Concorrenza sleale: come difendersi

Quando si parla di concorrenza sleale in realtà si fa riferimento ad una pluralità di fattispecie di concorrenza c.d. disonesta tipizzate dal legislatore all’interno del Codice civile e in altre norme racchiuse in Leggi speciali. 

Le suddette fattispecie si manifestano all’interno del mercato libero e sono la conseguenza dell’identità degli imprenditori, i quali cercano, per fini economici, di accaparrarsi il mercato. 

È fondamentale saper riconoscere una concorrenza sleale (e dunque illecita) da una concorrenza “lecita” in quanto solo nel primo caso è possibile ottenere tutela. 

1. Il concetto di concorrenza sleale

Con il termine concorrenza sleale, si fa riferimento a quella condotta, disciplinata, repressa e sanzionata dal Codice civile, negli artt. 2598-2601, per mezzo della qualeun imprenditore utilizzando direttamente o indirettamente quei mezzi, o tecniche, difformi al principio di correttezza professionale, può danneggiare un’azienda concorrente.

Ai sensi dell’art. 2598 c.c., compie atti di concorrenza sleale chi agisce assumendo una delle condotte di seguito elencate:

  • utilizzo di nomi o segni distintivi di terzi, idonei a creare e produrre una confusione nei confronti di concorrenti;
  • compimento, con qualsiasi altro mezzo, di atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;
  • diffusione di notizie o apprezzamenti su prodotti e attività di un concorrente, tali da determinarne il discredito o l’appropriazione di pregi;
  • utilizzo in via diretta o indiretta di ogni altro mezzo altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.

2. Cos’è la concorrenza sleale indiretta?

Come anticipato, anche la concorrenza sleale indiretta è rilevante nel nostro ordinamento giuridico. Si tratta, in poche parole, di atti scorretti posti in essere non direttamente dall’imprenditore bensì da soggetti terzi nell’esclusivo interesse dell’imprenditore avvantaggiato

Ad esempio, si pensi al personale dipendente oppure agli ausiliari dell’imprenditori i quali agiscono in modo sleale sul mercato al fine di aiutare l’imprenditore. 

Secondo la giurisprudenza, i suddetti atti non devono necessariamente essere stati effettuati per conto dell’imprenditore (ovvero su incarico specifico di quest’ultimo) ma quantomeno nel suo interesse.

Un dubbio però potrebbe sorgere a questo punto: a chi è imputabile la responsabilità derivante dagli atti di concorrenza sleale? In primo luogo, sicuramente all’imprenditore e, in subordine, anche al terzo. 

Più precisamente: 

  • se si tratta di un soggetto dipendente dell’imprenditore, la responsabilità ricade completamente in capo a quest’ultimo, fatto salvo il caso in cui il dipendente svolga mansioni che gli permettono di avere un potere d’iniziativa nell’ambito in cui sono stati posti in essere gli atti di concorrenza. In tal caso, anche sul dipendente graverà la responsabilità;
  • viceversa, se si tratta dell’amministratore di una società che effettua atti di concorrenza sleale, allora sarà responsabile solo la società a meno che i suddetti atti non siano direttamente ed esclusivamente riconducibili all’interesse dell’amministratore. 
  • Per tutti gli altri soggetti, invece, la responsabilità è in solido con l’imprenditore. 

3. Cosa la differenzia dalla concorrenza “leale”?

Ora che abbiamo definito il concetto di concorrenza sleale dobbiamo spendere due parole sulla concorrenza nella sua forma ordinaria, al fine di non confondere le due tipologie, una illecita e l’altra no.

Al riguardo, si pongono in uno stato concorrenziale tutte quelle aziende che, rivolgendosi alla medesima categoria di consumatori, offrono analoghi prodotti.

Ciò implica che due o più imprese si possono trovare in una situazione di concorrenza quando:

  • operano, contestualmente, nel medesimo stato della catena produttiva e/o distributiva del mercato,
  • si rivolgono alla medesima clientela.

Il mercato, per sua natura, è concorrenziale e per tale ragione, la predetta situazione non può che essere lecita.

Il sopra citato art. 2598 c.c. viene quindi istituito al fine di prevenire e sanzionare tutti quegli atteggiamenti inclini ad alterare l’equilibrio della libera concorrenza.

3.1. Qual è la ratio della norma?

La ratio della norma, dunque, è quella di presentare un complesso di regole comportamentali, volte a tutelare principi di correttezza a lealtà, che ciascuna impresa operante nel mercato è tenuta a rispettare.

In questo modo, il legislatore ha voluto garantire un mercato libero e concorrenziale, in cui nessun operatore possa avvantaggiarsi, nella diffusione e collocazione dei propri prodotti sul mercato, per mezzo di attività non conformi alle logiche dei già menzionati principi di correttezza e lealtà.

