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Con l’arrivo del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Decreto Legislativo 12 gennaio 2019 n. 14) il legislatore ha mandato definitivamente in pensione la Legge Fallimentare, vero e proprio punto di riferimento per le c.d. procedure concorsuali. Con il nuovo Codice della crisi d’impresa persegue una finalità totalmente diversa rispetto alla Legge Fallimentare.
Quest’ultima, infatti, aveva come scopo la liquidazione del patrimonio di un’impresa e garantire, al tempo stesso, il pieno soddisfacimento della pretesa del ceto creditorio.
Viceversa, con il Codice della crisi d’impresa il legislatore non solo vuol garantire la corretta liquidazione del patrimonio delle imprese ma cerca di evitare a tutti i costi che questa fase possa aprirsi.
In poche parole, il Codice della crisi d’impresa ha un approccio che è stato definito come “preventivo” in quanto mira ad evitare, ove possibile, l’insolvenza delle imprese ed evitare, dunque, la loro definitiva dipartita.
Tutto ciò è possibile grazie all’introduzione dei c.d. segnali di crisi e della gestione di tutte quelle fasi di “difficoltà” dell’impresa, come ad esempio il sovraindebitamento, al fine di evitare l’insolvenza definitiva.
1. Finalità delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento
Non solo gli imprenditori possono trovarsi in una situazione di crisi o di insolvenza, infatti, anche i consumatori, i piccoli imprenditori, gli imprenditori agricoli e, in generale, i debitori che non esercitano un’attività d’impresa commerciale, possono ritrovarsi nella medesima condizione.
Per i suddetti soggetti risultava antieconomico prevedere l’apertura di una procedura concorsuale vera e propria dati i costi importanti da dover sostenere.
Per questo motivo, i debitori diversi dagli imprenditori commerciali medio grandi sono stati per anni sottratti alle procedure concorsuali e sono stati esposti solamente alle procedure esecutive individuali (ad esempio il pignoramento) con conseguente impossibilità di usufruire dell’effetto esdebitativo, ovvero, alla liberazione dei debiti residui e non estinti.
Tale situazione, lungi dall’aiutare tali debitori, ha creato gravi disagi non concedendo agli stessi la possibilità di migliorare la propria situazione debitoria. Più precisamente, i debitori diversi dagli imprenditori medio grandi non potevano rientrare nel normale circuito del credito ed erano, conseguentemente, disincentivati ad avviare una nuova attività d’impresa, professionale e lavorativa, dato che gli eventuali proventi sarebbero stati comunque destinati al pagamento dei debiti pregressi.
Per questi motivi il legislatore ha deciso di estendere anche ai debitori non fallibili, ovvero gli insolventi civili, l’accesso ad una procedura concorsuale vera e propria, seppur diversa rispetto a quella prevista per gli imprenditori fallibili (o meglio, sottoponibili a liquidazione giudiziale), al fine di poter ottenere l’esdebitazione dai debiti pregressi.
In questo modo è possibile anche per questi debitori ottenere, al termine di un percorso assistito dal controllo del Giudice, un fresh restart, evitando di ricorrere a formule di accesso del credito alternative o intestare a terzi (interposizione reale) le nuove attività da porre in essere in modo da sottrarsi ai debiti.
2. Cosa si intende per sovraindebitamento?
Fatte le debite premesse, occorre ora analizzare la nozione di sovraindebitamento. Quest’ultimo è stato disciplinato nel nostro ordinamento per la prima volta con la Legge n. 3 del 2012 la quale ha definito il sovraindebitamento come uno squilibrio tra le obbligazioni assunte da un soggetto ed il proprio patrimonio, qualora questo squilibrio determini una rilevante difficoltà ad adempiere alle obbligazioni oppure la definitiva incapacità di adempierle in modo regolare.
Il sovraindebitamento è stato altresì innovato con il Decreto Ministeriale n. 202 del 2015 recante “misure urgenti in materia di fallimento, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria”, il quale ha meglio definito il perimetro normativo dell’istituto.
Il sovraindebitamento è stato richiamato anche dal Codice della crisi d’impresa il quale lo definisce all’art. 2 come “Lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative […] e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza”.
3. A chi si rivolge il nuovo Codice per quanto riguarda la crisi da sovraindebitamento?
Giunti a questo punto possiamo esaminare i soggetti a cui si rivolgre la procedura che mira a gestire il sovraindebitamento.
Precisamente, oltre alla figura della persona fisica, imprenditore, si affiancano altre categorie, tra cui il consumatore singolo (anche soci in nome collettivo o in accomandita), il professionista, l’imprenditore minore, l’imprenditore agricolo e le start-up innovative, oltre a figure residuali.
Agli stessi vengono altresì affiancati i familiari, i quali, proprio perché membri della medesima famiglia, possono presentare un progetto unitario volto alla risoluzione della crisi da sovraindebitamento.
4. Ambito soggettivo di applicazione
Come anticipato, possono accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento i consumatori, piccoli imprenditori, imprenditori agricoli e tutti coloro che non esercitano attività d’impresa non commerciale.
