Concordato fallimentare: come funziona?

Il concordato fallimentare è una particolare forma di cessazione della procedura di fallimento.

Infatti esso costituisce un mezzo attraverso il quale si attua il soddisfacimento dei creditori senza ricorrere alla liquidazione giudiziaria del patrimonio del fallito.

Dunque, può essere un ottimo strumento per porre fine alla procedura di fallimento, anticipando di gran lunga i tempi del soddisfacimento dei creditori rispetto alla procedura ordinaria.

Se sei il destinatario di una sentenza dichiarativa di fallimento e vuoi sapere di più su come poter fare un concordato fallimentare, questa guida potrebbe aiutarti.

Verrà spiegato cos’è un concordato fallimentare, come funziona, le condizioni necessarie per proporlo.

1. Disciplina generale del concordato fallimentare

Innanzitutto non va confuso con quegli accordi stragiudiziali con i quali il fallito può provvedere alla liquidazione del suo dissesto.

Questi accordi, infatti, perché conclusi con la generalità dei creditori concorrenti possono portare alla chiusura del fallimento, ma non costituiscono un concordato.

Il concordato è un atto decisamente complesso che richiede sia un accordo con i creditori sia un provvedimento giurisdizionale di omologazione.

A tale atto partecipano il fallito, i creditori e in vario modo gli organi del fallimento.

Il concordato presuppone una proposta che può essere presentata non soltanto dal fallito, ma anche da uno o più creditori e pure da un terzo.

La legge pone limiti cronologici alla presentazione della proposta da parte del fallito.

Dispone infatti che costui può proporre il concordato dopo il decorso di un anno dalla dichiarazione di fallimento.

A una condizione

Non devono essere decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo.

1.1. La proposta di concordato fallimentare

La proposta di concordato, per poter essere valutata, richiede necessariamente la conoscenza della situazione debitoria .

Dunque richiede che lo stato passivo sia stato reso esecutivo o almeno che si disponga di dati contabili idonei a consentire al curatore di sottoporre all’approvazione del giudice delegato un elenco provvisorio dei creditori del fallito.

Tale proposta deve contenere l’indicazione della misura e delle modalità con le quali verrebbero soddisfatti i creditori nonché delle garanzie offerte.

La legge si limita a richiedere che la proposta preveda la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti.

Lascia al proponente l’individuazione delle forme attraverso le quali addivenirvi tra cui vengono indicati la cessione dei beni, l’accollo e altre operazioni straordinarie.

Può essere offerto il pagamento di una percentuale o il pagamento dell’intero, ma dilazionato nel tempo.

Così come può essere offerta la cessione dei beni ai creditori o a un terzo che assuma l’esecuzione degli obblighi previsti nel concordato.

Ancora, possono essere offerte garanzie reali sui beni del fallimento o garanzie reali o personali di terzi.

Tra le diverse proposte assumono un particolare rilievo quella diretta a operare una suddivisione di creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei.

Ciò è necessario al fine di sottoporre gli appartenenti a ciascuna di esse a un trattamento differenziato.

Assume importanza anche la proposta che prevede che i creditori muniti di diritto di prelazione non vengano soddisfatti integralmente, purchè non venga alterato l’ordine delle cause legittime di prelazione e in misura non inferiore al valore presumibile di realizzazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la prelazione.

1.2. Oggetto della proposta di concordato fallimentare

La proposta può avere ad oggetto le obbligazioni nascenti dal concordato assunte da un terzo con la liberazione immediata del fallito in cui vi sia cioè un assuntore del concordato .

In questa ipotesi la liberazione del fallito consegue alla omologazione del concordato.

L’effetto è che le vicende inerenti all’esecuzione delle obbligazioni nascenti dal concordato riguardano ormai esclusivamente l’assuntore del concordato e in nessun caso possono determinare la riapertura del fallimento.

Infatti quando la proposta è presentata da uno o più creditori o da un terzo, può prevedere la cessione non solo dei beni compresi nell’attivo fallimentare, ma anche delle azioni di pertinenza della massa già autorizzate dal giudice delegato e specificatamente indicate.

Il che soprattutto rileva per quanto concerne la possibilità della cessione delle azioni revocatorie.

Si sottolinea come la funzione del terzo assuntore si traduce in quella di un soggetto il quale assumendosene i rischi viene a svolgere i compiti liquidatori tipici della procedura fallimentare.

1.3. Procedimento

La proposta di concordato è presentata con ricorso al giudice delegato il quale acquisisce il parere del curatore e quello favorevole del comitato dei creditori.

Se sono previste condizioni differenziate per singole categorie di creditori la proposta il tribunale verifica la proposta in ordine alla correttezza dei criteri sulla cui base le classi medesime sono state formate.

Nel caso di pluralità di proposte è il comitato dei creditori a scegliere quella da sottoporre all’approvazione dei creditori.

Il giudice delegato può tuttavia ordinare su richiesta del curatore la comunicazione a costoro anche di proposte non scelte, ritenute particolarmente convenienti.

Espletati questi adempimenti preliminari, i creditori devono approvare la proposta di concordato.

Il concordato riguarda essenzialmente i creditori chirografari.

I creditori ipotecari, pignoratizi o privilegiati sono soddisfatti in via di principio per intero, nel qual caso non hanno diritto al voto.

