Clausola risolutiva espressa: come funziona

La clausola risolutiva espressa cos’è? Come funziona? Qual è il suo ruolo? Che differenza c’è con la clausola penale?

La clausola risolutiva espressa si presenta certamente come un’interessante forma di autotutela privata prevista dall’ordinamento giuridico.

Detto ciò, per avere piena contezza del suo funzionamento, nonché per dare un’adeguata risposta ai diversi interrogati suindicati, dobbiamo prima di tutto definire e inquadrare l’istituto in questione.

1. Clausola risolutiva espressa: definizione

Con la locuzione “clausola risolutiva espressa” si intende, come dice il termine stesso, quella clausola per mezzo della quale i contraenti possono stabilire quell’ipotesi di risoluzione del contratto al verificarsi di uno o più avvenimenti specifici, integrando un particolare inadempimento.

Trattasi, dunque, di una risoluzione per inadempienza, la cui particolarità sta nel fatto che non appare necessario un inadempimento grave o di rilevante importanza. 

1.1. Fonte normativa

Da un punto di vista normativo, la clausola risolutiva espressa trova il proprio fondamento nell’art. 1456 del Codice Civile.

Al riguardo, come specificato al comma 1, i contraenti possono stabilire espressamente che, in caso di mancato adempimento di un’obbligazione secondo le modalità previste, il contratto di risolva.

In tal caso, come determinato all’interno del comma 2 della norma indicata, la risoluzione si verifica di diritto nel momento in cui il contraente interessato dichiara all’altra parte la propria volontà ad avvalersi della clausola risolutiva.

Da quanto è possibile apprendere fin da ora, con la clausola in esame, il legislatore ha voluto fornire un rimedio che possa essere utile tanto nel merito quanto nel rito.

In altri termini, con la predetta norma, è stato fornito uno strumento per mezzo del quale poter effettuare una valutazione preventiva dell’inadempimento del contraente debitore.

Contestualmente, inoltre, da un punto di vista procedurale, o di rito, per mezzo dell’istituto in esame, è possibile trovarsi davanti a uno strumento risolutorio operante per mezzo della sola comunicazione unilaterale.

1.2. La gravità dell’inadempimento

La gravità dell’inadempimento ricopre un ruolo di indubbio interesse.

Al riguardo dobbiamo brevemente ricordarci che l’ordinamento dispone, ai sensi dell’art. 1455 c.c., che il contratto non può risolversi in caso in cui l’inadempimento di una delle parti sia di scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra.

Da quanto espresso nel citato art. 1455, la gravità dell’inadempimento deve determinarsi (nel rispetto della posizione ricoperta dalle parti in causa) considerando tanto l’inadempimento di una delle parti quanto l’interesse all’adempimento dell’altra creditrice.

Ed è proprio in tal contesto che l’art. 1456 c.c. viene ad inserirsi, prevedendo che la valutazione della gravità dell’inadempimento non spetti direttamente al giudice ma sia il contraente stesso a poter fornire, preventivamente, una valutazione dell’inadempimento del contraente debitore. 

1.3. Ruolo dell’obbligazione

Atteso quanto detto fino ad ora, possiamo soffermarci sull’obbligazione e il ruolo della clausola risolutiva espressa al riguardo.

Precisamente, l’obbligazione oggetto di inadempimento, dal quale potrebbe sorgere la risoluzione del contratto, deve indicarsi in modo chiaropuntuale e non generico.

Le ragioni muovono proprio da quanto poc’anzi esposto, ossia che per mezzo della clausola risolutiva espressa, la volontà delle parti tende a sostituirsi al controllo giudiziario in riferimento all’ordine della gravità.

Motivo per cui, all’interno della predetta clausola l’oggetto deve essere ben determinato.

Al riguardo, infatti, recente sentenza del Tribunale di Benevento, si è pronunciata proprio sulla questione ritendendo nulla la clausola risolutiva espressa per indeterminatezza dell’oggetto, nei casi in cui la stessa non contenga la specifica indicazione delle obbligazioni contrattuali da cui i contraenti abbiano deciso di incentrare l’ipotesi di risoluzione contrattuale ex art. 1456 c.c. per inadempimento. (Tribunale di Benevento, sentenza 24 maggio 2019, n. 934)

Detto ciò, inoltre, in caso di contrasti tra le parti, circa l’effettivo inadempimento o meno, o annesse controversie, è necessario intervenire dinanzi a un giudice competente.

Questi, per mezzo di un giudizio di cognizione, sarà chiamato a decidere con una sentenza accertativa.

1.4. Le condizioni di applicabilità

Per quanto riguarda le condizioni di applicabilità, possiamo partire da un presupposto chiarito anche da recente pronuncia della Suprema Corte.