I suddetti soggetti, come vedremo in prosieguo, possono accedere a particolari procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento diverse e decisamente più semplici rispetto alla classica procedura concorsuale prevista per gli imprenditori commerciali medio grandi al fine di poter ottenere, nei limiti imposti dalla legge, l’esdebitazione del debitore.
Sul tema è intervenuto anche il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza revisionando la materia e semplificando ulteriormente la disciplina del sovraindebitamento nonché ampliando i limiti per poter ottenere l’esdebitazione.
Più precisamente, da una lettura sistematica del Codice della crisi, è possibile affermare, dunque, che l’aggiornamento normativo sulla materia introdotto dal Codice della crisi d’impresa, non ha snaturato il concetto in sé di sovraindebitamento ma ha voluto delimitare, da un punto di vista soggettivo, l’applicazione delle procedure di sovraindebitamento, prevedendole per le seguenti figure:
- l’imprenditore minore;
- l’imprenditore agricolo;
- la start-up innovativa;
- consumatore;
- professionista;
- ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale
4.1. Imprenditore minore
Imprenditore minore è l’imprenditore che non supera i requisiti dimensionali, di tipo oggettivo, previsti dal legislatore. Più precisamente, per potersi qualificare come imprenditore minore è necessario che non vengano superati i seguenti limiti:
- Attivo patrimoniale complessivo annuo di euro 300.000,00 nei tre esercizi precedenti alla data di deposito dell’istanza di apertura della procedura o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
- Ricavi annui pari ad euro 200.000,00 nei tre esercizi precedenti alla data di deposito dell’istanza di apertura della procedura o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore;
- Debiti, anche non scaduti, non inferiori ad euro 500.000,00.
4.2. Imprenditore agricolo
Imprenditore agricolo è colui che esercita attività di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali o attività connesse ai sensi dell’art.2135 del c.c. Tuttavia, è bene sapere che non si può parlare di imprenditore agricolo quando non sussiste, di fatto, il collegamento funzionale tra l’attività posta in essere dall’imprenditore ed il terreno, inteso quale fattore di produzione.
Ancora, non è possibile parlare di imprenditore agricolo quando le attività connesse assumono un rilievo prevalente o comunque sproporzionato rispetto a quelle della coltivazione del fondo, della selvicoltura o dell’allevamento. Ciò indipendentemente dalla avvenuta iscrizione all’interno della sezione speciale del Registro delle imprese riservata all’imprenditore agricolo.
4.2.1 Le attività connesse
Quando si parla di “attività connesse” all’impresa agricola si fa riferimento alle attività esercitate dall’imprenditore agricolo dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del bosco, del fondo o dall’allevamento di animali.
Affinchè un’attività possa considerarsi come “connessa” è fondamentale che sussistano due elementi, ovvero:
– collegamento soggettivo: le attività devono necessariamente essere svolte dall’imprenditore agricolo che esercita l’attività agricola principale;
– collegemato oggettivo: le attività devono essere esercitate con l’uso (prevalente) di attrezzature o di risorse dell’azienda agricola.
Rientra nel novero delle attività connesse, ad esempio, l’imprenditore agricolo che decide di vendere la frutta e la verdura prodotta da se stesso ai terzi aprendo un piccolo fruttivendolo.
4.3. Start-up innovative
Le Start-up innovative sono espressamente disciplinate dal Decreto-legge n. 179 del 2012, successivamente convertito in Legge n. 221 del 2012, sono particolari società di capitali che hanno per oggetto, esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.
In virtù della particolare rischiosità dell’attività posta in essere, nonché della funzione c.d. incentivante, il legislatore ha previsto l’esenzione delle altre procedure concorsuali per un periodo di ben cinque anni dalla loro costituzione.
In questo particolare lasso di tempo le start up innovative possono essere assoggettate solo alle procedure di sovraindebitamento.
4.4. Consumatore
Con riferimento al consumatore, questo deve essere inteso come la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionaleeventualmente svolta, anche se socia di una s.n.c., s.a.s. o di una s.a.p.a. per i debiti estranei a quelli sociali, ai sensi dell’art. 2 lettera e del Codice della crisi d’impresa.
4.5. Altri soggetti
Infine, esiste una categoria “residuale” rappresentata dagli altri debitori che non sono assoggettabili alla liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal Codice civile e dalle Leggi speciali in caso di insolvenza.
Si tratta di una categoria molto ampia poiché vi rientrano, tra gli altri, gli enti non commerciali e le associazioni e le fondazioni non esercenti attività d’impresa commerciale. Infine, sono altresì assoggettabili alle procedure di sovraindebitamento gli enti pubblici economici non soggetti a liquidazione coatta amministrativa.
5. Altre novità introdotte dal Codice della crisi d’impresa
Una delle novità più interessanti introdotte dal Codice della crisi d’impresa riguarda proprio l’estensione della procedura in esame anche ai familiari. Infatti, l’art. 66 del Codice della crisi d’impresa fa riferimento anche ai membri della stessa famiglia, ovvero:
- Il coniuge;
- I parenti entro il quarto grado;
- Gli affini entro il secondo grado;
- Le parti dell’unione civile;
- I c.d. conviventi di fatto.