Tuttavia nel caso in cui rinunzino al diritto di prelazione per una parte non inferiore al terzo del loro credito complessivo ovvero qualora la proposta ne preveda la soddisfazione non integrale essi sono assimilati ai creditori chirografari per la parte residua del credito e dunque ammessi a dare l’adesione al concordato e considerati nel calcolo della maggioranza.

1.4. Crediti considerati

Sono considerati ai fini del concordato tutti i creditori per i quali la proposta non preveda l’integrale pagamento anche se ammessi con riserva o provvisoriamente.

Ma per l’adesione al concordato non hanno diritto al voto coniuge, parenti, e affini del fallito, fino al quarto grado, cessionario o aggiudicatari da essi, acquirenti dei crediti verso il fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento.

Non hanno altresì diritto le società controllanti, controllate, o sottoposte a comune controllo.

Per gli obbligazionisti come pure per i titolari di strumenti finanziari l’adesione è data attraverso il rappresentante comune sulla base della deliberazione dell’assemblea.

Perché possa ritenersi approvata, la proposta di concordato deve avere il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al veto, e nel caso di differenti classi, quello dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto nella maggioranza delle classi medesime.

Qualora ai creditori siano sottoposte plurime proposte si considera approvata quella che ha ottenuto il maggior numero di consensi o, in caso di parità, quella presentata per prima.

1.5. Adesione alla proposta di concordato

Se la proposta trova l’adesione nella necessaria maggioranza, il giudice delegato dispone che ne sia data comunicazione al proponente.

Quest’ultimo può richiedere al Tribunale l’omologazione del concordato al fallito e ai creditori dissenzienti.

Si fissa un termine per la proposizione di eventuali opposizioni all’omologazione che peraltro qualunque interessato è legittimato ad avanzare.

In mancanza di opposizioni il Tribunale verificata la regolarità della procedura e l’esito della votazione omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame.

Altrimenti assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio e provvede ugualmente con decreto motivato pubblicato.

In questo caso tale decreto che omologa il concordato è reclamabile dinanzi alla corte di appello.

Il termine previsto è di 30 giorni dalla sua notificazione ad opera della cancelleria del Tribunale.

Contro di esso è poi ammesso il ricorso per cassazione entro 30 giorni.

Se la proposta di concordato prevede la suddivisione dei creditori in classi, se un creditore appartenente a una classe dissenziente contesta la convenienza del concordato, il Tribunale può omologare quest’ultimo solo qualora ritenga che il credito dell’opponente possa risultare soddisfatto con il concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili.

E dunque all’esito di un controllo che eccezionalmente ha ad oggetto il merito della proposta.

Potrebbe essere poi interessante condurre un parallelismo.

Nella disciplina originaria della legge fallimentare l’omologazione del Tribunale investiva comunque non soltanto la legittimità dell’atto ma la convenienza dello stesso, cosicchè l’omologazione poteva essere negata.

Nel sistema attuale, in coerenza con il più ampio ruolo riconosciuto agli interessi privati, rilevanti nel fallimento, la funzione del giudice si limita a un controllo della regolarità della procedura e dell’esito delle votazioni con cui i creditori hanno espresso il loro consenso.

Oggi tale provvedimento è adottato con decreto e non con sentenza come avveniva prima della riforma.

1.6. Effetti della proposta

Divenuto definitivo il decreto di omologazione essendo scaduti i termini per opporsi o esaurirsi i procedimenti di impugnazione, la proposta di concordato diviene efficace.

Il curatore rende conto della gestione e il Tribunale dichiara chiuso il fallimento.

Il giudice delegato e il comitato dei creditori continuano a svolgere una funzione di sorveglianza per quanto concerne l’adempimento del concordato, secondo le modalità stabilite nel decreto di omologazione.

Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori all’apertura del fallimento, abbiano o non abbiano presentato domanda di ammissione al passivo.

Ai creditori concorsuali ma non concorrenti non si estendono le garanzie date nel concordato da terzi.

I creditori conservano tutta la loro azione per l’intero credito nei confronti dei coobbligati e dei fideiussori del fallito come pure degli obbligati in via di regresso.

Se il concordato prevede il pagamento dei creditori in percentuali o mediante cessione dei beni il debitore è liberato con il pagamento della percentuale di concordato o con la cessione dei beni.

Invece, se le garanzie promesse non vengono costituite o se gli obblighi del concordato non sono adempiuti dal proponente il Tribunale, su richiesta di qualsiasi creditore da proporsi entro un anno dalla scadenza del termine per l’ultimo adempimento, pronuncia la risoluzione del concordato.

Si riapre, così, la procedura di fallimento.

Se risulta invece che il passivo è stato dolosamente esagerato o una parte rilevante dell’attivo è stata sottratta o dissimulata il curatore e i creditori possono chiedere l’annullamento del concordato.

La sentenza che annulla il concordato riapre il fallimento ed è provvisoriamente esecutiva.

Il ricorso per annullamento deve essere proposto nel termine di 6 mesi dalla scoperta del dolo e non oltre 2 anni dalla scadenza del termine dell’ultimo adempimento previsto.

Non è ammessa altra azione di nullità o di annullamento.

2. Riapertura del fallimento

La procedura di fallimento può essere riaperta.