Precisamente, ai fini dell’applicazione della clausola risolutiva espressa, è necessaria la sussistenza dell’inadempimento della controparte.

Nel caso in cui l’inadempimento non dovesse sussistere, la III sezione Civile della Corte di Cassazione ha precisato che la clausola in esame “può rilevare alla stregua di condizione risolutiva ex art. 1353 c.c., purché l’evento cui si riferisce sia sufficientemente determinato, e non rimesso alla mera volontà di una parte” (Cassazione Sez. III Civ., ordinanza n. 24532 del 5 ottobre 2018).

Dunque, la clausola risolutive attribuisce al singolo contraente il potere risolutivo del contratto, purché vi sia un’adeguata definizione delle circostanze.

In altri termini, condizione di applicabilità è certamente la specificazione di quali prestazioni e annesse modalità devono essere adempiute in quanto, in caso contrario, è ammissibile la risoluzione di diritto.

Inoltre, alla predetta condizione deve altresì affiancarsi la necessaria volontà, da parte del contraente, di voler applicare la clausola, senza così ricorrere alla pronuncia del giudice.

Quindi, non solo deve essere prevista nel contratto ma deve anche esserci una chiara volontà del contraente a volerla esercitare. 

Ciò implica che in mancanza di tali presupposti, la clausola in questione sarà di difficile applicazione.

2. Clausola risolutiva espressa: l’ipotesi dell’atto autonomo

In riferimento alla clausola risolutiva espressa, una domanda che possiamo porci attiene all’ipotesi dell’atto autonomo.

Al riguardo, premesso che la stessa costituisce parte integrande di un contratto e che generalmente è presenta la suo interno, non si esclude l’ipotesi di un atto autonomo che la stabilisca.

Ciò è ammissibile purché siano rispettate alcune condizioni, che per semplicità schematizziamo di seguito:

  • l’atto autonomo deve rivestire la medesima forma del contratto di riferimento sul quale potrà incidere;
  • al suo interno deve essere precisata l’obbligazione il cui inadempimento può determinare la risoluzione;
  • l’indicazione non può essere generica né può riferirsi alla totalità degli accordi contrattuali (in caso contrario l’atto non avrà valore).

3. Differenza tra la clausola risolutiva espressa e la clausola penale

A questo punto, chiariti i diversi aspetti della clausola risolutiva espressa, possiamo soffermarci sulle differenze con la clausola penale, spesso oggetto di confusione.

La principale differenza ruota nella finalità dei due istituti.

Sinteticamente, la clausola risolutiva permette al creditore di sciogliersi dal vincolo contrattuale in tutti i casi in cui, all’inadempimento di specifica obbligazione, è possibile la risoluzione.

La clausola penale attiene, invece, ad altra problematica e le specifiche finalità sono rinvenibili nell’art. 1382 Codice Civile.

Ai sensi della citata norma, si prevede che, in caso d’inadempimento o di ritardo nell’adempimento, la clausola con la quale uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione persegue la finalità di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, salvo risarcibilità del danno ulteriore. 

Dunque, la clausola penale sanziona il debitore inadempiente con lo scopo di:

  • consentire il rispetto degli accordi contrattuali;
  • risarcire il contraente creditore senza la necessaria dimostrazione del danno. 

3.1. Peculiarità della clausola penale

Essendo entranti nella materia, dobbiamo necessariamente precisare le peculiarità di tale clausola.

Al riguardo, come poc’anzi accennato, la stessa permette da un lato di esonerare il ceditore dall’onere probatorioattinente al danno da inadempimento (costituendosi quale liquidazione anticipata) e, dall’altro lato, incentiva il debitore all’adempimento di una prestazione che già conosce.

Peculiarità della clausola penale è certamente riconducibile all’esonero in capo al creditore della dimostrazione del danno, che di regola, però, implica una preclusione all’ottenimento di un risarcimento all’eventuale ulteriore pregiudizio.

4. La manifestazione della volontà e le differenze con la risoluzione (art. 1453 c.c.)

Ulteriore differenza si rinviene nel confronto con la risoluzione ai sensi dell’art. 1453 Codice Civile.

Al riguardo, la clausola risolutiva espressa non prevede una risoluzione automatica al mancato pagamento.

La risoluzione a seguito di applicazione di predetta clausola, dunque, non appare de iure

Essa, anzi, si caratterizza per la necessaria manifestazione di volontà della parte interessata. 

In altri termini, la parte interessata, che vuole applicare la clausola risolutiva espressa, deve necessariamente comunicare all’altro contrente, debitore, la propria volontà.

Per quanto attiene al rapporto con la risoluzione ex art. 1453 c.c., da un punto di vista procedurale, la differenza netta si rinviene nel ruolo ricoperto dal giudice in caso di coinvolgimento.