Ad esempio, una condotta rientrante nella sfera della concorrenza sleale è sicuramente la divulgazione di considerazioni negative sull’altrui attività, al fine di screditarla agli occhi del consumatore, inducendo quest’ultimo a un condizionamento di scelta.

Una condotta simile rientra in una particolare fattispecie, di cui parleremo a breve, denominata concorrenza sleale per denigrazione.

3.2 Quando si applica la disciplina della concorrenza sleale?

Ora che abbiamo compreso quando si parla di concorrenza sleale, possiamo soffermarci su una seconda questione, non meno rilevante, ossia quando andiamo ad applicare la suindicata disciplina normativa.

Al riguardo, prima di tutto è necessario che si verifichino tanto i presupposti soggettivi (e quindi l’intenzionalità della condotta contraria alla lealtà e concorrenza) quanto i presupposti oggettivi.

Presupposti oggettivi

Ai fini di una configurazione della concorrenza sleale e dell’annessa applicazione delle norme di settore, dobbiamo verificare, per l’appunto, che sussistano i presupposti oggettivi, quali:

  • la sussistenza di un rapporto concorrenziale tra due o più esercizi;
  • l’interesse del medesimo bacino di utenti e, quindi, l’inserimento nello stesso mercato;
  • l’offerta di analoghi prodotti servizi.

Per avere maggior contezza possiamo, a questo punto, contestualizzare tali presupposti con diversi profili di natura territoriale, merceologica e temporale.

Quindi, dobbiamo tenere sempre a mente che parliamo di concorrenza quando le diversi aziende si rivolgono a quella fascia di mercato in cui la medesima clientela tende a dover soddisfare un analogo bisogno (profilo territoriale)

Per quanto riguarda, invece, il profilo merceologico, lo stesso può contestualizzarsi, in ottica concorrenziale, nella commercializzazione degli stessi prodotti o servizi di altre attività, già presenti sul mercato.

Da ultimo, per quanto attiene al profilo temporale, possiamo dire che lo stesso deve intendersi come una vera e propria tutela delle imprese nelle fasi di organizzazione o scioglimento.

3.3.La qualifica di imprenditore

Dalla lettura dell’art. 2598 c.c. pare che possa essere applicata solo a chi, anche di fatto (cioè anche senza la licenza amministrativa e in maniera irregolare dunque) esercita un’attività economica organizzata al fine di produrre o scambiare beni o servizi (ovvero un’attività d’impresa). 

Pertanto, l’attività economica organizzata presa in considerazione della norma sopra citata non è quella disciplinata dall’art. 2082 c.c. È sufficiente, in altre parole, che l’attività economica organizzata sia diretta alla produzione o allo scambio di beni e servizi, tralasciando il requisito della professionalità (cioè della continuità dell’attività economica organizzata). 

Così come per gli altri presupposti della concorrenza sleale sopra esaminati, anche il requisito della imprenditorialità (ovvero essere imprenditori) non deve essere attuale per poter rientrare nel perimetro applicativo dell’art. 2598 c.c. 

La norma più volte citata, infatti, può essere applicata anche chi sta adoperando per intraprendere un’attività organizzata in forma d’impresa.

Tuttavia, a questo punto, potrebbe sorgere spontanea una domanda: la tutela è valida anche durante la fase della procedura di liquidazione del patrimonio dell’impresa? La risposta positiva o negativa, in realtà, dipende dalle circostanze concrete. 

La risposta è sicuramente negativa se l’impresa non è più in attività da tempo e non c’è alcuna possibilità di una sua ripresa. Viceversa, la risposta è positiva nel caso in cui durante la procedura sia prospettabile una ripresa dell’attività d’impresa. 

Ciò può accedere per svariati motivi: 

  • L’azienda viene ceduta ad un terzo che decide di proseguite l’attività;
  • Viene revocato lo stato di liquidazione della società;
  • Non viene meno completamente l’assetto organizzativo della società etc. 

Il discorso non varia quando si parla di imprenditore fallito (oggi in realtà si dovrebbe parlare più correttamente di imprenditore sottoposto a liquidazione giudiziale, per usare il linguaggio del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza). 

Se il nucleo aziendale, infatti, non si è dissolto completamente, oppure se viene deciso di continuare provvisoriamente l’attività d’impresa, allora è possibile applicare anche in questo caso l’articolo 2598 c.c. 