In conseguenza della risoluzione o annullamento del concordato, se i creditori che non hanno trovato pieno soddisfacimento, sopravvengono nel patrimonio del fallito per attività che rendono utile il provvedimento o il debitore faccia offerta di pagare il 10 per cento a creditori vecchi e nuovi.

La riapertura del fallimento è consentita entro limiti di tempo determinati.

Nella prima ipotesi deriva dal tempo fissato per la ammissibilità della azione di risoluzione o di annullamento del concordato.

La sentenza che dispone la riapertura del fallimento richiama in funzione il giudice delegato o lo nomina di nuovo; fissa i termini per le domande di ammissione al passivo, eventualmente abbreviandoli fino alla metà.

In definitiva si ha una continuazione del precedente concorso, con una differenza.

Ad esso partecipano anche i creditori nuovi e cioè quelli le cui ragioni di credito siano sorte dopo la chiusura del fallimento.

Secondo la Corte di cassazione (sentenza n. 23271/2006) è inammissibile il ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso il decreto con cui il giudice delegato, durante l’esecuzione del concordato preventivo, impartisce direttive generali per una corretta gestione della procedura nella fase liquidatoria.

Infatti tale ricorso è inidoneo a pregiudicare in modo definitivo e con carattere decisorio i diritti soggettivi delle parti.

Una volta esauritasi, con la sentenza di omologazione, la procedura di concordato preventivo, tutte le questioni che hanno ad oggetto i diritti dei singoli creditori e che attengono all’esecuzione del concordato danno luogo a controversie del tutto sottratte al potere decisionale degli organi fallimentari.

Queste, infatti, sono materie oggetto di ordinario giudizio di cognizione.

3. La giurisprudenza rilevante in materia di concordato fallimentare

Cass. civ. Sez. V Ord., 25/10/2022, n. 31560.

In materia di debiti tributari, solo con l’atto di pignoramento inizia l’esecuzione, con la conseguente giurisdizione del giudice ordinario e l’attivazione dei divieti previsti dall’art. 51 e 52 Legge Fallimentare, con la conseguenza che la cartella esattoriale, essendo un atto che accorpa in sé le funzioni di titolo esecutivo e di precetto, non rientra nel divieto di cui all’art. 168 Legge Fallimentare, che impedisce solo le azioni proprie del processo di esecuzione, e non anche qualsiasi iniziativa del creditore volta a realizzare unilateralmente ed al di fuori della procedura concorsuale il contenuto dell’obbligazione del debitore concordatario, non potendosi affermare l’irrilevanza della natura riscossiva e non esecutiva della cartella.

Cass. civ. Sez. I Sent., 02/09/2022, n. 25924.

In tema di concordato fallimentare, alla proposta concordataria formulata dal terzo con liberazione immediata del fallito ai sensi dell’art. 137, comma 7, l.fall., non si applica il divieto di accollo liberatorio del debito di imposta previsto dall’art. 8, comma 2, della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente).

Cass. civ. Sez. I Ord., 17/06/2022, n. 19707.

In tema di concordato fallimentare, il creditore che abbia avanzato una propria proposta e che, avendo ricevuto il parere negativo del comitato dei creditori ed il diniego di ammissione al voto dal giudice delegato, non abbia immediatamente reclamato tali atti, difetta di interesse a proporre opposizione alla omologazione di una diversa proposta di concordato fallimentare, in quanto non riveste posizione di proponente concorrente, diversamente dal caso in cui anche la sua proposta fosse stata ammessa al voto e risultasse perciò concretamente pregiudicato dall’omologazione della proposta preferita, considerato altresì che la nozione di “qualsiasi altro interessato”, di cui all’art. 129, comma 2, l.fall., non può estendersi sino al punto da ricomprendere qualunque terzo contrario alla omologazione, ma privo di un interesse giuridicamente tutelato ad opporvisi.

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 16/11/2021, n. 34505.

In caso di chiusura del fallimento per concordato fallimentare, l’assuntore che agisca giudizialmente per ottenere il pagamento di una somma già dovuta al fallito esercita un’azione rinvenuta nel patrimonio di quest’ultimo, collocandosi nella medesima sua posizione, sostanziale e processuale: sicché il terzo convenuto in giudizio può legittimamente opporgli tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre all’imprenditore fallito, compresa quella di compromesso.

In tema di concordato fallimentare, la clausola compromissoria contenuta nello statuto di un consorzio – che prevede la competenza arbitrale per qualunque controversia tra i soci ed il consorzio – è opponibile all’assuntore del concordato dell’impresa consorziata dichiarata fallita e poi esclusa dal consorzio, ove la lite abbia ad oggetto la richiesta di condanna di quest’ultimo a corrispondere all’impresa la quota ad essa spettante di somme incassate per conto delle associate, poiché tale clausola si applica alle pretese avanzate dal consociato riguardanti il rapporto intercorso con l’ente collettivo, sebbene egli non prenda più parte della compagine associativa, continuando tali pretese a trovare causa nell’ambito del sodalizio d’impresa.

Cass. civ. Sez. I Ord., 08/07/2021, n. 19461.