Precisamente, l’applicazione della clausola risolutiva ex art. 1456 c.c., come già detto, consente di ottenere, in caso di intervento del giudice, una pronuncia dichiarativa attinente all’avvenuta risoluzione del contratto di diritto, quale conseguenza dell’applicabilità della clausola stessa.

La risoluzione del contratto per inadempimento, ex art. 1453 c.c., invece, è volta a sciogliere un rapporto contrattuale per mezzo di un accertamento del giudice tanto sulla fondatezza della pretesa e sulla sussistenza dello stato di inadempienza, quanto sulla gravità della stessa.

5. Clausola risolutiva espressa: clausola vessatoria? 

Ultima questione interessa la riconducibilità della clausola in questione tra le clausole vessatorie di cui all’art. 1341 del Codice Civile.

Al riguardo, se optassimo per una visione “chiusa”, dovremmo sostenere che la clausola risolutiva espressa non rientra tra le ipotesi tassative sancite dal citato art. 1341.

D’altro canto, l’elenco delle clausole vessatorie è sì tassativo ma pur sempre aperto a un’interpretazione estensiva, per cui quanto sancito dall’art 1456 c.c. potrebbe rientrarvici.

Fondamentalmente, possiamo concludere rispondendo a quest’ultimo interrogativo in un’ottica più “aperta” ma limitata.

La clausola risolutiva espressa (specialmente nei contratti del consumatore) può risultare inefficace, se non inclusa tra le clausole vessatorie, solo quando la sua applicabilità determina una concreta alterazione dell’equilibrio contrattuale.

Ciò per evitare che anche la più lieve e minimale inadempienza del consumatore sancisca una sua applicabilità e annessa risoluzione.

6. La giurisprudenza rilevante in materia di clausola risolutiva espressa

Cass. civ. Sez. II Ord., 05/05/2022, n. 14195.

In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice non comporta la eliminazione della clausola, né determina la tacita rinuncia ad avvalersene, qualora la stessa parte creditrice, contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza, manifesti l’intenzione di volersene avvalere in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento, in quanto con tale manifestazione di volontà, che non richiede forme rituali e può desumersi per fatti concludenti, il creditore comunque richiama il debitore all’esatto adempimento delle proprie obbligazioni.

Cass. civ. Sez. III Ord., 23/12/2021, n. 41326.

La dichiarazione di avvalimento della clausola risolutiva non può precludere la valutazione dell’inadempimento della parte che dichiara di volersene giovare. Anche quando la parte interessata abbia manifestato la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa, il giudice deve valutare l’eccezione di inadempimento proposta dall’altra parte, attesa la pregiudizialità logica della stessa rispetto all’avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell’art. 1456 c.c., dall’accertamento di un inadempimento colpevole.

Cass. civ. Sez. III Sent., 12/10/2021, n. 27692.

In materia di clausola risolutiva espressa, anche quando la parte interessata abbia manifestato la volontà di avvalersene, il giudice deve valutare l’eccezione di inadempimento proposta dall’altra parte, attesa la pregiudizialità logica della stessa rispetto all’avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell’art. 1456 c.c., dall’accertamento di un inadempimento colpevole.

Cass. civ. Sez. II Ord., 03/09/2021, n. 23879.

La stipulazione di una clausola risolutiva espressa non implica che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l’unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell’inadempimento non deve essere valutata dal giudice.

Cass. civ. Sez. II Ord., 11/08/2021, n. 22725.

Per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate nel contratto o in altro atto o documento alle quali le parti abbiano fatto espresso riferimento, come la dichiarazione di essere nelle condizioni di fruire del mutuo a tasso agevolato o a quelle previste nella domanda di concessione.

Cass. civ. Sez. II Ord., 11/08/2021, n. 22725.

Per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate nello stesso o in altro atto o documento cui le parti abbiano fatto espresso riferimento, quale, nel caso di mutuo di scopo, la dichiarazione di essere nelle condizioni di fruire di un mutuo a tasso agevolato o in quelle previste nella domanda di concessione.

Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 04/08/2021, n. 22246.

In tema di cessazione del rapporto di agenzia, il recesso senza preavviso dell’impresa preponente è consentito nel caso in cui intervenga una causa che impedisca la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Pertanto, in caso di ricorso da parte dell’impresa preponente ad una clausola risolutiva espressa, che può ritenersi valida nei limiti in cui venga a giustificare un recesso “in tronco” attuato in situazioni concrete e con modalità a norma di legge o di accordi collettivi non legittimanti un recesso per giusta causa, il giudice deve comunque verificare anche che sussista un inadempimento dell’agente integrante giusta causa di recesso, tenendo conto delle complessive dimensioni economiche del contratto, dell’incidenza dell’inadempimento sull’equilibrio contrattuale e della gravità della condotta, da valutarsi in considerazione della diversità della posizione dell’agente rispetto a quella del lavoratore subordinato, in ragione del fatto che il rapporto di fiducia nel rapporto di agenzia assume maggiore intensità, stante la maggiore autonomia di gestione dell’attività.

