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L’epilogo del matrimonio determina inevitabilmente degli effetti sul patrimonio dei coniugi o di almeno uno di essi. Infatti, le conseguenze della cessazione degli effetti civili del matrimonio, possono essere diverse a seconda del regime patrimoniale che intercorreva tra i coniugi al momento del matrimonio.
In genere il problema più diffuso che riguarda la fase del divorzio è la divisione degli immobili (ove esistenti), più precisamente, la casa di comune abitazione. Spesso, infatti, sorgono dei veri e propri conflitti tra gli ex coniugi in ordine alla spettanza della casa.
Al fine di evitare tali controversie, le quali, tra l’altro, spesso coinvolgono anche la prole, è possibile fare ricorso ad appositi strumenti giuridici, i quali saranno analizzati in prosieguo.
1. Le conseguenze del divorzio sul Patrimonio dei coniugi
Come brevemente accennato, la cessazione degli effetti civili del matrimonio è un evento che si ripercuote sul patrimonio dei coniugi. In estrema sintesi, dopo la cessazione degli effetti civili del matrimonio ciò che prima era della famiglia (in caso di comunione familiare ovviamente) dovrà essere ridistribuito tra i coniugi.
È chiaro che in questi casi l’attenzione principali viene data alla prole nonché alla casa familiare. Infatti, gli ex coniugi quasi sempre sono interessati a fare propria la casa dove stabilire, dopo il divorzio, la propria residenza.
Tuttavia, è bene sapere che in caso di divorzio quasi sempre la casa verrà assegnata a chi, tra i coniugi, sarà il collocatario della prole (ove esistente). Ciò significa che se la prole viene collocata presso la madre, spetterà a quest’ultima l’immobile.
2. La scelta del regime patrimoniale
Le conseguenze che il divorzio ha sul regime patrimoniale dei coniugi variano a seconda del tipo di regime prescelto tra i coniugi. Ma quali sono i regimi patrimoniali, tra cui i coniugi possono optare? Ebbene, nel nostro ordinamento esiste la c.d. comunione legale dei beni, la quale si instaura automaticamente tra i coniugi salvo diversa volontà espressa dagli stessi.
La scelta in ordine al regime patrimoniale deve essere effettuata durante la celebrazione del matrimonio. In mancanza di tale dichiarazione, viene applicato il regime legale di comunione legale dei beni.
Ciò che contraddistingue tale regime patrimoniale è la comune proprietà, di entrambi i coniugi, dei beni che questi hanno acquistato in costanza di matrimonio, anche se è intervenuto solo da uno dei coniugi, salvo i limiti previsti dalla legge (c.d. beni personali).
Fatte le debite premesse, è bene sapere che nel caso in cui si scelga tale regime patrimoniale, in caso di divorzio si potrebbero avere dei problemi.
Questo perché entrambi i coniugi sono proprietari di tutti i beni che sono caduti in comunione, compresa la comune abitazione, ove acquistata in costanza di matrimonio. Ovviamente il problema non si pone ove la casa sia di esclusiva proprietà di uno dei coniugi, magari perché acquistata da quest’ultimo prima del matrimonio oppure donata da terzi o ricevuta in successione.
3. Regime di separazione
Se hai scelto la strada di separazione dei beni, il problema non si pone.
Infatti, in caso di divorzio entrambi rimarrete titolari dei propri beni ed a goderne sarà solo il proprietario.
Ciò significa che in caso di divorzio non ci sarà alcuna assegnazione dei beni ai coniugi in quanto non si forma alcuna comunione.
I coniugi possono scegliere il regime di separazione dei beni sia nel momento di celebrazione del matrimonio, mediante apposita dichiarazione, ovvero in un secondo momento con apposita convenzione matrimoniale stipulata dinanzi al Notaio con la presenza di due testimoni, così come previsto dalla Legge Notarile.
4. Le conseguenze del divorzio sul regime patrimoniale
Dopo aver analizzato, seppur brevemente, i regimi patrimoniali previsti dalla legge, anche se in realtà si discute se i privati possano o meno creare dei regimi patrimoniali “a-tipici”, è necessario disaminare gli effetti del divorzio sul patrimonio familiare.
In caso di divorzio (lo stesso vale anche per la separazione) le conseguenze sul patrimonio della famiglia sono legate al fatto che i coniugi si siano uniti in regime di comunione legale o di separazione dei beni.
