Diffida ad adempiere: come farla

Cosa si intende per diffida ad adempiere? Quali sono i suoi presupposti? Quando e come posso farla?

La diffida ad adempiere, come meglio vedremo in seguito, è l’azione con la quale poter intimare un adempimento in forma scritta.

Per avere piena comprensione dell’istituto è però necessario rispondere agli interrogativi che ci siamo posti.

Al riguardo, infatti, per mezzo della disamina che affronteremo, sarà possibile comprendere a fondo tanto il concetto di diffida ad adempiere quanto il suo funzionamento.

1. Diffida ad adempiere: definizione

La diffida ad adempiere è disciplinata dall’art. 1454 c.c. e si può inquadrare come una particolare tipologia di tutela, rientrante tra gli atti unilaterali e ricettizi di autonomia privata

Ai sensi della citata norma si prevede, per il soggetto creditore, la facoltà di poter intimare per iscritto la parte inadempiente affinché, entro un congruo termine, adempia alla propria obbligazione.

A quel punto, in caso di persistente stato di inadempienza, il contratto si intenderà risolto.

Pertanto, com’è agilmente intuibile già dal suo nome, il predetto istituto permette l’intimazione ai fini dell’adempimento di uno specifico obbligo contrattuale, entro un termine definito.

Per una migliore comprensione possiamo prendere in esame il caso tipico di un contratto di fornitura di un bene o un servizio e l’annesso inadempimento da parte di uno dei due contraenti.

Precisamente, immaginiamo l’ipotesi di un reiterato ritardo nel pagamento del servizio fornito.

In tale ipotesi il destinatario del servizio, non avendo adempiuto a uno dei propri oneri contrattuali, si pone in una posizione di difetto, o debito, nei confronti della controparte.

Generalmente in tal caso il fornitore, creditore, appare legittimato al sollecito del pagamento, o per meglio dire, al sollecito dell’adempimento della prestazione in capo al destinatario.

Nell’eventualità in cui il destinatario, nonostante i ripetuti solleciti, dovesse persistere il proprio stato di inadempienze, il fornitore dovrà necessariamente agire in propria tutela, tanto nel richiedere la prestazione quanto nello svincolarsi dai propri obblighi contrattuali.

Per tale motivo questi sarà legittimato, in forza dell’art. 1454 c.c. a presentare all’altra parte un vero e proprio ultimatum all’adempimento della prestazione.

1.1. Qual è la ratio della norma?

Con tale istituto il legislatore ha voluto prevedere, per il contraente creditore, uno strumento di tutela dalla duplice funzionalità:

  • da un lato, infatti, la diffida ad adempiere consente di offrire un rapido strumento per svincolarsi da un contratto stipulato e dagli annessi oneri;
  • dall’altro lato, per mezzo dello stesso, è possibile sollecitare formalmente la controparte all’adempimento contrattuale, sotto la pressione dell’eventuale risoluzione.

2. Requisiti della diffida ad adempiere

Ora che abbiamo definito l’istituto della diffida ad adempiere, possiamo soffermarci sui suoi principali requisiti, quali forma e termine.

Come abbiamo già detto, infatti, la diffida ad adempiere consiste in una intimazione:

  • in forma scritta ed
  • entro un congruo termine.

Per quanto attiene al termine, è importate precisare che durante l’arco temporale fissato nella diffida, la parte inadempiente può adempiere alla propria prestazione, sanando la mora ed evitando la risoluzione.

Così facendo l’ordinamento ha previsto e concesso il caso dell’adempimento tardivo.

2.1. Il ruolo del termine

Com’è ormai chiaro, il legislatore ha voluto dare un ruolo centrale al termine.

Precisamente, infatti, la norma di riferimento prevede che anche alla controparte, inadempiente, venga dato un margine di manovra al fine di poter adempiere alla stessa prestazione.

Certamente parlando di “congruo termine” potrebbe sorgere il dubbio circa la sua durata minima, tenendo sempre presente che chi agisce con la diffida si trova in una posizione di credito da voler far valere il prima possibile.