Ma non finisce qui, la nozione di consumatore sposato dal legislatore è decisamente più ampia rispetto a quella contenuta nella Legge 3 del 2012 (art. 6 comma 2 lettera b).
Essa ricomprende, infatti, anche i soci illimitatamente responsabili delle società in nome collettivo (S.n.c.), i soci delle società in accomandita semplice (S.a.s) e i soci delle società in accomandita per azioni (S.a.p.a.)
6. Presupposto oggettivo delle procedure di sovraindebitamento: stato di crisi e insolvenza
Dopo aver analizzato il presupposto soggettivo delle procedure di sovraindebitamento è necessario fare un cenno anche al presupposto oggettivo, ovvero, lo stato di crisi e di insolvenza in cui versa il debitore. Diversamente da come si potrebbe pensare, il concetto di “stato di crisi” e di “insolvenza” non sono due sinonimi. Si tratta, in poche parole, di due situazioni completamente diverse tra di loro.
6.1. Stato di crisi
Per stato di crisi si intende, ai sensi dell’art. 2 comma 1 lettera a) del Codice della crisi d’impresa, lo stato del debitore che rende molto probabile l’insolvenza e si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi.
È chiaro quindi che lo stato di crisi è una situazione di criticità che prelude ad una possibile insolvenza dell’impresa in ordine alle obbligazioni già pianificate (si pensi ad esempio alle rate di ammortamento di un mutuo già contratto), per le quali occorre valutare l’adeguatezza dei flussi di cassa.
Per valutare lo stato di crisi di una impresa, dunque, è necessario effettuare una valutazione prospettica in ordine alla possibile evoluzione della situazione finanziaria e sulla capacità, sempre prospettica, dell’imprenditore di adempiere agli obblighi precedentemente contratti, per un periodo di dodici mesi.
6.2. Stato di insolvenza
Per stato di insolvenza, invece, si intende, ai sensi dell’art. 2 comma 1 lettera b) del Codice della crisi d’impresa, lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti o altri fattori esteriori che dimostrino che il debitore non è più in grado di far fronte in modo regolare alle proprie obbligazioni.
La nozione di insolvenza, dunque, è strettamente finanziaria in quanto è basata principalmente sull’accertamento delle condizioni di liquidità e delle capacità del debitore di adempiere in modo regolare alle proprie obbligazioni.
Pertanto, per poter escludere lo stato di insolvenza, l’adempimento delle obbligazioni deve essere regolare, ovvero, deve avvenire con tempi e con mezzi ordinari (ad esempio utilizzando la liquidità della cassa). Si ha stato di insolvenza, pertanto, quando il debitore è costretto ad adempiere costantemente in ritardo oppure facendo ricorso a mezzi non corrispondenti al fisiologico svolgimento dell’attività (si pensi ad esempio all’imprenditore che, per poter pagare i propri debiti, è costretto a vendere beni strumentali).
Ancora, assume rilievo centrale, ai fini dell’accertamento dello stato di insolvenza, la generale valutazione in ordine alla oggettiva possibilità del debitore di proseguire il normale esercizio dell’impresa sul mercato. Tale accertamento si basa sulla capacità di produrre beni o servizi con margini di profitto da destinare alla copertura delle esigenze della propria impresa (in primis per l’estinzione dei debiti).
Non ha alcun rilievo, invece, il rapporto che intercorre tra il passivo e l’attivo in quanto, anche ove l’attivo superi il passivo, il debitore comunque potrebbe essere in uno stato di insolvenza nel caso in cui l’attivo fosse formato da beni di non agevole liquidazione (si pensi ad esempio ad un immobile che sia strumentale all’attività d’impresa).
Infine, non è necessario, affinché si possa parlare di stato di insolvenza, che quest’ultimo si manifesti esteriormente mediante l’inadempimento o tramite altri fatti esteriori come, ad esempio, la chiusura improvvisa dei locali commerciali o la vendita in blocco di tutti i beni strumentali alla produzione etc.
Viceversa, essi sono meri indizi, o comunque possibili prove dell’esistenza dello stato di insolvenza, ma non elementi costitutivi dell’insolvenza stessa.
7. Procedure previste per la crisi da sovraindebitamento
Fin dall’entrata in vigore della citata Legge n. 3 del 2012 si è introdotto, nell’ordinamento italiano, uno strumento per l’esdebitazione di imprenditori non assoggettabili al fallimento.
Anche se il detto istituto non ha avuto il successo sperato, lo stesso ha aperto le porte alla rivisitazione della materia da parte del Codice della Crisi d’impresa nel quale sono presenti tre distinte procedure rivolte ai soggetti non passibili di liquidazione giudiziale: il piano di ristrutturazione dei debiti; il concordato minore e la liquidazione controllata del debitore.
Tra l’altro, il legislatore è intervenuto anche sull’art. 480 del c.p.c. dedicato alla forma del precetto (ovvero l’atto prodromico alla fase dell’esecuzione) il quale deve prevedere l’avvertimento per il debitore delle facoltà di porre rimedio alla sua situazione di sovraindebitamento facendo ricorso all’accordo di composizione della crisi (ora concordato minore) o al piano del consumatore (adesso ristrutturazione dei debiti).