La norma di riferimento è l’art. 177 del c.c. il quale permette di comprendere quali beni rientrano e quali no nella comunione legale. Infatti, solo i beni che cadono all’interno della suddetta comunione possono essere successivamente assegnati agli ex coniugi.
In estrema sintesi, rientrano nella comunione legale:
- I beni acquistati, insieme o in modo separato, dai coniugi durante il matrimonio ed esclusione dei beni personali;
- I frutti dei beni propri di ciascun coniuge, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione (trattasi della c.d. comunione de residuo);
- I proventi dell’attività economica separata di ciascun coniuge, se non consumati al momento dello scioglimento della comunione;
- Le aziende gestite da entrambe i coniugi e costituite dopo il matrimonio;
Con la cessazione degli effetti civili del matrimonio decade, ipso iure, il regime della comunione legale dei beni e pertanto i beni dovranno essere divisi in parti eguali tra gli ex coniugi, compresi i debiti ovviamente.
Per quanto concerne i beni c.d. indivisibili per natura (si pensi ad esempio ad un’auto o ad un appartamento di piccole dimensioni) sono oggetto di vendita ed il ricavato dovrà essere diviso in modo eguale.
Nel caso in cui i coniugi scelgano il regime della separazione dei beni, le controversie che potrebbero insorgere sono davvero pochissime in quanto ognuno rimane il pieno ed esclusivo proprietario dei propri beni.
Pertanto, se il coniuge sia il proprietario esclusivo della casa, ad esempio perché l’ha acquistata per successione o perché, nonostante il matrimonio, entrambi abbiano optato per il regime di separazione dei beni, la casa rimarrà a lui anche in caso di divorzio.
Ovviamente tutto cambia ove gli ex coniugi abbiano dei figli, tale aspetto verrà analizzato nei prossimi paragrafi.
5. Assegnazione della casa
Nel valutare a chi andrà la casa naturalmente si terranno conto di alcuni diritti e titoli sull’immobile.
Valutiamo i seguenti fatti.
Come verrà specificato in prosieguo, se risulti proprietario/a esclusivo dell’immobile e non ci sono figli a carico, hai poco da temere in quanto in questi casi l’assegnazione sarà quasi sempre orientata a tuo favore tenendo conto appunto della proprietà assoluta o del diritto di godimento sul bene.
In questi casi però non mancano le eccezioni, una delle quali condizioni gravi di salute del coniuge non proprietario, non danno la possibilità a quest’ultimo di allontanarsi dall’abitazione.
In mancanza di tale eccezione, anche in caso in cui il giudice non abbia emesso un provvedimento diretto, l’abitazione verrà assegnata a te che fai uso esclusivo della casa e verrà tutelata dal divorzio.
6. Tutela della casa dal divorzio in presenza di figli
In questo caso nonostante la casa sia un bene dal valore economico pregnante in una causa di divorzio, tale valore viene messo da parte per dare spazio alla tutela dei figli.
L’interesse qui si sposta da quello economico a quello di permettere ai propri figli di continuare a vivere nella casa in cui sono cresciuti.
Questo naturalmente riguarda l’ipotesi in cui i figli minorenni o maggiorenni ma non autosufficienti, non vengano affidati a te proprietario della casa coniugale.
Anche se in questi casi si cerca di tutelare i figli, non si può comunque negare che l’assegnatario della casa coniugale non abbia comunque un arricchimento economico e un risparmio nell’evitare l’acquisto o l’affitto di una nuova casa.
6.1. Cosa si può fare in questi casi
In realtà dalla lettura dell’art. 155-quater c.c. si evince testualmente “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”.
L’interesse dei figli deve essere prioritario ma non esclusivo, ciò significa che la casa dal divorzio non deve essere per forza assegnata al coniuge economicamente più debole.
Spesso accade, infatti, come anticipato, che la prole viene collocata presso il coniuge non proprietario della casa mentre la casa viene assegnata proprio a quest’ultimo, e non già al proprietario
In questo caso comunque è possibile proteggere la casa dal divorzio, nel caso in cui si riesca a mantenere l’equilibrio delle condizioni economiche (esempio con assegni familiari).
Tutto questo naturalmente sempre tenendo conto del fatto che la tutela dei figli deve avere la priorità.
