Azioni per l’adempimento contrattuale

Nel nostro ordinamento giuridico la legge da la possibilità ai privati non solo di regolamentare i propri interessi, nei limiti dell’autonomia negoziale disciplinata dal corpus normativo che disciplina i rapporti intersoggettivi tra privati ovvero il Codice civile, ma anche di tutelarsi in caso di inadempimento. 

Non tutti i contratti, infatti, seppur legittimamente stipulati, vengono adempiuti dalle parti. Cosa fare in questi casi? Niente panico, nel Codice civile esistono una pluralità di norme che prevedono una serie di strumenti volti proprio a tutelare la parte lesa dall’altrui inadempimento. 

Un esempio forse potrebbe rendere più chiaro l’argomento. Si pensi al classico contratto di compravendita mediante il quale un soggetto vende ad un altro soggetto un bene. Ebbene, in questo caso, cosa fare se il venditore non dovesse consegnare il bene venduto, o se l’acquirente non dovesse pagare il prezzo? 

La risposta non può essere “univoca” ciò perché esistono svariate azioni che il soggetto non inadempiente può esperire al fine di tutelare al meglio i propri interessi. Nel caso sopra esaminato è possibile far riferimento all’art. 1453 c.c. La norma citata prevede due differenti strade: agire in giudizio per ottenere l’adempimento della prestazione (non avvenuto spontaneamente), oppure chiedere la risoluzione del contratto. In entrambi i casi, il creditore sarà altresì legittimato a proporre la domanda di risarcimento del danno.

1.  Cos’è L’inadempimento?

Prima di analizzare i vari strumenti previsti dalla legge per poter tutelare il soggetto non inadempiente è necessario capire cos’è l’inadempimento e quando esso si verifica. 

In estrema sintesi, un obbligo è definibile “adempiuto” quando il soggetto che è tenuto ad adempiere ha soddisfatto l’interesse della controparte. Ritornando all’esempio sopra richiamato, se il venditore non consegna materialmente il bene al soggetto acquirente, si verificherà inadempiento.

Pertanto, l’inadempimento si verifica quando un soggetto, che è tenuto ad una determinata condotta, disattende il contenuto del contratto stipulato. Dall’inadempimento di una parte contrattuale derivano una pluralità di effetti giuridici come ad esempio la possibilità di risolvere il contratto, di chiedere il risarcimento del danno di eccepire l’inadempimentoal fine di non adempiere ecc. Fatte le debite premesse, è necessario ora analizzare i vari rimedi previsti nel Codice civile. 

2.  Inadempimento e rimedi

Come sopra anticipato, una volta verificatosi l’inadempimento contrattuale, la parte non inadempiente ha a disposizione una pluralità di azioni al fine di tutelare i propri interessi. Ovvero: 

  • Rifiuto di adempiere alla propria prestazione, attraverso l’eccezione di inadempimento prevista dall’art. 1460 c.c.;
  • Agire in giudizio per chiedere la risoluzione del contratto, quando ovviamente la prestazione non sia più possibile o non si abbia più interesse ad ottenere l’esecuzione del contratto (art. 1453 c.c.).
  • Ottenere l’adempimento della prestazione, attraverso l’azione di manutenzione del contratto (art. 1453);
  • Risarcimento del danno in forma specifica (art.2058 c.c.).

2.1. L’eccezione di inadempimento, art. 1460 cc

Nel caso di contratti di natura sinallagmatica (ovvero contratti con prestazioni corrispettive, detti anche do ut des) il legislatore ha previsto, tra i vari strumenti di tutela, l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.

In estrema sintesi, si tratta di uno strumento di “autotutela”, ciò perché nei contratti a prestazioni corrispettive (come, ad esempio, la vendita) ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria prestazione, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. 

Tuttavia, il secondo comma della norma sopra citata precisa che, non è possibile rifiutarsi nell’eseguire il contratto se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede. 

Lo scopo della norma è quello di evitare che una parte possa adempiere ai propri obblighi contrattuali quando l’altra parte ha deciso di non adempiere ai propri obblighi. È per questo che l’art. 1460 c.c. oltre ad essere uno strumento di tutela, o meglio di autotutela, riconosciuto dal legislatore ai privati, rappresenta anche uno strumento volto ad evitare il giudizio.  