Cass. civ. Sez. II Sent., 17/12/2020, n. 28993.

In tema di donazione modale, la risoluzione per inadempimento dell’onere non può avvenire “ipso iure”, senza valutazione di gravità dell’inadempimento, in forza di clausola risolutiva espressa, istituto che, essendo proprio dei contratti sinallagmatici, non può estendersi al negozio a titolo gratuito, cui pure acceda un “modus”.

Cass. civ. Sez. III Sent., 08/07/2020, n. 14240.

La valutazione sull’esistenza, o meno, di una prassi di tolleranza del ritardo nel pagamento dei canoni locativi costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità ed il mancato esercizio, da parte del locatore, del potere potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per l’inadempimento del locatario, in virtù della previsione di una clausola risolutiva espressa, è l’effetto conformante della buona fede nella fase esecutiva del detto contratto; pertanto, il rispetto di tale principio impone che lo stesso locatore, contestualmente o anche successivamente all’atto di tolleranza, manifesti la sua volontà di avvalersi della menzionata clausola risolutiva espressa in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento e comunque per il futuro.

Cass. civ. Sez. II Sent., 16/01/2020, n. 787.

L’art. 1479, comma 1, c.c. non è applicabile al contratto preliminare di vendita perché, indipendentemente dalla conoscenza da parte del promissario compratore dell’altruità del bene, fino alla scadenza del termine per stipulare il contratto definitivo il promittente venditore può adempiere all’obbligo di procurargliene l’acquisto; seppure ignaro dell’altruità della cosa, il promissario acquirente, quindi, non può chiedere la risoluzione del contratto prima della scadenza del termine, ma, per converso, lo stesso non è inadempiente se, nonostante la maturazione del termine previsto per la stipula del contratto, il promittente venditore non sia ancora proprietario del bene. Ne discende che quest’ultimo non può in tale situazione avvalersi della clausola risolutiva espressa eventualmente pattuita per il caso di inutile decorso del termine, mancando l’essenziale condizione dell’inadempimento del promissario.

Cass. civ. Sez. II Ord., 12/12/2019, n. 32681.

Per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, costituendo una clausola di stile quella redatta con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto; in tale ultimo caso, pertanto, l’inadempimento non risolve di diritto il contratto, sicché di esso deve essere valutata l’importanza in relazione alla economia del contratto stesso, non essendo sufficiente l’accertamento della sola colpa, come previsto, invece, in presenza di una valida clausola risolutiva espressa.

Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 12/11/2019, n. 29301.

La pattuizione di una clausola risolutiva espressa esclude che la gravità dell’inadempimento possa essere valutata dal giudice nei casi già previsti dalle parti.

Cass. civ. Sez. V, 10/05/2019, n. 12468.

La sentenza della Corte di Cassazione del 24/07/2012, n. 12895, sostiene irrilevante l’adempimento tardivo avvenuto dopo la richiesta di risoluzione, soprattutto verso chi si serva della clausola risolutiva espressa e, quindi, manifesti incondizionatamente la propria volontà risolutoria; una tale condotta, alla luce del principio di buona fede oggettiva, è valutata dalla legge come manifestazione di carenza di interesse al conseguimento della prestazione tardiva.

Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 22/02/2019, n. 5401.

Al fine di pronunciare la risoluzione del contratto per inadempimento, l’agire dei contraenti va valutato, anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, secondo il criterio generale della buona fede, sia quanto alla ricorrenza dell’inadempimento, sia con riferimento al conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risoluzione.

Cass. civ. Sez. II Ord., 16/11/2018, n. 29654.

La ordinaria domanda ai sensi dell’art. 1453 c.c., è diversa dalla richiesta di accertamento dell’avvenuta risoluzione ope legis di cui all’art. 1456 c.c. In particolare, è radicale la differenza delle azioni, sia per quanto concerne il petitum, perché con la risoluzione ai sensi dell’art. 1453 c.c. si chiede una sentenza costitutiva mentre, la domanda di cui all’art. 1456 implica una sentenza dichiarativa; sia per quanto concerne la causa petendi, poiché nell’ordinaria domanda di risoluzione, ai sensi dell’art. 1453, il fatto costitutivo è l’inadempimento grave e colpevole, nell’altra, la violazione della clausola risolutiva espressa.

Cass. civ. Sez. III, 13/11/2018, n. 29017.

La clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandolo dall’onere di provarne l’importanza. Di talché, in siffatta ipotesi la risoluzione opera di diritto ove il contraente non inadempiente dichiari di volersene avvalere, senza necessità di provare la gravità dell’inadempimento della controparte.