7.1. Il piano di ristrutturazione dei debiti
Il Codice della crisi d’impresa prendein considerazione il piano di ristrutturazione dei debiti (agli artt. 67-73) riservato al consumatore che si trovi in uno stato di sovraindebitamento, ovvero, versi in una situazione di crisi o insolvenza.
La domanda, la quale può essere presentata dal consumatore anche personalmente, senza che sia necessaria l’assistenza tecnica di un legale, dunque, deve necessariamente contenere:
- Il piano, il quale deve contenere in modo preciso i tempi e le modalità per poter superare la crisi da sovraindebitamento. In altre parole, il piano deve descrivere le risorse necessarie all’adempimento, le fonti di approvvigionamento, le tempistiche dei pagamenti, l’indicazione delle garanzie offerte da terzi (eventuali);
- la proposta, che rappresenta una vera e propria offerta rivolta ai creditori e che può prevedere il soddisfacimento, addirittura differenziato e parziale, dei crediti in qualsiasi forma. È possibile, dunque, proporre il soddisfacimento in denaro, per l’intero o una parte, senza dover rispettare necessariamente un limite minimo di pagamento, salvo la necessità di offrire un importo non simbolico.
Pertanto, il consumatore è libero di sottoporre ai creditori un piano di ristrutturazione dei debiti con le indicazioni dei tempi e dei modi per il superamento della crisi. La proposta viene redatta con l’ausilio dell’Organismo di composizione della crisi (OCC) ad ha contenuto libero fatto salvo per le seguenti voci: un elenco contente i singoli creditori (e annesse somme dovute); la consistenza e la composizione del patrimonio; gli atti di straordinaria amministrazione posti in essere nell’ultimo quinquennio; le dichiarazioni dei redditi dell’ultimo triennio; nonché stipendi, salari ed eventuali pensioni o altre entrate del debitore e del proprio nucleo familiare.
7.1.1 La competenza territoriale dell’OCC
Il procedimento si svolge presso il Tribunale (composizione monocratica). La competenza territoriale del Tribunale è disciplinata dall’art. 27 comma 2 del Codice della crisi d’impresa, il quale stabilisce che è territorialmente competente il Tribunale nel cui circondario il debitore ha il centro degli interessi principali (COMI).
In poche parole, si tratta del luogo in cui il debitore gestisce i propri interessi in modo abituale e riconoscibile ai terzi e a tutti coloro che interagiscono con l’impresa.
Da ciò è possibile desumere, dunque, che per il debitore persona fisica il centro degli interessi principali coincide con la propria residenza o il proprio domicilio e, ove questi dovessero essere sconosciuti, con l’ultima dimora nota o con il luogo di nascita. Ove questo non dovesse essere in Italia, sarà funzionalmente e territorialmente competente il Tribunale di Roma.
La domanda deve essere presentata, da un Organismo di Composizione della Crisi del circondario del Tribunale competente. In difetto, le funzioni svolte dall’OCC devono essere svolte da un professionista con i requisiti di cui all’art. 358 del D.lgs. 14 del 2019.
Gli OCC sono organismi iscritti in apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia, la cui funzione principale è quella di fornire una consulenza nei confronti del debitore e, al tempo stesso, tutelare gli interessi del ceto creditorio.
Più precisamente, nel contesto della procedura di ristrutturazione dei debiti, l’OCC svolge tre funzioni cruciali:
- consulente del debitore sovraindebitato (anche nella fase antecedente alla presentazione del piano);
- ausiliario dell’organo giurisdizionale (Tribunale) nella gestione della procedura e nell’esecuzione della stessa;
- soggetto garante nei confronti dei creditori, del Tribunale in ordine all’attendibilità del piano presentato dal debitore.
Il consumatore può liberamente scegliere uno degli OCC presenti nel circondario del Tribunale competente per la procedura.
Come anticipato, se nel circondario non dovesse esserci nessun OCC, i compiti e le funzioni che normalmente vengono svolti da quest’ultimo, vengono assunti da un professionista o da una società, tra i soggetti che risultano essere titolari di tutti i requisiti per svolgere le funzioni di curatore o di commissario giudiziale, nominati dal Presidente del Tribunale competente o da un Giudice dallo stesso delegato e individuati tra gli iscritti all’albo dei gestori della crisi.
Una volta ricevuta la documentazione fornita dal consumatore, l’OCC procede a redigere una relazione particolareggiata, da allegare alla domanda introduttiva, che permette al Tribunale di valutare la meritevolezza del debitore e l’attendibilità dei dati sui quali si fondano.
7.1.2. Gli effetti dell’apertura della procedura di ristrutturazione dei debiti
Il Decreto di apertura della procedura di ristrutturazione dei debiti può determinare effetti sia nei confronti dei creditori che del consumatore.