Un esempio concreto può chiarire l’ambito operativo di applicazione della norma in esame. Prendendo come riferimento sempre il contratto di compravendita, il contratto a prestazioni corrispettive per eccellenza, nel caso in cui l’acquirente si rifiuti di pagare contestualmente il venditore per il trasferimento del bene, il venditore può rifiutarsi, ai sensi dell’art. 1460 c.c. di adempiere la propria prestazione (ovvero quella di far acquistare la proprietà del bene oggetto del contratto all’acquirente e di consegnare il bene). 

Nel caso previsto dal secondo comma, invece, l’eccezione non è legittima se l’inadempimento altrui è di lieve importanza, ad esempio l’acquirente non riesce a pagare il venditore se non dopo alcune ore dalla vendita (a patto che non sia oggettivamente o soggettivamente rilevabile un termine di adempimento). 

L’eccezione d’inadempimento è comunemente definita come azione sia giudiziale che extragiudiziale. Ciò significa, in poche parole, che può essere concretamente utilizzata sia all’interno di un processo incardinato dinanzi al giudice, sia al di fuori del processo (ed è proprio in questo caso che l’istituto in esame svolge la sua funzione di autotutela). 

Infine, è bene precisare che, diversamente da altri strumenti di tutela disciplinati nel Codice civile, l’eccezione d’inadempimento è finalizzata a mantenere in vita il contratto, in quanto la parte sospende momentaneamente l’esecuzione.

2.2. Risoluzione del contratto e gravità dell’inadempimento

Il rimedio della risoluzione è finalizzato ad ottenere lo scioglimento del rapporto contrattuale attraverso una sentenza emessa dal giudice. In caso di inadempimentocontrattuale, infatti, la parte non inadempiente non ha alcun interesse a mantenere in vita il contratto, pertanto, è legittimata ad agire in giudizio al fine di ottenere lo scioglimento del contratto. 

La risoluzione del contratto ha un effetto ex nunc rispetto alle prestazioni da eseguire (ovvero non dovranno più essere eseguite), ed ha un effetto ex tunc rispetto alle prestazioni già eseguite. Ciò significa, in poche parole, che le prestazioni già eseguite dovranno essere “restituite” alla parte non inadempiente. 

Ma non finisce qui, in caso di risoluzione del contratto a causa dell’altrui inadempimento, è possibile richiedere anche il risarcimento del danno subito. Si tratta, dunque, di una azione che tende ad eliminare dal “mondo giuridico” il contratto stipulato e rimasto inadempiuto. Tuttavia, è bene precisare che per poter richiedere ed ottenere il risarcimento del danno è necessario che l’inadempimento della controparte sia a lui “imputabile”. Ciò significa che l’inadempimento deve essere stato causato per “colpa” della parte. Viceversa, in caso di inadempimento non oggettivamente e soggettivamente imputabile al soggetto, legittimano solo la risoluzione del contratto

Per evitare che una tale azione così incisiva sia abusata dalle parti, il Codice civile ha previsto un limite alla gravità dell’inadempimento. Infatti, non è possibile agire in giudizio e richiedere la risoluzione del contratto per qualsiasi inadempimento altrui.  In base all’art. 1455 c.c., non può essere richiesta la risoluzione del contratto se l’inadempimento è di scarsa importanza (ad esempio un ritardo nella consegna di qualche ora).

Ciò significa, in poche parole, che per poter richiedere il risarcimento del danno è fondamentale che l’inadempimento sia grave, ovvero, capace di rendere “inattuabili” gli interessi che le parti intendevano perseguire ed attuare proprio con il contratto stipulato. 

Ovviamente questa è la c.d. risoluzione “giudiziale”, ma in realtà esiste anche la c.d. risoluzione di “diritto”, ovvero, la risoluzione senza intervento del giudice. Ciò è possibile nel caso in cui è inserito nel regolamento contrattuale la “clausola risolutiva espressa” ai sensi dell’art. 1456 c.c. oppure un “termine essenziale” ai sensi dell’art. 1457 c.c.