In tema di concordato fallimentare, in virtù di un’interpretazione imposta da una lettura costituzionalmente orientata dall’art. 129, comma 4, L. Fall., analoga a quella già seguita in tema di decreto di ammissione alla amministrazione controllata, secondo l’abrogato art. 188 L. Fall., avverso il decreto di omologazione pronunciato in assenza di opposizioni, ai sensi dell’art. 129, comma 4, L. Fall. può essere presentato ricorso immediato per cassazione ex art. 111 Cost. (solo) da parte di quei soggetti potenzialmente interessati che, pur pienamente identificabili dall’esame degli atti della procedura fallimentare, non avessero ricevuto individualmente la comunicazione del decreto del G.D. riportante la proposta di concordato.

Cass. civ. Sez. I Ord., 31/05/2021, n. 15168.

L’assuntore del concordato fallimentare è legittimato a ricorrere per cassazione avverso il decreto di liquidazione del compenso del curatore fallimentare, trattandosi di questione destinata ad incidere sulla commisurazione dell’impegno da lui assunto.

Cass. civ. Sez. I Ord., 22/02/2021, n. 4697.

La risoluzione del concordato fallimentare, ai sensi dell’art. 140, comma 3, l.fall., determina l’acquisizione della cauzione versata all’atto della domanda quale conseguenza del trasferimento a carico del proponente del rischio della mancata attuazione della proposta, sia nel caso di proposta formulata dal fallito che da un terzo assuntore, avendo detta cauzione la funzione di evitare iniziative fraudolente o dilatorie a supporto della serietà della proposta concordataria. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva disposto la restituzione delle somme versate dal terzo assuntore a titolo di cauzione, nei limiti in cui non erano state utilizzate, affinché fossero poi i creditori a convenirlo in giudizio per la realizzazione delle garanzie).

Cass. civ. Sez. I Ord., 08/02/2021, n. 2948.

Nell’ambito del concordato fallimentare, devono ritenersi escluse dal voto e dal calcolo delle maggioranze le società che controllano la società proponente o sono da essa controllate o sottoposte a comune controllo, poiché l’art. 127, comma 6, L. Fall. contiene una disciplina applicabile in via estensiva a tutte le ipotesi di conflitto tra l’interesse comune della massa e quello del singolo creditore (Nel caso di specie, accogliendo il ricorso, la Suprema Corte ha cassato con rinvio i decreti impugnati, avendo la corte territoriale, in contrasto con gli enunciati principi, omesso di non computare, ai fini dell’omologa, anche i suffragi espressi sia dalla stessa società proponente, creditrice della fallita, sia dalla sua controllata, compagine societaria che si era avvalsa, ai fini del voto, non solo del credito ammesso in sede chirografaria, ma anche del proprio credito privilegiato, grazie alla rinuncia alla prelazione).

Cass. civ. Sez. I Ord., 11/11/2020, n. 25316.

In tema di concordato fallimentare, il provvedimento del tribunale che in sede di reclamo confermi il decreto con cui il giudice delegato ha respinto la domanda di concordato, sostituendosi al prescritto parere del comitato dei creditori, ai sensi dell’art. 41 l.fall., manca del carattere di decisorietà e definitività, non precludendo la riproponibilità della proposta, sicchè non è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.

Cass. civ. Sez. I Ord., 05/08/2020, n. 16707.

In tema di omologazione del concordato fallimentare, se è vero che in difetto di opposizioni il tribunale è esonerato dal condurre un’istruttoria sul merito della proposta, tuttavia, il decreto di omologazione non costituisce l’unico ed indefettibile esito della procedura, ben potendo il tribunale, qualora sia sollevata l’eccezione del difetto di regolarità del giudizio, anche sub specie di intempestività della domanda, decidere per la non omologazione. Ne consegue, pertanto, che, ai sensi dell’art. 26 l. fall. cui lo stesso art. 129 comma 3 l. fall. rimanda, qualora nel termine di dieci giorni dalla comunicazione dell’approvazione della proposta da parte dei creditori non sia depositata la richiesta di omologazione, la relativa domanda deve essere dichiarata, anche d’ufficio, improcedibile.

Cass. civ. Sez. I, 21/06/2019, n. 16804.

In tema di concordato fallimentare, contro il decreto di omologazione che abbia altresì deciso sulle opposizioni proposte ex art. 129, co. 3, l. fall., è ammissibile il reclamo avanti alla corte d’appello ex art. 131 l. fall., mentre lo stesso rimedio è precluso se detto decreto sia pronunciato in assenza di opposizioni, ai sensi dell’art. 129, co. 4, l. fall., potendo, invece, avverso tale provvedimento, essere presentato ricorso immediato per cassazione ex art. 111 Cost. ; trattasi, infatti, di decreto “non soggetto a gravame” e dotato dei caratteri della decisorietà e della definitività essendo obbligatorio per tutti i creditori anteriori, compresi quelli che non si sono insinuati al passivo, e non soggetto a gravame.

Cass. civ. Sez. I Ord., 29/03/2019, n. 8970.

Nell’ipotesi di fallimento dichiarato in consecuzione di una procedura di concordato preventivo, nel regime vigente prima dell’introduzione dell’art. 69 bis, comma 2, l.fall., per effetto dell’art. 33, comma 1, del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, i termini per la proposizione dell’azione revocatoria fallimentare decorrono dalla data del decreto di ammissione alla procedura di concordato e non da quella del deposito della relativa domanda, attesa l’omogeneità tra sentenza di fallimento e decreto di ammissione al concordato e considerato che gli effetti giuridici riconducibili alla detta domanda sono indicati tassativamente nell’art. 169 l.fall..