Con riferimento al consumatore, infatti, il Tribunale, su istanza del debitore, può disporre il divieto di compiere atti di straordinaria amministrazione se non previa autorizzazione. Ciò significa che se il consumatore dovesse porre in essere un atto di straordinaria amministrazione quest’ultimo non solo sarà inefficace ma integrerà anche gli estremi di un atto in frode ai creditori, il che significa che il Tribunale potrà revocare le misure protettive del patrimonio del debitore.
Per quanto concerne i creditori, invece, il Tribunale, su istanza del consumatore, può disporre misure protettive del patrimonio del consumatore stesso, le quali rimarranno in vita fino alla conclusione del procedimento (cioè fino all’omologa).
Più precisamente, il Tribunale può:
– Imporre il divieto di azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del consumatore;
– Disporre la sospensione dei procedimenti di esecuzione forzata che potrebbero mettere in rischio la fattibilità del piano;
– Disporre altre misure che siano idonee a conservare l’integrità del patrimonio destinato al soddisfacimento della pretesa del ceto creditorio.
7.1.3. Esecuzione del piano o revoca dell’omologazione
Alla domanda menzionata deve essere allegata una relazione dell’Organismo, la quale deve contenere informazioni circa l’indicazione delle cause di indebitamento e la diligenza del debitore nell’assunzione delle obbligazioni; l’esposizione dei motivi di incapacità di adempimento; una valutazione della documentazione depositata in allegato alla proposta; infine, un’indicazione presunta dei costi procedurali.
A questo punto, se la proposta e il piano risultano ammissibili, il giudice dispone con decreto la pubblicazione degli stessi e la comunicazione, entro 30 giorni, a tutti i creditori, affinché gli stessi, nei 20 giorni successivi, possano presentare osservazioni.
Decorsi i termini e verificata la risoluzione di ogni eventuale contestazione il giudice con Sentenza omologa il piano e dichiara chiusa la procedura.
Una volta chiusa, con report semestrali, l’Organismo riferirà al giudice, in forma scritta, il corretto stato di esecuzione del piano.
Se il piano non viene integralmente eseguito, il Tribunale indica gli atti necessari per l’esecuzione ed un termine per il loro compimento, se tali prescrizioni non sono adempiute, lo stesso revoca l’omologazione.
Ancora, il Tribunale revoca l’omologazione nei seguenti casi:
– Piano inattuabile, ad esempio perché il consumatore è stato licenziato così da non poter assicurare flussi di denaro in entrata o se il valore dell’immobile destinato alla vendita diminuisce drasticamente;
– Con dolo o colpa grave è stato aumentato o diminuito il passivo, ovvero, sia stata sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo ovvero dolosamente simulate attività inesistenti o, infine, se risultano essere commessi altri atti diretti a frodare le ragioni dei creditori.
Il Tribunale provvede sulla revoca dell’omologazione sia d’ufficio sia su istanza di un creditore, del Pubblico Ministero o di qualsiasi altro interessato, nel pieno contraddittorio con il consumatore.
La domanda di revoca non può essere proposta però e l’iniziativa del Tribunale non può essere assunta una volta decorsi sei mesi dalla presentazione della relazione finale.
Ai sensi dell’art. 72 CCI, la sentenza di revoca, così come il decreto che non accoglie la richiesta, sono reclamabili innanzi dinanzi alla Corte di Appello.
7.2 Il concordato minore
Una seconda procedura, introdotta con il nuovo Codice è il concordato minore, al quale possono ricorrere piccoli imprenditori, professionisti, start-up innovative e imprenditori agricoli.
Si tratta, dunque, di una procedura prevista per aiutare i soggetti sopra richiamati che si trovano in uno stato di sovraindebitamento.
Sostanzialmente, ove vi fosse la necessità di ricorrere a tale rimedio, lo stesso può definirsi un concordato preventivo semplificato (come si evince anche da alcuni richiami alle norme sul concordato preventivo ordinario).
Lo scopo di questa procedura, in poche parole, è quello di permettere a chi si trova in uno stato di sovraindebitamento di continuare a svolgere la propria attività professionale o imprenditoriale.
Detto ciò, la proposta di un concordato minore da parte del debitore nei confronti dei creditori può esserci quando il piano consente la prosecuzione dell’attività imprenditoriale.
Al di là di tale caso, il concordato minore può essere presentato solo se è previsto l’apporto di denaro da parte di soggetti esterni, finalizzato a garantire un maggior soddisfacimento dei creditori nella procedura. Il legislatore, dunque, cerca di garantire al massimo una tutela per i creditori, i quali devono ottenere il soddisfacimento, anche parziale, dei propri interessi.
Come per il piano di ristrutturazione anche per questa seconda procedura si prevede una proposta dal contenuto libero, purché alla stessa siano allegati diversi documenti, quali: il piano con i bilanci, le scritture contabili e fiscali obbligatorie e le dichiarazioni dei redditi dell’ultimo triennio; una relazione aggiornata circa lo stato economico, patrimoniale e finanziario; nonché un elenco di tutti i creditori.
Il resto della procedura vedrà coinvolgere allo stesso modo l’Organismo che sarà tenuto anche in questo caso ad affiancare alla domanda una specifica relazione.