Cass. civ. Sez. III, 08/11/2018, n. 28502.

Non hanno carattere vessatorio le clausole riproduttive del contenuto di norme di legge; pertanto, non può considerarsi vessatoria la clausola risolutiva espressa inserita nel contratto di locazione di immobili urbani per uso non abitativo e riferita all’ipotesi di inosservanza del termine di pagamento dei canoni, in quanto riproduce il criterio legale di predeterminazione della gravità dell’inadempimento di cui all’art. 5 L. n. 392 del 1978; disposto quest’ultimo non applicabile direttamente alle locazioni non abitative, ma ritenuto utilizzabile per quest’ultime come parametro per valutare la gravità dell’inadempimento.

Cass. civ. Sez. III Ord., 05/10/2018, n. 24532.

In tema di contratto di comodato di impianto di distribuzione di carburante, la clausola che ricolleghi la risoluzione del contratto all’esercizio della insindacabile facoltà del comodante di trasferire o rimuovere l’impianto non è qualificabile come clausola risolutiva espressa e, finendo per attribuire al comodante un diritto assoluto di recesso, incorre nella sanzione di nullità prevista dall’art. 1, comma 10, del d. lgs. n. 32 del 1998, per violazione della durata minima di cui al sesto comma di tale disposizione.

Cass. civ. Sez. III Ord., 05/10/2018, n. 24532.

Presupposto per l’applicazione della clausola risolutiva espressa è l’inadempimento della controparte di chi se ne avvale; ove tale inadempimento non sussista, la clausola può rilevare alla stregua di condizione risolutiva ex art. 1353 c.c., purché l’evento cui si riferisce sia sufficientemente determinato, e non rimesso alla mera volontà di una parte.

Cass. civ. Sez. III Ord., 05/07/2018, n. 17603.

La clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandola dall’onere di provarne l’importanza. Essa non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall’art. 1341, co. 2, c.c., neanche in relazione all’eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di proporre eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla.

Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 06/06/2018, n. 14508.

La tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista in un contratto di locazione, la quale riprende la sua efficacia se il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all’esatto adempimento delle sue obbligazioni. Tuttavia, in applicazione del generale principio di buona fede nell’esecuzione del contratto e del divieto dell’abuso del processo, non può essere imposto al locatore di agire in giudizio avverso ciascuno dei singoli analoghi inadempimenti, al fine di escludere una sua condotta di tolleranza.

Cass. civ. Sez. III Sent., 15/03/2018, n. 6386.

Il diritto potestativo di risolvere il contratto mediante la manifestazione di volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa è soggetto a prescrizione ai sensi dell’art. 2934 c.c., non trattandosi di diritto indisponibile o comunque di situazione giuridica soggettiva per cui tale causa di estinzione sia esclusa dalla legge e l’inizio della decorrenza del relativo termine coincide, secondo la regola generale dettata dall’art. 2935 c.c., con il momento in cui il diritto stesso può essere fatto valere e cioè con il verificarsi dell’inadempimento, mentre il termine di prescrizione decennale del diritto alle altre singole prestazioni successive, distinte e periodiche, decorre dalle singole scadenze di esse, in relazione alle quali sorge, di volta in volta, l’interesse del creditore a ciascun adempimento. (Nella specie, la S.C., decidendo nel merito, ha rigettato la domanda di risoluzione di un contratto di locazione per violazione della clausola risolutiva espressa per inadempimento della prestazione secondaria, consistente nella stipulazione di un’assicurazione per responsabilità civile, in forza della tolleranza protratta per oltre dieci anni).

Cass. civ. Sez. I Ord., 25/01/2018, n. 1899.

La revoca dei benefici e contributi ricevuti ai sensi della l. n. 44 del 1986 sull’imprenditoria giovanile, per il venir meno dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti, può essere equiparata all’avveramento di una clausola risolutiva espressa, sicché il soggetto finanziato è tenuto a restituire all’ente finanziatore tutte le somme, in qualunque forma erogate, indebitamente ricevute in forza della predetta normativa.

Cass. civ. Sez. I Sent., 11/11/2016, n. 23065.

La clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandola dall’onere di provarne l’importanza. Essa non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall’art. 1341, comma 2, c.c., neanche in relazione all’eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di proporre eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla.

Cass. civ. Sez. I, 27/10/2016, n. 21740.

In tema di appalto di opera pubblica, la disciplina procedimentale di cui all’art. 119, D.P.R. n. 554 del 1999, afferente il ritardo dell’appaltatore, funzionale a deliberare la risoluzione in base specificamente alla sequenza procedimentale ivi prevista, non esclude che il contratto di appalto possa essere munito di una clausola risolutiva espressa e, quindi, soggetto ai rimedi privatistici di diritto comune. L’operatività di tale clausola richiede la sola constatazione dell’inadempimento, di talché, in tal caso è vano discettare di corrispondenza a buona fede del comportamento del creditore che intenda avvalersi della stessa.