Cass. civ. Sez. I Sent., 30/01/2019, n. 2664.

La revoca del sostegno pubblico concesso per lo sviluppo delle attività produttive, deliberata ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 123 del 1998, non importa alcuna valutazione discrezionale ed è opponibile alla massa dei creditori, anche se intervenuta dopo che il beneficiario abbia proposto domanda di concordato fallimentare e lo stesso sia stato pure omologato, perché il provvedimento di revoca si limita ad accertare il venir meno di un presupposto previsto in modo puntuale dalla legge, senza che l’atto di revoca possegga alcuna valenza costitutiva.

Cass. civ. Sez. I Ord., 18/10/2018, n. 26291.

Il provvedimento del giudice delegato che inviti la società garante di una proposta di concordato fallimentare a depositare presso un istituto di credito una somma di denaro necessaria per l’esecuzione del concordato stesso è espressione di un potere ordinatorio del giudice in ordine alla gestione del patrimonio fallimentare, il cui esercizio dà luogo ad atti privi dei caratteri di definitività e di decisorietà. Pertanto, contro tale provvedimento è dato rimedio del reclamo al tribunale ex art. 26 L. Fall., mentre è inammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso il decreto che decide sul reclamo in quanto anche quest’ultimo provvedimento è privo dei caratteri di decisorietà e definitività (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso il decreto con cui il tribunale, in accoglimento del reclamo proposto dal controricorrente avverso il decreto con il quale il giudice delegato aveva rigettato la domanda diretta ad ottenere il deposito ex art. 136 legge fall. da parte di una società di capitali di una somma pari al 35 per cento del proprio credito, ordinava a quest’ultima di consegnare al curatore un libretto bancario nominativo vincolato all’ordine del giudice delegato ed intestato al controricorrente portante una somma di rilevante importo).

Cass. civ. Sez. Unite Sent., 28/06/2018, n. 17186.

Nel concordato fallimentare manca una previsione di carattere generale sul conflitto di interessi, come succede invece nell’ambito delle società (art. 2373 c.c. per la società per azioni e art. 2479 ter per quella a responsabilità limitata), essendo indicate, all’art. 127, commi 5 e 6, l.fall., soltanto alcune ipotesi di esclusione dal voto, dettate dall’esigenza di neutralizzare un conflitto in atto tra l’interesse comune della massa e quello del singolo, sicché il divieto di voto va esteso anche agli altri casi, pure non espressamente disciplinati, in cui sussiste il detto contrasto, come accade tra chi abbia formulato la proposta di concordato e i restanti creditori del fallito.

In tema di votazione nel concordato fallimentare, devono ritenersi escluse dal voto e dal calcolo delle maggioranze le società che controllano la società proponente o sono da essa controllate o sottoposte a comune controllo, poiché l’art. 127, comma 6, l.fall. contiene una disciplina applicabile in via estensiva a tutte le ipotesi di conflitto tra l’interesse comune della massa e quello del singolo creditore.

Cass. civ. Sez. I Ord., 15/06/2018, n. 15793.

In tema di concordato fallimentare con assunzione, qualora la relativa proposta contempli la cessione delle azioni revocatorie, la perdita della legittimazione processuale del curatore si verifica soltanto con l’emissione del decreto previsto dall’art. 136 l.fall., non determinandosi peraltro l’interruzione del processo sino a quando tale evento non sia stato dichiarato o notificato ai sensi dell’art. 300 c.p.c..

Cass. civ. Sez. I Ord., 25/09/2017, n. 22271.

Poichè l’opposizione all’omologazione del concordato fallimentare si propone mediante ricorso a norma dell’art. 26 l.fall., richiamato dall’art. 129, comma 3, l.fall., trova applicazione l’art. 36-bis l.fall. a mente del quale tutti i termini processuali previsti negli artt. 26 e 36 l.fall. non sono soggetti alla sospensione feriale.

Cass. civ. Sez. I Ord., 31/05/2017, n. 13762.

Il curatore fallimentare che agisca giudizialmente per ottenere il pagamento di una somma già dovuta al fallito esercita un’azione rinvenuta nel patrimonio di quest’ultimo, collocandosi nella medesima sua posizione, sostanziale e processuale, sicchè il terzo convenuto in giudizio dal curatore può legittimamente opporgli tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre all’imprenditore fallito, comprese le prove documentali e senza i limiti di cui all’art. 2704 c.c. Ne deriva che, in caso di chiusura del fallimento per concordato fallimentare, l’assuntore che prosegua o intraprenda analoghe iniziative giudiziarie verso il terzo viene a trovarsi nella medesima posizione processuale che aveva o avrebbe avuto il curatore.

Cass. civ. Sez. I Ord., 12/04/2017, n. 9411.