Per tale ragione, la norma detta precise indicazioni circa la sua durata, stabilendo un margine minimo non inferiore a 15 giorni.

Ciò posto, l’art. 1454 c.c. prevede anche che, in caso di diffida ad adempiere, l’eventuale assegnazione di un termine inferiore a 15 giorni non determina l’estinzione del rapporto costituito tra le parti.

Al riguardo, infatti, come affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, deroghe al termine legale sono ammesse solamente nelle ipotesi previste dalla norma, difettando le quali il rapporto tra le parti non si risolve di diritto.

In caso di diffida ad adempiere con previsione di un termine inferiore a quello legale, appare infatti irrilevante sia il protrarsi dell’inadempimento, sia l’assenza di contestazioni debitorie sul termine o la condotta tenuta dal debitore stesso (Cass., I sez. Civile, sent. n. 8943/2020).

3. Il contenuto della diffida ad adempiere

A questo punto occorre soffermarci sul suo contenuto.

Al riguardo, premesso che la diffida ad adempiere deve essere inviata a mezzo PEC o Raccomandata con ricevuta di ritorno, la stessa deve contenere tre voci essenziali:

  • la formale intimazione ad adempiere;
  • la necessaria indicazione di un congruo termine entro cui adempiere;
  • l’avviso di risoluzione contrattuale in caso di inadempimento.

Circa quest’ultimo punto, dobbiamo tenere bene a mente che l’indicazione secondo cui, in caso di inadempimento il contratto si risolverà di diritto, deve essere chiara ed esplicita.

Questo è infatti l’elemento centrale che caratterizza e contraddistingue la diffida dalle altre tipologie di sollecito.

Ciò posto, rimane facoltà del richiedente, inserire altresì una dichiarazione di volontà a procedere con le opportune iniziative legali, per l’ottenimento di un risarcimento dell’eventuale danno subito, in caso di inadempimento.

3.1 Quando non ricorre la diffida ad adempiere?

Altra questione su cui soffermarsi è attinente alle ipotesi in cui non appare percorribile il ricorso alla diffida ad adempiere.

Al riguardo, molto brevemente, possiamo dire che la stessa non ricorre in due specifici casi:

  • quando non risulta possibile applicare disposizioni sulla messa in mora;
  • ove la prestazione non compiuta appaia ormai inutile per il creditore.

4. Conseguenze della diffida ad adempiere

A questo punto possiamo altresì soffermarci sulle conseguenze della diffida ad adempiere.

Certamente il comma 3 del citato art. 1454 c.c. ci consente di comprendere ampiamente l’intento del legislatore nel fornire la via di uscita, stragiudiziale, dal vincolo contrattuale.

La norma, infatti, chiarisce che: “decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risolto di diritto”.

Pertanto, rispettando il termine minino di 15 giorni da dover concedere alla parte inadempiente di porre in essere la prestazione in esame, in caso di scadenza senza esito, il contratto viene a considerarsi sciolto senza l’intervento del giudice.

La diffida ad adempiere, dunque, può generare la cosiddetta risoluzione per inadempimento anche senza ricorrere alla via giudiziale.

Ciò non significa che la controparte non abbia tutela alcuna.

La stessa, infatti, potrà sempre contestare la diffida e pretendere la prestazione dovuta.

In tal caso sarà necessario l’intervento del giudice, in qualità di organo terzo e imparziale chiamato a verificare la correttezza della diffida, dalla forma al termine alla notifica.

Inoltre, sarà cura del giudice verificare l’effettiva sussistenza di un inadempimento o di un suo ritardo e le reali conseguenze dello stesso.

5. La lettera di diffida ad adempiere

A questo punto, compreso cosa si intende per diffida ad adempiere e quali siano i caratteri fondamentali di tale istituto, dovrebbe essere abbastanza chiara l’importanza della lettera di diffida.