Cass. civ. Sez. I Sent., 27/10/2016, n. 21740.

In caso di inadempimento dell’appaltatore nello svolgimento di un appalto di opera pubblica, accanto alla facoltà concessa alla P.A. committente di sciogliersi, mediante la procedura prevista dall’art. 119 del d.P.R. n. 554 del 1999 (applicabile “ratione temporis”, ma ora sostituito dall’art. 136 del d.lgs. n. 163 del 2006), concorre autonomamente quella di apporre una clausola risolutiva espressa, espressione di una posizione non autoritativa ma paritetica della P.A. e governata dalla disciplina civilistica. Ne consegue che, apposta tale clausola e individuato espressamente l’inadempimento idoneo a determinare la risoluzione del contratto, è sufficiente la semplice constatazione di tale inadempimento per addivenire alla risoluzione del contratto, senza che vi sia la necessità, per la P.A., di seguire la procedura prevista dall’art. 119 cit.

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 22/09/2016, n. 18585.

Il collegamento negoziale non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo negozio ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, che conservano una loro causa autonoma, ancorché ciascuno sia finalizzato ad un unico regolamentazione dei reciproci interessi, sicché il vincolo di reciproca dipendenza non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e conservi una distinta individualità giuridica, spettando i relativi accertamenti sulla natura, entità, modalità e conseguenze del collegamento negoziale al giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, ravvisato un collegamento negoziale tra un contratto di agenzia per il collocamento di prodotti finanziari e un contratto di finanziamento, aveva ritenuto che la risoluzione del primo si ripercuotesse sul secondo, per effetto di una clausola risolutiva espressa ivi prevista).

Cass. civ. Sez. II Sent., 21/07/2016, n. 15070.

In difetto di clausola risolutiva espressa, la risoluzione del contratto per inadempimento può essere ottenuta solo mediante intimazione ad adempiere ex art. 1454 c.c., essendo privo di effetto l’atto unilaterale con cui la parte dichiari risolto il contratto.

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 11/03/2016, n. 4796.

La clausola risolutiva espressa presuppone che le parti abbiano previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, sicché la clausola che attribuisca ad uno dei contraenti la facoltà di dichiarare risolto il contratto per “gravi e reiterate violazioni” dell’altro contraente “a tutti gli obblighi” da esso discendenti va ritenuta nulla per indeterminatezza dell’oggetto, in quanto detta locuzione nulla aggiunge in termini di determinazione delle obbligazioni il cui inadempimento può dar luogo alla risoluzione del contratto e rimette in via esclusiva ad una delle parti la valutazione dell’importanza dell’inadempimento dell’altra.

Cass. civ. Sez. III Sent., 22/12/2015, n. 25740.

Nell’ipotesi in cui, nel corso del procedimento instaurato dal locatore per ottenere la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, intervenga la restituzione dell’immobile per finita locazione, non vengono meno l’interesse ed il diritto del locatore ad ottenere l’accertamento dell’operatività di una pregressa causa di risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore, potendo da tale accertamento derivare effetti a lui favorevoli. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha annullato la decisione di merito che aveva dichiarato cessata la materia del contendere, sul presupposto dell’avvenuta cessazione del contratto di locazione ad uso non abitativo nelle more tra il giudizio di primo e secondo grado, rilevando, per contro, la persistenza dell’interesse all’accertamento dell’avvenuta risoluzione del contratto, in forza dell’operatività di una clausola risolutiva espressa, giacché essa avrebbe comportato, ai sensi dell’art. 1458 c.c., la condanna alla restituzione delle prestazioni adempiute).

Cass. civ. Sez. I Sent., 23/11/2015, n. 23868.

L’agire dei contraenti va valutato, anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, secondo il criterio generale della buona fede, sia quanto alla ricorrenza dell’inadempimento che del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risoluzione, sicchè, qualora il comportamento del debitore, pur integrando il fatto contemplato dalla suddetta clausola, appaia comunque conforme a quel criterio, non sussiste l’inadempimento, né i presupposti per invocare la risoluzione, dovendosi ricondurre tale verifica non al requisito soggettivo della colpa, ma a quello, oggettivo, della condotta inadempiente. (In applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva negato l’inadempimento della licenziataria di un marchio per non aver inviato alla concedente il pattuito estratto conto semestrale, assumendo che l’emissione di un’unica fattura nell’ultimo giorno di quel semestre ne faceva ritenere ragionevole la trasmissione in quello successivo).

Cass. civ. Sez. III Sent., 18/09/2015, n. 18320.