In tema di concordato fallimentare, deve essere rimessa all’esame del Primo Presidente della Corte di cassazione perchè valuti la sua eventuale assegnazione alle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza, ai sensi dell’art. 374, comma 2, cod. proc. civ. sintetizzabile nel seguente ragionamento: un precedente della S.C. secondo cui nel concordato fallimentare “la partecipazione al voto è la regola, mentre l’esclusione dalla stesso deve essere espressamente prevista” ha visto nascere un cospicuo dibattito dottrinale che, in misura non trascurabile, ritiene che il divieto per il proponente ed i creditori “parti correlate” di votare nel concordato sia implicito nel sistema, al di là della lettera della legge, in rapporto all’interesse comune al ceto creditorio chirografario di massimizzare la percentuale di soddisfazione del proprio credito, che potrebbe essere del tutto svilita ove le “parti correlate” al soggetto proponente abbiano raggiunto la quota maggioritaria dei crediti ammessi al voto. In tal modo, emergerebbe l’interesse comune dei creditori costituito dal rispetto delle regole della concorsualità e della migliore regolazione del dissesto, con parità di condizioni fra i creditori chirografari, con la vantaggiosa valutazione comparativa della convenienza della proposta concordataria e della massimizzazione del ricavato; cosicché il conflitto di interessi emergerebbe non solo laddove la legge ne parla espressamente, ma anche in quelle situazioni in cui si dovrebbe fare applicazione delle regole civilistiche. Di contro, invece, si può osservare che il conflitto di interessi assume rilevanza solo quando sia occasionale, non quando sia necessariamente connesso ad una qualifica soggettiva del legittimato al voto.

Cass. civ. Sez. I Sent., 31/10/2016, n. 22045.

L’azionista non è legittimato a proporre opposizione, ai sensi dell’art. 129 l.fall., all’omologazione del concordato fallimentare richiesto dalla società, neppure se denuncia le irregolarità della relativa procedura, che il giudice ha il dovere di verificare d’ufficio, a meno che non prospetti la concreta incidenza negativa che la soluzione offerta, rispetto al fallimento, determina sul suo interesse sostanziale a realizzare, attraverso la liquidazione, il valore della partecipazione.

Cass. civ. Sez. I Sent., 03/11/2016, n. 22284.

Nel concordato fallimentare, la legittimazione ad agire per l’adempimento delle obbligazioni contratte dall’assuntore compete ai creditori ammessi al passivo e non al curatore del fallimento, il quale, infatti, salvo che nei casi espressamente previsti dalla legge, non ha un generale potere-dovere di sostituirsi ai creditori del fallito nell’esercizio delle azioni corrispondenti alle pretese di cui sono titolari.

Cass. civ. Sez. II, 29/10/2015, n. 22103.

In tema di provvedimento, con cui il giudice delegato, nell’esercizio della competenza esclusiva al riguardo attribuitagli dalla legge (art. 25, n. 6, legge fall. nel testo modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006), liquida i compensi per l’opera prestata dagli incaricati a favore del fallimento, il parere del curatore consiste in una mera dichiarazione di scienza senza alcun valore certificatorio, spettando al giudice che ha provveduto alla nomina ogni accertamento della prestazione svolta dall’incaricato oltre che della relativa entità e dei risultati; ne consegue l’insindacabilità, rispetto al predetto parere, sia del decreto del giudice delegato, sia, a maggior ragione, del provvedimento del tribunale fallimentare, adito dall’incaricato in sede di reclamo ex art. 26 legge fall.

Cass. civ. Sez. I Sent., 01/10/2015, n. 19645.

In tema di concordato fallimentare, il divieto di cui all’art. 25, comma 2, l.fall. non si applica al giudizio di omologazione del concordato previsto dall’art. 129 l.fall., sicché non è preclusa al giudice delegato la partecipazione al relativo collegio, trattandosi di giudizio non assimilabile al reclamo avverso i provvedimenti del giudice delegato, il quale, nella procedura concordataria, non pone in essere atti dispositivi ma svolge una funzione di coordinamento ed organizzazione delle varie progressive fasi.

Nel giudizio di omologazione del concordato fallimentare, il controllo del tribunale è limitato alla verifica della regolarità formale della procedura e dell’esito della votazione – salvo che non sia prevista la suddivisione dei creditori in classi ed alcune di esse risultino dissenzienti – restando escluso ogni controllo sul merito, giacché la valutazione del contenuto della proposta concordataria, riguardando il profilo della convenienza, è devoluta ai creditori, sulla base del parere inerente ai presumibili risultati della liquidazione formulato dal curatore e dal comitato dei creditori.

Cass. civ. Sez. I Sent., 31/08/2015, n. 17339.

Qualora il concordato fallimentare con assunzione preveda la cessione delle azioni revocatorie, la chiusura del fallimento conseguente alla definitività del provvedimento di omologazione determina una successione a titolo particolare dell’assuntore nel diritto controverso regolata dall’art. 111 c.p.c., sicché quest’ultimo, pur potendo intervenire nel giudizio pendente dinanzi alla Corte di cassazione, ma non come parte necessaria né in sostituzione del curatore fallimentare, non è tuttavia legittimato a rinunciare al ricorso già proposto dalla curatela.

Cass. civ. Sez. I Sent., 31/10/2014, n. 23262.

In caso di accordo tra debitore, garante del proprio concordato fallimentare, e creditore, di cui il fideiussore del primo abbia dichiarato di voler profittare, eccependo, in sede di opposizione al piano di riparto, la conseguente estinzione di ogni pretesa da parte dell’assegnatario, occorre valutare se si tratti di mera remissione parziale o di effettiva transazione ed, in quest’ultimo caso, se essa verta sulle obbligazioni originarie oppure sugli obblighi nascenti dalla sentenza di omologazione del concordato, ed, infine, se il coobbligato in solido abbia tempestivamente e correttamente esercitato la facoltà di cui all’art. 1304 cod. civ.

