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Nell’ambito delle azioni revocatorie previste dal diritto italiano, una delle 3 forme è la revocatoria fallimentare.
Lo scopo di ogni azione revocatoria è quella di tutelare i creditori di un soggetto che ha mal disposto dei propri beni.
Anche il caso del fallimento non è da meno.
Nel momento in cui venga dichiarato un fallimento, il tribunale ha il potere di nominare un curatore fallimentare che si occupi della gestione della procedura e, fra gli altri incarichi, anche della soddisfazione dei creditori.
Ovviamente, questi ultimi, nel momento in cui un’impresa ha un fallimento in corso, devono ottenere la massima tutela possibile ed è esattamente quello che si presuppone di fare l’azione revocatoria fallimentare.
Vediamo cos’è l’azione revocatoria fallimentare, quali beni interessa e i casi nei quali si può evitare.
Cos’è l’azione revocatoria fallimentare?
L’azione revocatoria fallimentare è disciplinata dall’art. 67 della Legge Fallimentare.
In sostanza si tratta di uno strumento messo a disposizione dal legislatore per ricostituire il patrimonio del soggetto fallito.
Come fa tutto questo? Con l’effetto di ogni azione revocatoria, ossia rendendo inefficaci gli atti di disposizione dei propri beni che il fallito ha posto in essere.
Stiamo parlando, ovviamente, degli atti che ha realizzato nel periodo antecedente al fallimento, in ossequio a determinate pratiche che vedremo durante la spiegazione.
Tramite la revocatoria fallimentare tutti gli atti che il fallito ha posto in essere, che possono andare dalle vendite ai pagamenti, vengono resi inefficaci.
Quindi, da una parte lo scopo dell’azione revocatoria fallimentare è quello di ricostituire il patrimonio del soggetto fallito per dare soddisfazione alle pretese vantate dai suoi creditori.
Ma, dall’altra, si propone anche di evitare l’ulteriore aggravamento della crisi rispetto a ciò che è già stato fatto dal fallito.
Chi è il soggetto legittimato?
All’inizio abbiamo accennato alla figura del curatore fallimentare. È proprio lui il soggetto abilitato ad esperire l’azione revocatoria fallimentare.
Il legislatore conferisce tanti compiti al curatore fallimentare che rientrano nell’amministrazione e nella gestione del patrimonio fallimentare.
Tra questi, uno degli obblighi chiave che ha è quello di far ottenere ai creditori la massima soddisfazione possibile.
Per farlo sfrutta proprio la revocatoria fallimentare.
Il periodo sospetto
Ma quali sono gli atti interessati dalla revocatoria fallimentare? A stabilirlo è il cosiddetto periodo sospetto.
Questo periodo opera a ritroso dal deposito della domanda e rappresenta l’arco temporale all’interno del quale opera l’azione revocatoria fallimentare.
A definire il periodo sospetto è direttamente l’art. 67 della Legge Fallimentare. In base ai beni interessati, vigono termini diversi:
- 6 mesi per le normali operazioni;
- 1 anno per gli atti anormali;
- 2 anni per gli atti a titolo gratuito e i pagamenti dei debiti che prevedevano una scadenza successiva al fallimento.
Quali sono gli atti revocabili?
Come avrai già intuito, sono molte le categorie di atti revocabili. Così come sono tante anche quelle degli atti che non lo sono.
Una prima consapevolezza è rappresentata dal fatto che esistano atti che già di per sé evitano la revocatoria fallimentare.
Prima di tutto vediamo quelli che rientrano nella casistica e a definirli è sempre l’art. 67 della Legge Fallimentare:
“Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore:
1. gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso;
2. gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;
3. i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti;
4. i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.
Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.”
Quali sono gli atti non revocabili?
Esattamente come per gli atti revocabili, l’art. 67 stabilisce in modo capillare anche gli atti non soggetti a revocatoria fallimentare. Vediamo un estratto del testo dell’articolo.
Non sono soggetti all’azione revocatoria:
a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso;
b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;
c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio;
d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria;
e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 161;
f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;
g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali e di concordato preventivo.
I termini dell’azione revocatoria
Secondo quanto stabilisce l’art. 69 bis della Legge Fallimentare, l’azione revocatoria fallimentare deve essere esperita entro 3 anni dalla dichiarazione del fallimento e, al massimo, entro 5 anni dalla data dell’atto di disposizione che si intende revocare con l’azione.
Come evitare la revocatoria fallimentare?
Gli atti tassativamente indicati dalla legge sono inefficaci e colpiti da revocatoria legale.
Per tutti gli altri, invece, la revocatoria fallimentare può essere evitata se lo stesso curatore decida di esperire la revocatoria ordinaria contro il fallito.
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