Nel primo caso, ovvero con la clausola risolutiva espressa, le parti possono pattuire che l’inadempimento di una o più obbligazioni determinate porti alla risoluzione del contratto. La risoluzione si verifica quando il creditore dichiara all’altra di volersi avvalere della clausola. Viceversa, con il termine essenziale, se l’obbligazione non è adempiuta nel termine ritenuto essenziale per il creditore, il contratto è risolto di diritto alla scadenza del termine, a meno che il creditore voglia esigere la prestazione nonostante la scadenza del termine dandone notizia al debitore con comunicazione da inviare entro tre giorni 

Infine, esiste anche la diffida ad adempiere, espressamente disciplinata dall’art. 1454 c.c. il quale dispone che a parte non inadempiente può intimare all’atra l’adempimento in un congruo termine non inferiore a 15 giorni. Scaduto il termine il contratto sarà risolto di diritto senza, quindi, ulteriori interventi o decisioni giudiziarie.

3. Azione di adempimento

Lo strumento utilizzabile dalla parte non inadempiente varia a seconda dell’interesse che vuol perseguire. Se, ad esempio, non ha nessun interesse a che la controparte adempia al contratto, magari perché ormai è passato troppo tempo, allora gli conviene agire con l’azione di risoluzione sopra esaminata. 

Viceversa, nel caso in cui la parte non inadempiente abbia ancora un interesse a che la controparte adempia il contratto, potrà agire con l’azione di adempimento contrattuale.

In poche parole, l’azione di adempimento del contratto è finalizzata alla conservazione del rapporto giuridico e consiste in una domanda giudiziale di condanna all’esecuzione della prestazione. La parte che agisce, infatti, chiedere al giudice di condannare la controparte e costringerla ad adempiere il contratto. 

Ovviamente non sempre è possibile ottenere una condanna all’esecuzione in forma specifica del contratto inadempiuta. Si pensi ad esempio all’obbligo di una prestazione di fare infungibile (ad esempio il dover dipingere un quadro particolare, o il dover fare una consulenza ad alta specializzazione tecnica), in tal caso è possibile ottenere solo una tutela per equivalente (denaro). 

Viceversa, in caso di obbligo di “non fare”, ad esempio non costruire un bene in un determinato luogo, è possibile ottenere una condanna del giudice finalizzata ad ottenere la distruzione del bene stesso a spese della parte inadempiente.  

Con la sentenza di condanna all’esito di tale giudizio, il creditore avrà titolo per ottenere quanto dovuto (che può consistere nel dare un qualcosa, fare o non fare una certa azione) e contestualmente potrà richiedere il risarcimento del danno per il ritardo dell’adempimento.

Ovviamente, la parte vittoriosa sarà tenuta a ricevere quanto dovuto oltre a dover adempiere alla propria obbligazione, qualora non avesse già provveduto.

3.1. Quando può essere proposta?

In sintesi, l’azione di adempimento viene richiesta quando sussistono i seguenti presupposti: contratto non adempiuto da una parte, o ritardo nell’adempimento e possibilità di adempiere ancora alla prestazione. Qualora invece vi sia un ritardo consistente al punto da giustificare la perdita d’interesse ad ottenere l’esecuzione della controprestazione, si potrebbe optare per la richiesta di scioglimento del contratto con l’azione di risoluzione. Insomma, tutto dipende dall’interesse della parte che non risulta essere inadempiente.

In estrema sintesi, l’azione di adempimento può essere esercitata in due casi:

  • mancata esecuzione della prestazione;
  • inesatto adempimento sotto il profilo qualitativo o quantitativo.

L’inadempimento o l’inesatto adempimento sono già di per sé degli eventi lesivi, al quale si aggiunge un danno ulteriore rispetto alla mancata esecuzione della prestazione. Per tale ragione si giustifica la tutela risarcitoria, in alternativa o in aggiunta all’azione di adempimento del contratto.

L’azione di adempimento riconosce una tutela satisfattoria del creditore, in quanto egli riceve, la prestazione a lui dovuta in virtù del contratto sottoscritto, come già accennato, solo quando l’adempimento sia ancora possibile.

Non è consentito proporre tale azione quando il ritardo dell’inadempimento non sia imputabile al debitore (art. 1256 c.c.) o nel caso in cui non sia ancora esigibile (non è ancora scaduto il termine previsto per l’adempimento del debitore).

La sentenza di condanna ottenuta è anche titolo esecutivo idoneo a procedere con l’esecuzione forzata nei confronti del debitore, qualora l’inadempimento persista. Ciò significa che la parte che risulta essere vittoriosa nel merito del giudizio, potrà, senza dover attendere l’eventuale passaggio in giudicato della sentenza, agire in esecuzione sul patrimonio della parte inadempiente mediante pignoramento finalizzato ad ottenere la vendita del bene (o dei beni) e la ripartizione del ricavato. 