Cass. civ. Sez. I Sent., 29/07/2014, n. 17198.

In tema di concordato fallimentare, proposto nella vigenza del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, pendente all’entrata in vigore del successivo d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, il provvedimento del tribunale che, in sede di reclamo, confermi il decreto con cui il giudice delegato ha dichiarato l’inammissibilità di un’istanza concordataria perché presentata in un termine che si assume già spirato, manca del carattere sia della decisorietà, sia della definitività, potendo il proponente far valere ogni doglianza in sede di opposizione all’omologazione del concordato, e, pertanto, non è impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.

Cass. civ. Sez. I Sent., 29/10/2013, n. 24359.

A seguito della riforma di cui al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e al d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, nel giudizio di omologazione del concordato fallimentare il controllo del tribunale è limitato alla verifica della regolarità formale della procedura e dell’esito della votazione – salvo che non sia prevista la suddivisione dei creditori in classi ed alcune di esse risultino dissenzienti – restando escluso ogni controllo sul merito, ad eccezione dell’indagine sull’eventuale abuso dell’istituto. La valutazione sul contenuto della proposta concordataria, riguardando il profilo della convenienza, è, invece, devoluta ai creditori, sulla base del parere inerente ai presumibili risultati della liquidazione formulato dal curatore e dal comitato dei creditori, mentre al giudice delegato spetta soltanto un controllo sulla ritualità della proposta medesima.

Cass. civ. Sez. I Sent., 05/04/2013, n. 8427.

La riapertura del fallimento conseguente alla risoluzione del concordato fallimentare comporta la reviviscenza dell’originaria procedura concorsuale, e non una nuova, autonoma procedura. Ne consegue che ove tale risoluzione, benché pronunciata successivamente all’entrata in vigore dei d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e 12 settembre 2007, n. 169, riguardi un concordato fallimentare omologato anteriormente ad essi, si producono gli effetti di cui agli artt. 122 e 123 legge fall., nei rispettivi testi previgenti, ed al fallimento riaperto, in quanto nuova fase di una procedura che era stata definita secondo la legge anteriore, continuano ad applicarsi le norme preesistenti, atteso il chiaro tenore testuale dell’art. 22 del citato d.lgs. n. 169 del 2007.

Cass. civ. Sez. I Sent., 27/11/2012, n. 20977.

In tema di esecuzione di un concordato fallimentare, è ammissibile l’esercizio, in via surrogatoria, dell’azione di cui all’art. 2932 cod. civ. da parte dell’assuntore, nel contraddittorio con altro assuntore suo debitore, nei confronti del proponente il medesimo concordato rimasto inadempiente all’impegno di assolvere i suoi obblighi con la cessione “pro soluto” a questi ultimi, tra l’altro, dei propri immobili, dovendo ritenersi applicabile il rimedio di cui alla citata norma non solo nelle ipotesi di contratto preliminare non seguito da quello definitivo, ma in qualsiasi fattispecie dalla quale sorga l’obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto, in relazione ad un negozio unilaterale ovvero ad un atto o fatto dai quali tale obbligo possa sorgere “ex lege”.

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 10/05/2012, n. 7188.

Il provvedimento del giudice delegato che inviti la società garante di una proposta di concordato fallimentare a depositare presso un istituto di credito una somma di denaro necessaria per l’esecuzione del concordato stesso è espressione del potere ordinatorio del giudice in ordine alla gestione del patrimonio fallimentare, il cui esercizio dà luogo ad atti privi dei caratteri di definitività e di decisorietà. Pertanto, contro tale provvedimento è dato il rimedio del reclamo al tribunale ex articolo 26 della legge fall., mentre è inammissibile il ricorso per cassazione ex articolo 111 della Costituzione avverso il decreto che decide sul reclamo, in quanto anche quest’ultimo provvedimento è privo dei caratteri di decisorietà e definitività.

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 22/02/2012, n. 2674.

In tema di omologazione del concordato fallimentare, secondo la nuova disciplina di cui al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, è ammissibile la proposta proveniente da un terzo e che contempli a suo favore, in sede di esecuzione, un’eventuale eccedenza – contenuta nei limiti della ragionevolezza – del valore dei beni trasferiti rispetto all’ammontare di quanto necessario per il pagamento dei crediti concorsuali, poichè essa realizza il giusto guadagno dell’intervento del terzo, che si accolla l’onere ed il rischio dell’operazione e non può dirsi agisca a scopo di liberalità; tale eccedenza è invero equiparabile alle spese necessarie all’esecuzione, da ritenersi giustificate, in analogia all’art.504 cod. proc. civ., ove così sia consentita la trasformazione del patrimonio del debitore negli strumenti volti al soddisfacimento dei creditori.

Cass. civ. Sez. I Sent., 14/02/2011, n. 3585.