4. Esiste la concorrenza sleale tra liberi professionisti?

In genere quando si pensa alla concorrenza sleale si pensa immediatamente agli imprenditori, sia persone fisiche che giuridiche. È risaputo, infatti, che l’attività economica organizzata in forma d’impresa può essere esercitata non solo dalle persone fisiche ma anche dalle società

Ma non finisce qui, l’attività economica organizzata, infatti, può essere esercitata sia dall’imprenditore ma anche dal libero professionista (in un caso specifico). 

Più precisamente, se il libero professionista viene inserito all’interno di una struttura di notevoli dimensioni, è possibile che quest’ultimo assuma la qualifica di imprenditore, con tutte le conseguenze di legge che ve ne derivano. 

Sul punto si segnala una interessante sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione, ovvero la n. 2520 del 2016 dove i giudici ermellini hanno esteso la tutela della concorrenza sleale anche al libero professionista. 

In occasione della sentenza sopra citata, infatti, la Cassazione ha individuato l’unico caso in cui il libero professionista può esercitare un’attività economica organizzata (ovvero un’attività d’impresa). 

Infatti i giudici della Suprema Corte hanno affermato che è pur vero che anche i professionisti intellettuali (in generale), possono teoricamente assumere la qualità di imprenditore commerciale quando esercitano la professione nell’ambito di un’attività organizzata in forma di impresa, ciò vale solo in quanto essi svolgano una distinta ed assorbente attività che si contraddistingue da quella professionale proprio per il diverso ruolo che assume il sostrato organizzativo – il quale cessa di essere meramente strumentale- e per il diverso apporto del professionista, non più circoscritto alle prestazioni d’opera intellettuale, ma involgente una prevalente opera di organizzazione di fattori produttivi che si affiancano all’attività tecnica ai fini della produzione del servizio

5. La concorrenza sleale per denigrazione

Una forma di concorrenza sleale è sicuramente configurabile in caso di denigrazione.

Come abbiamo già detto nell’esempio sopra riportato, la concorrenza sleale per denigrazione sussiste in tutti quei casi in cui un imprenditore agisce, all’interno del mercato, con una serie di attività volte alla diffusione di notizie o apprezzamenti faziosi e denigratori dei concorrenti.

Notizie che, divulgandosi, non possono che generare un condizionamento di terzi.

Al riguardo, una condotta simile può interessare tanto la merce allocata sul mercato dall’azienda concorrente, quanto l’azienda stessa.

A parità della merce, infatti, un’ipotesi di concorrenza sleale per denigrazione si può configurare anche in caso di divulgazione di opinioni o notizie negative attinenti all’azienda interessata, all’attività espletata o alla sua organizzazione nonché al suo modus operandi.

Condotta che non apparirà lesiva della sfera personale dell’imprenditore concorrente, bensì della propria attività lavorativa, al fine di ripercuotersi negativamente nei suoi confronti a fronte di un incremento di lavoro o di un maggior profitto del soggetto agente.

Ai fini di una valutazione della menzionata condotta denigratoria, appare necessario verificare sia il contenuto sia il bacino di utenti e l’annessa diffusione delle notizie.

6. La pubblicità comparativa è una forma di concorrenza sleale?

Di diversa accezione è invece la pubblicità comparativa.

Essa non costituisce in alcun modo una forma ti concorrenza sleale, dato che, sia da un punto di vista soggettivo sia oggettivo, non appare contraria ai più volte citati principi su cui si fonda e si regola il mercato.

La pubblicità comparativa, infatti, mira a dare notizia alla clientela del proprio prodotto, comparandolo ai prodotti concorrenti, al fine di offrire una disamina dei suoi pro e contro.

In altri termini, mira a mostrare ipotetiche le differenze.

Lo scopo, quindi, non è in alcun modo denigratorio, bensì puramente concorrenziale.

7. Imitazione servile 

Quando si parla di imitazione servile si fa riferimento a quanto previsto dal n. 2 del primo comma dell’art. 2598 c.c. In poche parole, si ha tale condotta quando un imprenditore riproduce in modo pedissequo il prodotto di un imprenditore concorrente. 

Tuttavia, occorre precisare che l’imitazione è veramente servile quando è di per sé idonea a creare uno stato di confusione in quanto la disposizione è collocata nel novero delle fattispecie c.d. confusorie. 

Ad esempio, un caso di imitazione servile confermato dalla giurisprudenza è la pratica di riprodurre i prodotti nonché i segni distintivi delle grandi marche. In questo caso l’idoneità a produrre confusione nei consumatori viene “acquistata” in modo consapevole con il prodotto imitato e riversata in capo ai terzi ignari di tutto i quali possono essere ingannati dal prodotto che “scimmiotta” l’originale. 

8. Come difendersi dalla concorrenza sleale?

Arriviamo a questo punto all’ultima questione attinente alla materia, ossia in che modo poterci difendere dai casi di concorrenza sleale.