6.2. Assegnazione parziale
C’è anche la possibilità, pur parziale, di proteggere anche solo una parte della casa dal divorzio.
Tale possibilità sarebbe l’assegnazione da parte del Giudice di una porzione dell’abitazione al coniuge non proprietario.
Naturalmente affinché avvenga la divisione è necessario che l’abitazione sia delle dimensioni adeguata da poterla suddividere in due unità abitative.
Entrambe le parti infatti dovrete essere nella condizione di vivere in una condizione dignitosa.
Questo consentirà ai figli di continuare a vivere nella casa dove sono cresciuti, ma soprattutto di mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori.
L’assegnazione parziale naturalmente non può avvenire nel caso in cui la casa non sia materialmente divisibile (es. troppo piccola), o nel caso ci siano conflitti non facilmente superabili o tollerabili.
6.3. Fino a quando la casa resta all’ex coniuge
Come già anticipato, quando la casa coniugale è di proprietà esclusiva di un solo coniuge o è in comproprietà tra i coniugi, in caso di separazione e di successivo divorzio degli stessi il Giudiceassegna il diritto di abitazione della casa familiare al coniuge collocatario della prole (a patto che i figli siano minorenni o, se maggiorenni, non devono essere economicamente autosufficienti).
Ovviamente questo non significa che il diritto di abitazione sia perpetuo, infatti, questo viene meno al verificarsi di una delle seguenti circostanze:
- I figli non vivono più con il genitore collocatario;
- I figli sono ormai diventati economicamente autosufficienti ed indipendenti con la possibilità di andare a vivere da soli (locando un immobile o acquistandolo);
- Il coniuge collocatario della prole non abita più nella casa familiare oppure cessa di abitarvi abitualmente (ad esempio perché si è unito/a con un altro soggetto con cui abita in altro immobile);
- Il coniuge collocatario inizia una nuova convivenza stabile nella casa assegnata oppure contrae nuovo matrimonio o inizia una nuova convivenza stabile, anche non convivendo nella casa coniugale.
Al verificarsi di anche uno solo dei fatti sopra citati, l’assegnazione viene meno di diritto. Ovviamente spetta al coniuge interessato chiedere la revoca del provvedimento al Giudice.
7. Divorzio senza la presenza di prole
Da un punto di vista giuridico l’assegnazione della casa coniugale ha lo scopo di garantire al residuo nucleo familiare la conservazione del medesimo luogo di aggregazione avuto in costanza di matrimonio.
È chiaro, dunque, come anticipato, che in caso di divorzio (o di separazione) in assenza di prole, un ragionamento del genere non può essere fatto visto che il nucleo familiare, composto solo dalla mogliee dal marito, si scioglie definitivamente con la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
In questi casi, dunque, la casa viene semplicemente assegnata al coniuge che la possiede, nel pieno rispetto del diritto di proprietà così come riconosciuto dall’art. 42 della Costituzione e disciplinato dall’art. 832 c.c.
8. Revoca dell’assegnazione
Ci sono poi casi in cui, nonostante la casa venga assegnata al coniuge non proprietario, questa assegnazione può essere revocata dal giudice.
La revoca dell’assegnazione, infatti, secondo l’art. 155 c.c. può avvenire, se il coniuge assegnatario non abita o cessa di abitare nella casa coniugale, nel caso in cui conviva o infine se contrae nuovo matrimonio.
Nei casi sopra riportati la revoca avviene in quanto viene meno la prerogativa di assegnare la casa al coniuge con meno possibilità economiche.
In definitiva tu proprietario/a dell’immobile torneresti ad avere il diritto di godimento sulla casa coniugale oltre che il pieno possesso dell’immobile stesso.
Ci sono anche altri motivi per giustificare i presupposti di una revoca dell’assegnazione, come il raggiungimento della maggiore età dei figli.
Questo però solo nel caso in cui i figli siano in grado di provvedere autonomamente al proprio sostentamento senza l’aiuto genitoriale.
Un altro caso invece riguarda la morte del genitore assegnatario.
La revoca dell’assegnazione comunque non può essere automatica ma devono essere sempre tenuto in considerazione l’interesse dei figli come priorità.