Seguirà poi l’apertura della procedura davanti al giudice che ne disporrà con decreto la comunicazione a tutti i creditori e, una volta raggiunta l’approvazione del concordato minore, in caso di mancata contestazione, procedere all’omologa del concordato minore con sentenza.
Una volta concluso il procedimento il debitore è tenuto a dare esecuzione al piano omologato. Conclusa la suddetta fase, l’OCC, sentito previamente il debitore, presenta al Giudice competente il c.d. rendiconto.
Se il Giudice lo approva il debitore ottiene l’esdebitazione (ovvero la liberazione dai debiti) in caso contrario, il Giudice indica tutti gli atti necessari per l’esecuzione del concordato e fissa un termine per il loro compimento.
Ove il debitore non adempia alle prescrizioni nel termine indicato (anche eventualmente prorogato), il Giudice dichiara risolto il concordato minore.
Per quanto concerne la revoca, invece, essa può avvenire anche d’ufficio o su istanza di un creditore o del Pubblico Ministero o di altro soggetto interessato quando si verifica una delle seguenti condizioni.
In estrema sintesi, è possibile chiedere la revoca ove è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito lo stato del passivo del debitore o se sia stata sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo, oppure, quando sono state dolosamente simulate attività rivelatesi inesistenti.
Ancora, è possibile chiedere la revoca del concordato quando risultano commessi altri atti diretti a frodare i creditori.
Prima di concedere la revoca, il Giudice è tenuto a sentire le parti, anche mediante scambio di memorie difensive scritte. Solo dopo, infatti, potrà provvedere alla revoca con apposito provvedimento (sentenza) reclamabile o, in caso di mancanza dei presupposti, rigettare la richiesta di revoca con apposito decreto motivato.
Infine, in caso di revoca o di risoluzione, il debitore può chiedere l’ammissione alla procedura di liquidazione controllata. In caso di conversione, il giudice concede al debitore un termine per l’integrazione della documentazione e provvede ex art. 270.
7.2.1 Concordato in continuità e concordato liquidatorio
Diversi dal concordato preventivo sono i concordati in continuità e il concordato liquidatorio.
Il primo, il quale costituisce l’ipotesi prevalente ed incentivata dal legislatore in realtà, prevede la prosecuzione dell’attività imprenditoriale o professionale del debitore, ai sensi dell’art. 74 comma 1 CCI. La continuità può essere sia diretta, ovvero in capo al medesimo debitore, sia indiretta, attraverso la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività economica da parte di un soggetto diverso dal debitore (ad esempio per effetto di cessione, usufrutto, affitto, conferimento di azienda etc.).
Il secondo, invece, nel quale non è prevista la prosecuzione dell’attività, bensì la mera liquidazione dei beni. Tale tipologia di concordato è ammessa solo allorquando è previsto l’apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori ai sensi dell’art. 74 comma 2 CCI.
Infine, è bene precisare che in realtà la proposta del debitore può anche prevedere una parte di concordato in continuità (con prosecuzione diretta o indiretta dell’attività) ed un’altra di tipo liquidatorio (con dismissione, dunque, di una parte dei beni). In questo caso il concordato viene qualificato come in continuità, anche ove i creditori vengano soddisfatti in misura non prevalente dal ricavato della continuità aziendale.
7.2.2 La procedura familiare di concordato
La procedura di concordato minore, ai sensi dell’art. 66 CCI può essere presentata in modo unitario da più membri della medesima famiglia.
I membri di una stessa famiglia, infatti, sono legittimati a presentare un’unica domanda di risoluzione della crisi da sovraindebitamento, che coinvolge tutti i membri della famiglia che ne abbiano fatto richiesta.
È bene precisare però che la richiesta di accesso ad una procedura familiare non è obbligatorio, poiché i membri della stessa famiglia in possesso del presupposto soggettivo e di quello oggettivo, sono completamente liberi di non utilizzare tale facoltà e di presentare domande autonome.
Per poter accedere alla suddetta procedura, è necessario che tutti i membri della famiglia siano in possesso dei presupposti e che ciascuno di essi versi in situazione di sovraindebitamento.
Ai sensi dell’art. 66 del CCI l’ammissione ad una procedura familiare è subordinata alla presenza di una delle seguenti condizioni:
– Devono essere tutti membri della medesima famiglia (ovvero coniuge, parenti entro il quarto grado, affini entro il secondo grado, parti di un’unione civile e conviventi di fatti ai sensi della Legge n. 76 del 2016) o conviventi, ovvero, soggetti che condividono il medesimo domicilio e/o residenza);
– Se non conviventi, il sovraindebitamento deve comunque avere origine comune, ovvero, deve essere stato causato dai medesimi debiti. Si pensi ad esempio ad un mutuo ipotecario contratto dalla figlia con la garanzia fideiussoria prestata da uno dei genitori non conviventi);
Per quanto concerne i presupposti oggettivi e soggettivi per l’apertura della procedura familiare restano i medesimi di quelli previsti per la procedura individuale, in quanto compatibili ovviamente.
Ciò significa che la procedura familiare non può essere proposta dalle start up innovative, da enti, associazioni, o da soggetti giuridici diversi da persone fisiche poiché solo quest’ultime possono essere membri della famiglia.