La rinunzia ad avvalersi della clausola risolutiva espressa non osta a che il mancato adempimento dell’obbligazione ivi contemplata assuma rilievo preponderante – in occasione del giudizio sulle reciproche inadempienze da compiersi ai sensi dell’art. 1453 c.c. – nella valutazione comparativa della loro gravità, stante l’originaria importanza che le parti attribuirono a quella specifica obbligazione, includendola nella clausola medesima.

Cass. civ. Sez. III Sent., 09/06/2015, n. 11864.

La risoluzione del contratto di locazione di immobili sulla base di una clausola risolutiva espressa non può essere pronunciata di ufficio, ma postula la corrispondente e specifica domanda giudiziale della parte nel cui interesse quella clausola è stata prevista, sicchè, una volta proposta l’ordinaria domanda ex art. 1453 cod. civ., con l’intimazione di sfratto per morosità, non è possibile mutarla in richiesta di accertamento dell’avvenuta risoluzione “ope legis” di cui all’art. 1456 cod. civ., atteso che quest’ultima è radicalmente diversa dalla prima, sia quanto al “petitum”, perchè invocando la risoluzione ai sensi dell’articolo 1453 cod. civ. si chiede una sentenza costitutiva mentre la domanda di cui all’articolo 1456 cod. civ. ne postula una dichiarativa, sia relativamente alla “causa petendi”, perchè nella ordinaria domanda di risoluzione, ai sensi dell’articolo 1453 cod. civ., il fatto costitutivo è l’inadempimento grave e colpevole, nell’altra, viceversa, la violazione della clausola risolutiva espressa.

Cass. civ. Sez. II Sent., 02/10/2014, n. 20854.

In tema di contratti, la condizione risolutiva postula che le parti subordinino la risoluzione del contratto, o di un singolo patto, ad un evento, futuro ed incerto, il cui verificarsi priva di effetti il negozio “ab origine”, laddove, invece, con la clausola risolutiva espressa, le stesse prevedono lo scioglimento del contratto qualora una determinata obbligazione non venga adempiuta affatto o lo sia secondo modalità diverse da quelle prestabilite, sicché la risoluzione opera di diritto ove il contraente non inadempiente dichiari di volersene avvalere, senza necessità di provare la gravità dell’inadempimento della controparte.

Cass. civ. Sez. II Sent., 20/06/2014, n. 14120.

In tema di donazione modale, la risoluzione per inadempimento dell’onere non può avvenire “ipso iure”, senza valutazione di gravità dell’inadempimento, in forza di clausola risolutiva espressa, istituto che, essendo proprio dei contratti sinallagmatici, non può estendersi al negozio a titolo gratuito, cui pure acceda un “modus”.

Cass. civ. Sez. III Sent., 15/11/2013, n. 25743.

L’azione di accertamento dell’avvenuta risoluzione del contratto per effetto d’una clausola risolutiva espressa, ex art. 1456 cod. civ., tende ad una pronuncia dichiarativa, perché implica l’accertamento dell’inadempienza, con la conseguenza che non ha l’idoneità, con riferimento all’art. 282 cod. proc. civ., all’efficacia anticipata rispetto al momento del passaggio in giudicato; pertanto fino al momento della definitività della sentenza di accertamento – che in quanto tale deve acquisire quel grado di stabilità che si identifica con il giudicato – il rapporto contrattuale permane e con esso, nel caso di contratto a prestazioni corrispettive, qual è quello di locazione, l’obbligo del conduttore di continuare a corrispondere il canone.

Cass. civ. Sez. II, 31/10/2013, n. 24564.

In merito alla clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che può manifestarsi tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo, non implica l’eliminazione della predetta clausola per modificazione della disciplina contrattuale. Altresì, tale tolleranza non è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza evidenzi l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento.

Cass. civ. Sez. II Sent., 31/10/2013, n. 24564.

Il creditore, dopo aver promosso il giudizio per ottenere l’adempimento del contratto, può, in corso di causa, dichiarare che intende valersi della clausola risolutiva espressa, trattandosi di facoltà riconducibile allo “ius variandi” ammesso in generale dall’art. 1453, secondo comma, cod. civ.

Cass. civ. Sez. II Sent., 31/10/2013, n. 24564.

In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo, non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove lo stesso creditore, contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza, manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento.

Cass. civ. Sez. II Sent., 08/10/2013, n. 22904.

