dagli utili o dalle perdite; quanto alla posizione dell’associato, l’unica regola inderogabile consiste nel divieto, posto dall’art. 2553 cod. civ., di porre a carico del medesimo perdite in misura superiore al suo apporto, potendo invece le parti determinare tale onere in misure diverse dalle partecipazioni agli utili o anche escluderlo del tutto, come avviene nella cosiddetta cointeressenza impropria.

Cass. civ. Sez. III Sent., 15/07/2008, n. 19444.

In tema di associazione in partecipazione, posto che lo schema legale tipico di tale contratto prevede la partecipazione dell’associato alle perdite, grava su quest’ultimo l’onere di dimostrare, nel rispetto dei limiti di ammissibilità della relativa prova stabiliti dall’art. 2721 cod. civ., di essere stato pattiziamente esentato dalla partecipazione alle perdite stesse.

Cass. civ. Sez. II Sent., 17/07/2007, n. 15920.

Nell’associazione in partecipazione l’associato non può subire perdite superiori al suo apporto. Dalla lettura coordinata degli artt. 2553 e 2554 cod. civ. si ricava l’inderogabilità di questa regola e l’incompatibilità di una clausola di contrario tenore con il modello negoziale dell’associazione in partecipazione.

Cass. civ. Sez. lavoro, 18/04/2007, n. 9264.

Il riferimento al “nomen iuris” dato dalle parti al negozio, risulta di maggiore utilità, rispetto alle altre, in tutte quelle fattispecie in cui i caratteri differenziali tra due o più figure negoziali appaiono non agevolmente tracciabili, non potendosi negare che quando la volontà negoziale si è espressa in modo libero (in ragione della situazione in cui versano le parti al momento della dichiarazione) nonché in forma articolata, sì da concretizzarsi in un documento, ricco di clausole aventi ad oggetto le modalità dei rispettivi diritti ed obblighi, il giudice deve accertare in maniera rigorosa se tutto quanto dichiarato nel documento si sia tradotto nella realtà fattuale attraverso un coerente comportamento delle parti stesse. La valutazione del documento negoziale, tanto più rilevante quanto più labili appaiono i confini tra le figure contrattuali astrattamente configurabili, non può, dunque, non assumere una incidenza decisoria anche allorquando tra dette figure vi sia quella del rapporto di lavoro subordinato (nella specie, la S.C., in controversia concernente l’asserita insussistenza di un’omissione contributiva per una rapporto di associazione in partecipazione, qualificato dall’INPS come rapporto di lavoro subordinato, ha cassato con rinvio la decisione della corte territoriale rimarcando la generale portata applicativa del principio valido nell’ambito dell’ampia categoria dei rapporti aventi ad oggetto una prestazione lavorativa, prestata o meno con vincolo di subordinazione, quali i rapporti lavorativi dei soci d’opera, dei soci di cooperativa, i contratti di lavoro autonomo in cui la prestazione lavorativa abbia tratti assimilabili a quelli del lavoro subordinato)

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Come avrai notato, la disciplina prevista in materia di associazione in partecipazione è decisamente articolata poiché occorre valutare molti elementi e ponderare diverse opzioni per addivenire ad una scelta adeguata.

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