In tema di concordato fallimentare, contro il decreto di omologazione che abbia altresì deciso sulle opposizioni proposte ex art. 129, comma 3, legge fall., è ammissibile il reclamo avanti alla corte d’appello ex art. 131 legge fall., mentre lo stesso rimedio è precluso se detto decreto sia pronunciato in assenza di opposizioni, ai sensi dell’art. 129,comma 4, legge fall., potendo, invece, avverso tale provvedimento, essere presentato ricorso immediato per cassazione ex art. 111 Cost.; trattasi, infatti, di decreto “non soggetto a gravame” e dotato dei caratteri della decisorietà e della definitività essendo obbligatorio per tutti i creditori anteriori, compresi quelli che non si sono insinuati al passivo, e non soggetto a gravame. Siffatta interpretazione è imposta da una lettura costituzionalmente orientata dall’art. 129, comma 4, legge fall., analoga a quella già seguita in tema di decreto di ammissione alla amministrazione controllata, secondo l’abrogato art. 188 legge fall.

Cass. civ. Sez. I, 10/02/2011, n. 3274.

Deve ritenersi applicabile anche allo strumento concordatario il concetto di abuso del diritto il quale tuttavia non è riconducibile alla violazione della par condicio creditorum intesa come trattamento paritario trattandosi di ricostruzione esclusa dallo stesso legislatore dal momento che è ammesso un trattamento differenziato non solo per quanto attiene ai mezzi satisfattivi ma anche in relazione alla percentuale offerta con il solo limite del trattamento uguale all’interno delle singole classi.

In tema di concordato fallimentare, può ricorrere l’abuso del diritto quando il fine della procedura (cioè la soluzione anticipata della crisi con tutela dei creditori secondo le modalità approvate dalla maggioranza) ecceda il sacrificio imposto al patrimonio del fallito per la parte non necessaria al soddisfacimento dei creditori; tuttavia, è da escludere che l’abuso consista nella mera violazione del trattamento paritario fra i creditori, come risulta dalla stessa previsione normativa sia del concordato con classi (con i trattamenti differenziati fra creditori), sia di quello senza classi (proponibile anche da un creditore o gruppo di creditori, che legittimamente possono perseguire utilità maggiori di quelle che potrebbero ritrarre dall’ordinario corso della procedura). Ne consegue che l’abuso predetto non sussiste quando la proposta preveda la cessione delle azioni revocatorie al terzo, in quanto il vantaggio che questi ritrae si riflette in un corrispondente maggior vantaggio altresì per i creditori, alla stregua di maggiore percentuale offerta e sicurezza adempitiva.

Cass. civ. Sez. I Sent., 20/09/2010, n. 19858.

Il decreto del tribunale fallimentare che – investito del reclamo avverso il provvedimento con il quale il giudice delegato, dopo la sentenza di omologazione del concordato fallimentare, abbia indicato le modalità di pagamento dei crediti da parte dell’assuntore – abbia escluso i crediti ammessi a seguito di istanze tardive, è un provvedimento abnorme, viziato da carenza assoluta di potestà decisionale che, decidendo su diritti soggettivi è impugnabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., essendo preclusa al giudice delegato e al tribunale, in sede di esecuzione, di interpretare una decisione definitiva di carattere giurisdizionale, qual è la sentenza di omologazione del concordato fallimentare.

Cass. civ. Sez. I Sent., 11/08/2010, n. 18621.

La procedura di omologazione del concordato fallimentare effettuata ai sensi dell’art. 128 legge fallimentare – nel testo vigente a seguito del d.lgs. n. 5 del 2006, “ratione temporis” applicabile prima della modifica di cui all’art. 61 della legge n. 69 del 2009 – mediante l’approvazione della pluralità delle proposte presentate dai creditori con il sistema del silenzio-assenso, unico criterio applicabile secondo l’art. 128 sopracitato, deve ritenersi legittima ove solo uno dei proponenti abbia chiesto la successiva omologazione della propria proposta atteso che il Tribunale deve limitarsi alla verifica della regolarità della procedura e dell’esito della votazione mentre, se tutti i soggetti proponenti, che hanno effettuato le proposte approvate, ne domandano l’omologazione, è illegittima la procedura nella quale il tribunale, sostituendosi nell’esercizio di un potere di scelta invece appartenente ai soli creditori, procede all’esame comparativo delle stesse, così omologando una di esse, ritenuta la più conveniente.

Cass. civ. Sez. I Sent., 17/01/2008, n. 893.

Nel caso di contestuale proposizione da parte del curatore fallimentare di azione revocatoria ex art. 67 legge fall. avente ad oggetto la concessione di ipoteca iscritta contro il debitore prima della sua ammissione alla procedura di concordato preventivo e, come conseguenza della dedotta inefficacia delle ipoteche, di domanda di inefficacia dei pagamenti eseguiti al creditore ipotecario nel corso del concordato poi risolto, alla dichiarazione di inefficacia dell’ipoteca segue l’accoglimento della domanda di restituzione dei pagamenti, ancorché questi siano stati autorizzati dal giudice delegato, poiché tale domanda non rientra nella previsione di cui all’art. 67 legge fall., ma va ricondotta all’art. 2033 cod. civ.. (Sulla base di tale distinzione la S.C. ha escluso che, nella specie, si ponessero sia la questione dell’applicazione analogica al concordato preventivo dell’art. 140, comma 3, legge fall., il quale esonera i creditori dall’obbligo di restituire quanto hanno già riscosso in adempimento del concordato fallimentare risolto, sia della assoggettabilità a revocatoria degli atti compiuti nel corso della procedura di concordato preventivo).

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