9. Come proteggere la casa coniugale in caso di divorzio
Un metodo piuttosto semplice ed efficiente per proteggere la casa coniugale in caso di divorzio è darla in locazione a terzi. Infatti, il diritto di abitazione dell’ex coniuge con cui andranno a vivere i figli (ove presenti), previsto dalla legge, spetta solo ed esclusivamente sull’immobile che è stato dimora abituale della famiglia.
Pertanto, è chiaro desumere che non spetta alcun diritto di abitazione sulle seconde case. Ovviamente il proprietario non è obbligato ad abitare la casa con la propria famiglia ma potrà darla in locazione a terzi e, in caso di divorzio, l’ex coniuge non ha alcun diritto da rivendicare in ordine all’assegnazione della casa coniugale. Questo perché, in effetti, non è stata adibita a dimora abituale della famiglia l’immobile locato.
9.1. Comodato d’uso
In molti credono che anche attraverso il comodato d’uso sia possibile garantire una protezione alla casa familiare, tuttavia, non è proprio così. Lo stesso vale anche in caso di intestazione fittizia della stessa ad un parente, come ad esempio un genitore o un fratello, e andandovi a vivere a titolo di prestito.
Secondo la giurisprudenza, infatti, se l’immobile adibito a casa coniugale della famiglia potrà comunque essere concesso al coniuge con cui andranno a vivere i figli a seguito del divorzio.
Se il contratto di comodato prevede un termine di scadenza, la casa familiare tornerà nella disponibilità del comodante (ovvero di chi concede in comodato il bene) al momento della scadenza sicché lo stesso potrà comunque essere assegnato al coniuge presso il quale andranno a vivere i figli a seguito del divorzio.
9.2. Assegnazione parziale volontaria
È possibile altresì proteggere una porzione della casa coniugale mediante apposito accordo tra gli ex coniugi (oppure mediante assegnazione da parte del Giudice come sopra descritto). Anche in questo caso l’immobile, per poter assolvere al suo scopo, deve necessariamente essere in possesso di requisiti dimensionali tali da poterlo suddividere in almeno due unità abitative.
9.3. I patti prematrimoniali
Spesso si sente parlare dei cosiddetti patti patrimoniali, ovvero, particolari patti stipulati tra futuri coniugi volti a disciplinare i loro rapporti sia durante il matrimonio sia, e forse soprattutto, all’esito dello stesso.
È bene precisare fin da subito che in Italia non sono legali tali contratti. Essi, infatti, sono diffusi in gran parte dell’Europa e del mondo ma in Italia non hanno attecchito.
Di recente sul tema è intervenuta anche la Suprema Corte di Cassazione, la quale, con l’ordinanza n. 11012 del 26 aprile 2021 ha nuovamente affermato la nullità dei patti stipulati in vista del divorzio.
Negli ordinamenti giuridici in cui sono ammessi essi rappresentano un ottimo strumento per tutelare l’assegnazione della casa coniugale dopo il divorzio. Stipulando i patti prematrimoniali, infatti, i coniugi possono prevedere in anticipo, quindi, prevenendo anche future e possibili liti, a chi sarà assegnata la casa coniugale.
Attualmente, in Italia è possibile, ai sensi dell’art. 162 c.c., solamente scegliere tra il regime di comunione legale dei beni o di separazione dei beni. Scelta che i coniugi possono effettuare, come anticipato, sia prima della celebrazione del matrimonio, sia durante la vita matrimoniale.
Infine, seppur diversi dai patti prematrimoniali, nel nostro ordinamento è possibile, anche se è ancora discusso in dottrina, stipulare convenzioni matrimoniali c.d. atipiche. In poche parole, i coniugi, sempre attraverso l’atto pubblico (quindi stipulato dinanzi al Notaio e alla presenza di due testimoni) possono stipulare delle convezioni patrimoniali a-tipiche.
Ciò è possibile, tuttavia, solo entro precisi limiti. In primis, è doveroso rispettare le norme in materia di quote, ad esempio non potrebbero prevedere, i coniugi, che al marito spetti una determinata percentuale di proprietà sui beni mentre alla moglie un’altra (inferiore o superiore). Ancora, non è possibile modificare i poteri di disposizione sui beni, ad esempio non è possibile prevedere che solamente un coniuge abbia la legittimazione a disporre dei beni comuni.