Nonostante il richiamo all’art. 1453 c.c. sia riferito all’inadempimento contrattuale, è pacifico che possa essere proposta azione di adempimento anche quando si tratti di obbligazioni non nascenti da un vero e proprio contratto, purché ovviamente si fondino sul vincolo della reciprocità.

3.2. Rapporto tra azione di adempimento e risoluzione

Il contraente adempiente ha la facoltà di scegliere quale delle due azioni proporre.

Il comma 2 dell’art. 1453 precisa che, la richiesta in giudizio della condanna all’adempimento non impedisce nel corso del processo di sostituire a tale pretesa la domanda di risoluzione del contratto. Ciò può avvenire nel limite in cui il mutamento della domanda riguarda i medesimi fatti costitutivi posti a fondamento della precedente domanda, e non anche inadempimento diverso da quello originario.

All’opposto, l’azione di risoluzione nega al creditore di modificare la domanda in azione di adempimento.

Una tale differenza è giustificata dal fatto che quando si agisce per ottenere lo scioglimento del contratto, da quel momento la parte inadempiente non può più eseguire la propria prestazione.

A ciò consegue che una volta avviato il giudizio per ottenere lo scioglimento del contratto, anche se sopraggiungano fatti diversi, la parte creditrice non avrà la facoltà di mutare la domanda di risoluzione in azione di adempimento.

3.3 Azione di esecuzione e inadempimento del contratto preliminare

La distinzione tra azione di risoluzione per inadempimento contrattuale ed azione di adempimento assume un rilievo notevole anche in caso di inadempimento del contratto preliminare. 

Spesso, infatti, accade che dopo aver stipulato il contratto preliminare (ovvero quel contratto mediante il quale una parte, o tutte e due, si obbligano a concludere un successivo ed ulteriore contratto) questo non venga regolarmente adempiuto. 

Ebbene, in tal caso la parte non adempiente ha la facoltà di scegliere se agire in giudizio ex art. 1453 c.c. e chiedere la risoluzione del contratto (con eventuale richiesta di risarcimento del danno subito) o chiedere l’adempimento dell’obbligo inadempiuto. 

Qualora la parte dovesse optare per questa seconda opzione, allora il giudice, ricorrendone i presupposti, potrà emettere una sentenza finalizzata ad eseguire in modo coattivo (infatti si parla di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.) il contratto inadempiuto. In poche parole, con la sentenza il giudice può “sostituire” il consenso mancante di una parte e far concludere così il contratto tra le parti stesse. 

Ritornando nuovamente all’esempio sopra richiamato, in caso di preliminare di compravendita, il promittente acquirente, nel caso in cui il promittente venditore non voglia stipulare il definitivo, potrà agire in giudizio e ottenere una sentenza che, ai sensi dell’art. 2932 c.c., rende definitivo il preliminare. 

4. Il risarcimento del danno in forma specifica

L’art. 2058 c.c. prevede la reintegrazione in forma specifica, come forma di tutela risarcitoria.

Lo scopo di una tale azione è consentire la riparazione in natura del danno arrecato alla controparte. Ciò avviene ovviamente quando la prestazione sia tutta o in parte ancora possibile e purchè la parte abbia ancora interesse.

Se confrontata con l’azione di adempimento prevista dall’art. 1453 c.c., possono sembrare molto simili, ma si tratta di una coincidenza che riguarda soltanto gli effetti, avendo presupposti differenti.

Trattandosi di un sottotipo di risarcimento è da intendersi come obbligazione secondaria; infatti, può essere richiesta in relazione all’azione di responsabilità extracontrattuale, art. 2043 c.c. (secondo la giurisprudenza anche alla responsabilità contrattuale) come ristoro del danno patito.

Per quanto possa sembrare poco coerente o irragionevole ottenere all’esito di un giudizio la prestazione, ciò è giustificato dal fatto che l’oggetto della stessa può essere unico o raro in quanto eseguibile soltanto da determinati soggetti (ad esempio un bene particolare prodotto solo da uno specifico fornitore). Seppur non più possibile perché superato il termine per l’adempimento, si può ottenere comunque la medesima obbligazione

È un’azione alternativa al risarcimento del danno per equivalente, il quale invece consiste in una somma di denaro corrispondente al valore della prestazione. Una tale scelta si giustifica quando la reintegrazione in forma specifica sia troppo onerosa da realizzare per il debitore.