La procedura in esame si apre con il deposito di una domanda dinanzi all’organo giurisdizionale competente. Ove tutti i membri della famiglia siano conviventi, il Tribunale competente sarà quello in cui tutti hanno fissato la propria residenza o domicilio ai sensi dell’art. 27 comma 3 del CCI.
Viceversa, ove tutti i membri della famiglia siano conviventi ma solo alcuni di essi esercitano un’attività d’impresa, sarà competente territorialmente sia il Tribunale nel cui circondario è posta la sede legale o effettiva dell’attività, sia il Tribunale nel cui circondario è posta la residenza o il domicilio a scelta dei debitori.
Infine, ove non tutti i membri della famiglia siano conviventi ed abbiano il domicilio o la residenza in circondari diversi di Tribunali, allora è rimessa ai debitori stessa la scelta del Tribunale dove incardinare la controversia.
Il procedimento in esame non è completamente diverso dal concordato minore, infatti, è previsto espressamente dal CCI che per tutto quello che non è specificamente previsto, trova piena applicazione la disciplina
7.3 La liquidazione controllata del debitore
Oltre al concordato minore, potresti trovarti davanti anche all’ipotesi di liquidazione controllata, la quale (ponendosi di fianco alle altre due procedure di composizione della crisi), è stata introdotta al fine di affiancare la liquidazione giudiziale in caso di stato di crisi o di insolvenza.
Al riguardo, se per la procedura è nuovamente previsto il coinvolgimento dell’Organismo, è importante soffermarsi sulla domanda e chi possa proporla. La stessa infatti, oltre che dal debitore, può essere proposta anche dal creditore.
Più precisamente, i creditori possono presentare la domanda di apertura della procedura solo se:
- Il debitore risulta essere insolvente (non è sufficiente che versi in una situazione di crisi);
- L’ammontare dei debiti scaduti e non pagati da parte del debitore deve essere superiore a 50.000,00 euro ai sensi dell’art. 268 comma 2 CCI;
- L’OCC, su richiesta del soggetto debitore, non attesta che non sia possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori nemmeno mediante l’esercizio di azioni giudiziarie, ai sensi dell’art. 268 comma 3 CCI.
Per tale motivo, se si era già avviata una delle due precedenti procedure, il giudice è tenuto a concedere un termine per l’integrazione della domanda, durante il quale non può dichiararsi aperta la liquidazione controllata.
Altra questione riguarda i crediti oggetto di liquidazione. Non tutti i beni del patrimonio del debitore, infatti, potranno essere liquidati, escludendosi: i crediti impignorabili; i crediti attinenti agli alimenti e al mantenimento; i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli; nonché quanto impignorabile per disposizione di legge.
Detto ciò, fatta la domanda di liquidazione controllata e verificata l’assenza di elementi ostativi, il Tribunale dichiarata aperta la procedura di liquidazione con sentenza, tramite cui vengono nominati il giudice delegato e il liquidatore; ordina al debitore di depositare entro 7 giorni bilanci, scritture contabili ed elenco creditori; ordina il rilascio di beni rientranti nel patrimonio di liquidazione, o la loro consegna; infine ordina al liquidatore la trascrizione della sentenza.
All’apertura della liquidazione controllata segue la formulazione del progetto di stato passivo. La stessa determina altresì lo spossessamento dei beni in capo al debitore e la gestione, da parte del liquidatore della procedura di esecuzione, fino alla sua ultimazione a cui seguirà la chiusura della procedura con decreto.
8. Il ruolo dell’Organismo di Composizione della Crisi nelle procedure di sovraindebitamento
Come più volte sottolineato un ruolo fondamentale è sicuramente quello dell’Organismo di Composizione della Crisi, il quale è chiamato a svolgere compiti di composizione assistita della crisi da sovraindebitamento nelle varie procedure sopra analizzate.
Trattasi di un’istituzione terza, imparziale e indipendente, alla quale il debitore può rivolgersi per fronteggiare l’esposizione debitoria nei confronti dei propri creditori, avente il compito di ricevere le domande di avvio del procedimento, valutare il rispetto dei presupposti normativi e nominare un Gestore della Crisi.
Il suo ruolo, pertanto, è quello di valutare la fattibilità delle possibili procedure nel caso concreto.
9. Le finalità delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento
I procedimenti sopra analizzati sono finalizzati a garantire, entro determinati limiti, l’esdebitazione dei debiti pregressi entro un determinato arco temporale certo e definito. In poche parole, i soggetti sopra richiamati hanno la facoltà di pagare in misura ridotta, sulla base delle possibilità di reddito e di patrimonio, i propri debitori ed ottenere, al termine di un percorso assistito dal controllo dell’autorità giudiziaria, il cosiddetto “Fresh restart”.
Ciò significa, in parole povere, che il debitore potrà ripartire da zero, evitando di ricorrere alle forme di credito alternative oppure di intestare, in modo fiduciario, le attività che ha intenzione di intraprendere non potendolo fare personalmente (proprio a causa dei debiti che ha nei confronti dei terzi, delle banche o nei confronti dell’Erario).