Tenendo presente che la condotta illecita in esame può certamente cagionare un danno da chi la subisce, i rimedi che l’ordinamento ha previsto sono sia di natura giudiziale sia extragiudiziale, come meglio possiamo vedere di seguito.

8.1. Le diverse forme di tutela e le annesse sanzioni

Sotto il profilo giudiziale, per poterci difendere da tutte quelle condotte che rientrano nella fattispecie di concorrenza sleale, l’ordinamento prevede la facoltà di depositare un ricorso davanti al Tribunale competente, tramite cui poter chiedere un accertamento della condotta assunta dal soggetto agente.

L’accertamento potrà avvenire con sentenza, tramite la quale, come previsto dall’art. 2599 c.c., è possibile provvedere affinché la condotta lesiva possa essere inibita, eliminando così la produzione dei propri effetti.

La citata norma, dunque, permette di contrastare una condotta concorrenziale sleale tramite un’azione inibitoria.

Questa si presenta quale tutela preventiva tramite cui disporre, in capo al soggetto responsabile, un’astensione alla ripetizione futura di analoghi atti.

Detto ciò, il legislatore ha previsto anche una seconda tipologia di tutela, di natura extra-giudiziale, coinvolgente l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato.

Si tratta di un organo terzo al quale poter denunciare l’illecita attività, chiedendo un’indagine e un approfondimento della questione.

Al riguardo, in caso di accertamento positivo, sarà sua cura convocare le parti e tentare una risoluzione della questione in via stragiudiziale.

Per quanto attiene al regime sanzionatorio, possiamo brevemente dire che in caso di accertamento della sussistenza di una condotta rientrante delle ipotesi di cui all’art. 2598, l’organo incaricato può applicare le seguenti sanzioni:

  • inibizione di tutti gli atti contrari al principio di lealtà;
  • eliminazione degli annessi effetti;
  • risarcimento di tutti i danni cagionati ai concorrenti.

8.2. Responsabilità per dolo o per colpa?

Ai sensi dell’art. 2600 c.c. gli atti posti in essere dal soggetto agente, dolosi o colposi, che determinano una concorrenza sleale, configurano una responsabilità e annessa risarcibilitàdei danni cagionati.

La responsabilità in capo all’agente si configura, dunque, tanto in caso di condotta dolosa quanto in caso di condotta colposa.

L’art 2600 c.c., quindi, stabilisce una colpa presunta in capo al soggetto al quale viene imputata una condotta di concorrenza sleale, con la conseguenza che sarà onere dello stesso dimostrare l’assenza di una sua responsabilità.

Più precisamente, una volta accertato che gli atti posti in essere siano “sleali”, la colpa si presume ai sensi dell’art. 2600 c.c., con la conseguenza che l’imprenditore sleale deve provare una eventuale assenza di sua responsabilità in merito.

Il risarcimento del danno a causa di concorrenza sleale

Per quanto attiene all’azione risarcitoria, possiamo dire che la stessa si presenta quale forma di ristoro previsto per l’azienda lesa dagli atti sleali compiuti dal concorrente.

Al riguardo, il risarcimento del danno per concorrenza sleale segue un po’ le logiche della responsabilità extra-contrattuale di cui all’art. 2043 c.c. prevedendo tanto un risarcimento per il danno emergente quanto per il lucro cessante.

Al riguardo, possiamo prendere in esame una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, ai sensi della quale, ai fini di una liquidazione di un danno accertato, una volta che venga dimostrata la sua esistenza e il nesso causale con la condotta incriminata, al giudice è consentita l’applicazione del criterio equitativo (Cass. Civ., Sez. VI, Ordinanza n. 30214 del 15.12.2017).

In conclusione, la concorrenza sleale si configura quando il soggetto agente, nell’assumere una condotta rientrante nei casi di cui all’art. 2598 c.c., ottiene un ingiusto profitto a fronte di un danno altrui.

Il danno è suscettibile di risarcimento, purché, indipendentemente dall’elemento soggettivo, sia conseguente alla citata condotta illecita.

9. Consulenza e difesa legale per il tuo caso

Come avrai notato, la disciplina relativa alla concorrenza sleale è abbastanza articolata e la valutazione della opportunità di agire o meno in giudizio per il risarcimento del relativo danno impone un’attenta analisi preventiva della specifica fattispecie in questione, alla luce di tutti i relativi dettagli che la caraterizzano, per poi eventualmente procedere con la conseguente azione in giudizio.

Proprio per questo motivo, al fine di proteggere e difendere al meglio il tuo Patrimonio, ti consiglio di completare il Modulo di contatto che trovi in questa pagina.

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