Premesso e precisato ciò, è pur sempre possibile “allargare” o “restringere” l’oggetto della comunione. Ad esempio, i coniugi potrebbero decidere di “estromettere” la casa familiare dalla comunione e considerare tale bene come “personale” in modo da evitare future questioni inerenti all’assegnazione della medesima.
9.4. Trasferire ai figli i beni in caso di divorzio
Trasferire la casa familiare direttamente ai figli potrebbe essere un ottimo metodo per tutelare la casa. Infatti, in caso di divorzio o di separazione, a prescindere dalla scelta effettuata in ordine al regime patrimoniale familiare, è possibile, di comune accordo, trasferire i beni immobili, o altri diritti reali ai figli.
La richiesta di trasferimento dei beni deve essere iscritta durante l’udienza di separazione, nell’apposito verbale. Tra l’altro, nel verbale è possibile anche scegliere il momento in cui rendere efficace il trasferimento, specie se si tratta di figli minorenni. In tal modo è possibile evitare di far ricorso al Notaio beneficiando così di un notevole risparmio di denaro.
9.5. Trust
Infine, non è possibile non fare un breve cenno al trust, istituto giuridico che ha riscosso un notevole successo all’interno degli ordinamenti giuridici di Common law. Trattasi, in poche parole, si un istituto mediante il quale il disponente può separare uno o più beni dal proprio patrimonio, conferendoli nel trust appunto, al fine di perseguire specifici interessi in favore del beneficiario.
Mediante questo particolare istituto, dunque, i coniugi possono trasferire la propria casa familiare ad un altro soggetto affinché la utilizzi a vantaggio di un terzo beneficiario (ad esempio i figli, oppure uno degli ex coniugi).
Si tratta di uno strumento sicuro che garantisce la c.d. segregazione patrimoniale del bene oggetto del trust. Quest’ultimo, infatti, non può essere in nessun modo aggredito dai creditori del soggetto disponente (o dei disponenti).
Tutto ciò lo rende uno strumento utile per dirimere le controversie che intercorrono tra i coniugi nella fase del divorzio (o della separazione). Infatti, può essere utilizzato per regolare i beni comuni (come, ad esempio, la casa comune), al fine di garantire il mantenimento della prole fino al raggiungimento della propria indipendenza economica.
Il trust può essere altresì inserito nel verbale di separazione consensuale dei coniugi, soggetto ad apposita omologa, oppure nel ricorso congiunto di divorzio il quale dovrà essere poi dichiarato con sentenza del Tribunale.
In conclusione, il trust rientra nel novero degli strumenti con cui i privati, attraverso l’esercizio dell’autonomia negoziale, possono risolvere le controversie sorte nelle c.d. crisi matrimoniali senza dover necessariamente attendere la statuizione di un organo terzo ed imparziale.
9.6. Sciogliere la comunione prima del divorzio
In molti potrebbero pensare che sciogliendo lo stato di comunione legale ed optando, prima dello scioglimento del vincolo matrimoniale, per il regime patrimoniale della separazione dei beni potrebbero tutelare la casa familiare.
Un esempio potrebbe rendere più chiaro il concetto. Si pensi al caso in cui Tizio e Tiziasiano sposati con prole ed abbiano come regime patrimoniale familiare la comunione legaledei beni e che, visto il possibile divorzio, decidono di recarsi dal Notaio per stipulare una convenzione matrimoniale finalizzata a sciogliere la comunione ed instaurare il regime di separazione dei beni e decidono che Tizio sarà il pieno ed esclusivo proprietario dell’immobile, in relazione al quale non si instaurerà lo stato di comunione ordinaria.
Ebbene, questa non è una soluzione. Anche in questo caso, infatti, nel caso in cui dovesse esservi il divorzio il coniuge non proprietario del bene (ovvero Caia) ben potrebbe vedersi assegnato il diritto di abitazione presso l’immobile se il Giudice decide di collocare la prole presso il coniuge non proprietaria della casa familiare, entro ovviamente i limiti sopra citati.
10. Consulenza e assistenza legale per il tuo caso
Come avrai notato, difendere la casa dal divorzio non è cosa semplice, dovendosi considerare diversi aspetti della questione e numerosi istituti giuridici potenzialmente applicabili.
Proprio per questo motivo, al fine di proteggere e difendere al meglio il tuo Patrimonio, ti consiglio di completare il Modulo di contatto che trovi in questa pagina.
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