Allorché i contraenti si riferiscano ad un dato cronologico allo scopo di indicare il periodo di tempo entro cui vada eseguita una determinata prestazione, dichiarando poi incidentalmente la finalità pratica sottesa alla concessione di quel termine nell’aspettativa del verificarsi di un certo evento, assume preminente rilievo il dato temporale e la relativa clausola va intesa nel senso che le parti vollero determinare il tempo dell’adempimento e non, invece, condizionare l’efficacia del contratto all’avveramento di un evento futuro.(Nella specie, la S.C. ha confermato l’interpretazione del giudice del merito, secondo cui la clausola contrattuale – contenuta in una scrittura privata separata e coeva ad altra principale, costitutiva del diritto di godimento di un posto barca ed auto entro un erigendo porto turistico, contro versamento del prezzo – con cui l’originario concedente si obbligava al “riacquisto” del bene ove l’area portuale non fosse stata sistemata nel termine prefissato, configurava la determinazione del tempo dell’adempimento e non una clausola risolutiva espressa).

Cass. civ. Sez. II Sent., 30/09/2013, n. 22310.

La pattuizione, inserita in un preliminare di vendita immobiliare, che preveda la risoluzione “ipso iure” qualora il bene, che ne costituisce l’oggetto, non venga condonato sotto il profilo urbanistico entro una determinata data, per fatto non dipendente dalla volontà delle parti, , deve qualificarsi come condizione risolutiva propria, piuttosto che come clausola risolutiva espressa, determinando l’effetto risolutivo di quel contratto, evidentemente consistente nella sua sopravvenuta inefficacia, in conseguenza dell’avverarsi di un evento estraneo alla volontà dei contraenti (sebbene specificamente dedotto pattiziamente) nonché dello spirare del termine, pure ritenuto nel loro interesse comune, e non quale sanzione del suo inadempimento.

Cass. civ. Sez. II Sent., 16/09/2013, n. 21115.

Anche quando la parte interessata abbia manifestato la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa, il giudice deve valutare l’eccezione di inadempimento proposta dall’altra parte, attesa la pregiudizialità logica della stessa rispetto all’avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell’art. 1456 cod. civ., dall’accertamento di un inadempimento colpevole.

Cass. civ. Sez. III Sent., 27/08/2013, n. 19602.

La clausola risolutiva espressa non comporta automaticamente lo scioglimento del contratto a seguito del previsto inadempimento, essendo sempre necessario, per l’art. 1218 cod. civ., l’accertamento dell’imputabilità dell’inadempimento al debitore almeno a titolo di colpa.”

Cass. civ. Sez. I Sent., 18/04/2013, n. 9488.

L’azione di risoluzione del contratto ex art. 1456 cod. civ. tende ad una pronuncia di mero accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto a seguito dell’inadempimento di una delle parti previsto come determinante per la sorte del rapporto, in conseguenza dell’esplicita dichiarazione dell’altra parte di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, differendo tale azione da quella ordinaria di risoluzione per inadempimento per colpa ex art. 1453 cod. civ., che ha natura costitutiva. Ne consegue che, in caso di fallimento del locatario, l’effetto risolutivo del contratto (nella specie, di locazione finanziaria) deve ritenersi già verificato ove la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa sia stata comunicata anteriormente alla data della sentenza di fallimento, spettando il relativo accertamento al giudice delegato in sede di verifica dello stato passivo.

Cass. civ. Sez. III Sent., 14/11/2011, n. 23728.

Nel contratto fiduciario di compravendita immobiliare l’obbligo di ritrasferimento del bene deve essere adempiuto dal fiduciario acquirente a prescindere dalla relativa eventuale richiesta da parte del fiduciante venditore. Ne consegue che, in caso di inadempimento all’anzidetto obbligo, ove le parti non abbiano stipulato al riguardo una clausola risolutiva espressa determinante la risoluzione dello stesso contratto di trasferimento, il fiduciario è tenuto, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., al risarcimento del danno ed è privo di legittimazione sostanziale a disporre del bene sia “inter vivos” che “mortis causa”.

Cass. civ. Sez. II Sent., 10/03/2011, n. 5734.

Nel contratto a prestazioni corrispettive, il contraente non inadempiente può rinunciare ad avvalersi della risoluzione già avveratasi per effetto della clausola risolutiva espressa, come pure della risoluzione già dichiarata giudizialmente; al riguardo, costituisce rinuncia all’effetto risolutivo il comportamento del contraente che, dopo essersi avvalso della facoltà di risolvere il contratto, manifesti in modo inequivoco l’interesse alla tardiva esecuzione dello stesso. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso avverso la sentenza della corte di merito che aveva ravvisato gli estremi dell’acquiescenza alla sentenza di primo grado nell’accettazione, da parte del contraente che aveva agito per la risoluzione, del pagamento del saldo del prezzo di una compravendita in conformità di quanto statuito dal primo giudice).

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Come avrai notato, la disciplina prevista per la clausola risolutiva espressa è decisamente complessa poiché occorre valutare molti elementi e ponderare diverse opzioni per addivenire ad una scelta adeguata.

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