4.1. Differenza con l’azione di adempimento

Esistono notevoli differenze tra richiesta di risarcimento del danno in forma specifica ed agire in giudizio per chiedere l’adempimento del contratto inadempiuto. 

Nel primo caso, infatti, il contratto viene “posto nel nulla” dal giudice con una sentenza ad hoc, viceversa, nel secondo caso il giudice emette una sentenza che è finalizzata a soddisfare la pretesa del soggetto che ha agito in giudizio

Tuttavia, la coincidenza o meno con l’azione di adempimento è una questione tuttora aperta in dottrina e in giurisprudenza.

L’azione di adempimento è meno frequente di quanto si immagini, proprio perché nel Codice civile non è disciplinata in modo chiaro e intuitivo. L’unico richiamo è presente nell’art. 1453 c.c. in relazione all’inadempimento di un contratto a prestazioni corrispettive e come alternativa alla risoluzione del contratto.

5. Come prevenire e agire contro l’inadempimento? 

Dopo aver analizzato i vari strumenti previsti dalla legge per tutelarsi dall’altrui inadempimento, è necessario capire se è possibile evitare, e se si come, tutte le problematiche che ruotano attorno all’inadempimento contrattuale

Ciò perché spesso per poter ottenere una sentenza di merito, finalizzata ad ottenere la risoluzione del contratto, la restituzione delle prestazioni e il risarcimento del danno, potrebbero passare anni ed anni. Ebbene, è possibile evitare tutto ciò facendo ricorso ad una serie di strumenti racchiusi nel Codice civile aventi proprio carattere di “autotutela” privata. 

Il primo strumento è stato sopra esaminato ed è proprio l’art. 1460 c.c. Quest’ultimo, ovviamente, non è l’unico strumento utile. È possibile inserire clausole apposite nel regolamento contrattuale, la cui presenza è in grado di esercitare una coazione psicologica nei riguardi delle parti in modo da prevenire l’inadempimento. Si potranno prevedere ad esempio una clausola risolutiva espressa, un termine essenziale o una caparra confirmatoria, una clausola penale etc. 

Ancora, un altro strumento particolarmente utile potrebbe essere il patto marciano, ovvero, il patto mediante il quale le parti prevedono che in caso di inadempimento una delle parti potrà “trattenere” un bene della parte inadempiente (il cui valore ovviamente sarà maggiore o eguale al valore della prestazione da eseguire) per poterlo vendere ad altri e trattenendo, contestualmente, la somma necessaria per tutelare i propri interessi e restituendo all’inadempiente l’eventuale eccedenza.

Lo strumento in questione, infatti, può operare nei limiti di ciò che è previsto dall’art. 2744 c.c. il quale prevede che è nullo il patto con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se dovesse essere posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno. 

Laddove ciò non fosse possibile, ed in coerenza con la natura del contratto in questione, è sempre consigliabile mantenere in vita l’accordo e fare tutto il possibile per evitare lo scioglimento. Questo perché è sempre più agevole riuscire ad ottenere l’adempimento della prestazione, magari anche in modo dilazionato o con qualche ritardo, rispetto a dover agire in giudizio. 

In quest’ultimo caso, infatti, è necessario non solo dover anticipare tutte le spese legali necessarie per affrontare il giudizio, ma è necessario anche dover attendere l’esito del giudizio stesso. Aspetto, quest’ultimo, tutt’altro che secondario visti i tempi della giustizia italiana. 

6. Consulenza e assistenza legale per il tuo caso

Come avrai notato, la disciplina prevista in relazione alle azioni per l’adempimento contrattuale è articolata per cui occorre valutare molti elementi.

Se ti trovi in una situazione di incertezza, prima di agire in via autonoma fatti consigliare da un esperto. Le soluzioni proposte hanno un valore informativo ed orientativo, in quanto il primo passo è interpretare correttamente il contratto soprattutto quando sia atipico.

Proprio per questo motivo, al fine di proteggere e difendere al meglio il tuo Patrimonio, ti consiglio di completare il Modulo di contatto che trovi in questa pagina.

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