In conclusione, lo scopo dell’esdebitazione è quello di premiare il c.d. imprenditore onesto che si impegna a soddisfare, nei limiti del possibile, le pretese dei creditori e di garantirgli, all’esito del procedimento, un ruolo attivo nel tessuto economico.
9.1. Come si ottiene l’esdebitazione
Come anticipato, tutte le procedure di sovraindebitamento sopra esaminate permettono, ovviamente con forme e con modalità diverse, di ottenere l’esdebitazione del debitore. È bene precisare, per completezza, che in realtà esiste anche un ulteriore strumento, di carattere eccezionale, che permette al soggetto debitore di ottenere l’esdebitazione, anche in assenza di una procedura concorsuale ad hoc, a patto però che sia totalmente privo di attivo liquidabile, sia attuale che futuro, e quindi non sia capace di offrire ai propri creditori alcuna soddisfazione, nemmeno in prospettiva futura, ai sensi dell’art. 282 del Codice della crisi d’impresa (c.d. debitore incapiente).
Possono ottenere questo particolare beneficio (l’effetto esdebitativo) solo i debitori sovra indebitati che siano persone fisiche e che non siano assoggettabili alla liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa o altra procedura di liquidazione altrimenti denominata.
Pertanto, ne restano esclusi i debitori diversi dalle persone fisiche (si pensi ad esempio alle società, associazioni, enti etc.) e le persone fisiche che invece esercitano professionalmente un’attività economica organizzata di dimensioni medio grandi tali da permettere l’applicazione delle norme in materia di liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa etc.
Ciò premesso, il requisito necessario per poter ottenere l’esdebitazione è la meritevolezza del debitore stesso. Ma cosa si intende per meritevolezza? Essa viene intesa come assenza di colpa grave, malafede o di frode nella formazione dell’indebito.
Ciò significa, dunque, che non può ottenere l’esdebitazione il debitore che ha volontariamente, o per colpa grave, determinato il proprio stato di crisi oppure il debitore che non si prodighi per poter estinguere, nei limiti delle proprie capacità reddituali e patrimoniali, il soddisfacimento del ceto creditorio.
Il presupposto per ottenere l’esdebitazione è l’incapienza del debitore sovraindebitato. Ciò significa che il debitore non deve essere in grado di offrire ai propri creditori nessuna utilità, né diretta che indiretta, nemmeno in prospettiva futura, in ossequio ad una prospettiva prognostica basata su ragionevoli previsioni in ordine alla possibile evoluzione delle condizioni patrimoniali del debitore negli anni successivi.
La domanda volta ad ottenere l’esdebitazione è presentata tramite OCC al Giudice competente, insieme a tutta la documentazione rilevante per la valutazione dell’attivo, del passivo e delle condotte pregresse del debitore. Ma non finisce qui, alla domanda deve essere allegata anche una relazione particolareggiata dell’OCC in ordine alle cause dell’indebitamento ed alla diligenza impiegata dal debitore nell’assumere le proprie obbligazioni.
Dopo tutto ciò, il Tribunale, valutata la sussistenza di tutte le condizioni e di tutti i presupposti previsti dalla legge, con particolare riguardo alla meritevolezza del debitore, concede con Decreto l’esdebitazione. Con lo stesso Decreto il Giudice indica le modalità ed il termine entro il quale il debitore deve presentare, a pena di revoca del beneficio, la dichiarazione annuale concernente le sopravvenienze (eventuali) rilevanti che fanno rivivere le precedenti obbligazioni.
Il Decreto citato deve essere comunicato ai creditori i quali possono opporsi nei trenta giorni successivi. Decorsi il termine testé richiamato, il Tribunale, instaurato il contraddittorio nelle forme ritenute più idonee conferma o revoca il Decreto con provvedimento soggetto a reclamo dinanzi alla Corte di Appello.
L’esdebitazione diventa definitivi trascorsi quattro anni. Se nell’arco temporale citato sopravvengono utilità rilevanti, diverse dai finanziamenti ricevuti, tali da permettere il soddisfacimento dei creditori in misura complessivamente non inferiore al 10%, il debitore è obbligato ad utilizzare tali utilità per il pagamento dei creditori (sia anteriori che successivi al decreto di esdebitazione).
In altre parole, il sopraggiungimento di utilità rilevanti e inaspettate (si pensi al caso in cui il debitore riceva un’eredità oppure ottiene un lavoro molto più remunerativo) opera alla stregua di una condizione risolutiva alla inesigibilità dei crediti conseguenti all’effetto esdebitativo, sia pure, ovviamente, limitata al periodo di quattro anni sopra citato.
10. Consulenza e assistenza legale per il tuo caso
Come avrai notato, la disciplina prevista per la gestione e la soluzione del sovraindebitamento è abbastanza articolata, dovendo valutare diverse alternative al fine di addivenire alla migliore scelta per il caso di specie.
Proprio per questo motivo, al fine di proteggere e difendere al meglio il tuo Patrimonio, ti consiglio di completare il Modulo di contatto che trovi in questa pagina.
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