Essa si caratterizza per essere facilmente strutturabile in tre distinte sezioni, relative a:

  • destinatario;
  • motivazioni;
  • diffida.

Precisamente, la prima sezione della predetta lettera si compone di tutte le informazioni circa le generalità dei soggetti coinvolti.

Sarà necessario dunque definire tanto il mittente quanto il destinatario, nonché determinare l’oggetto della lettera.

Una volta determinati tali elementi possiamo passare alla seconda sezione attinente alle argomentazioni.

In altri termini sarà necessario esporre il contenuto della lettera e le motivazioni per cui si giunge all’invio di tale diffida, argomentando la decisione.

Nella terza e ultima parte della lettera verrà invece inserita la concreta diffida ad adempiere, ossia la richiesta diretta a un adempimento entro un dato arco temporale, non inferiore a 15 giorni.

Sempre in tale sezione, inoltre, si andrà ad avvisare il destinatario che in caso di mantenimento del difetto di adempimento una volta decorso il termine fissato, il contratto di intenderà risolto.

6. La differenza con la messa in mora

Arriviamo così all’ultima questione, attinente prevalentemente a una necessaria distinzione con un altro strumento previsto dal legislatore, all’interno dell’ordimento, a tutela di chi si trova in una posizione di credito.

Trattasi della messa in mora, il cui istituto è riconducibile all’art. 1219 c.c. rubricato “Costituzione in mora”.

L’istituto affianca la diffida ad adempiere, distinguendosi prevalentemente dallo scopo della comunicazione.

Premesso che anche la costituzione in mora viene a porsi, generalmente, con atto scritto, occorre precisare che, a differenza della diffida ad adempiere, non ha interesse alla risoluzione del contratto.

Ciò distingue la diffida ad adempiere dalla costituzione in mora.

Quest’ultima infatti non ha interesse alla risoluzione del contratto bensì all’adempimento della prestazione.

Per tale motivo, il termine fissato per l’adempimento non condizionerà il contratto e il suo esito, bensì sarà volto a fissare la “dead line” prima del ricorso in via giudiziale, al fine di vedere la controparte, debitrice, porre in essere la prestazione dovuta.

7. La giurisprudenza rilevante della Corte di Cassazione in materia di diffida ad adempiere

Cass. civ. Sez. II Ord., 08/06/2022, n. 18392.

In merito al contratto preliminare ex art. 1351 c.c., conseguita attraverso la diffida ad adempiere la risoluzione di un contratto cui è acceduta la prestazione di una caparra confirmatoria, l’esercizio del diritto di recesso è definitivamente precluso e la parte non inadempiente che limiti fin dall’inizio la propria pretesa risarcitoria alla ritenzione della caparra (o alla corresponsione del doppio di quest’ultima), in caso di controversia, è tenuta ad abbinare tale pretesa ad una domanda di mero accertamento dell’effetto risolutorio

In tema di inadempimento contrattuale, una volta conseguita attraverso la diffida ad adempiere la risoluzione del contratto al quale accede la prestazione di una caparra confirmatoria, l’esercizio del diritto di recesso è definitivamente precluso, cosicchè la parte non inadempiente che limiti fin dall’inizio la propria pretesa risarcitoria alla ritenzione della caparra ad essa versata o alla corresponsione del doppio della caparra da essa prestata, in caso di controversia, è tenuta ad abbinare tale pretesa ad una domanda di mero accertamento dell’effetto risolutorio.

Cass. civ. Sez. II Sent., 13/04/2022, n. 12032.

La risoluzione prevista dall’art. 1482 c.c., che ha carattere automatico e stragiudiziale, operando allo stesso modo della diffida ad adempiere, non costituisce per l’acquirente un rimedio speciale o esclusivo, ma alternativo, di ulteriore protezione e tutela del suo interesse all’adempimento, sicché egli conserva la possibilità di esperire l’azione ordinaria di risoluzione del contratto, in presenza del presupposto già richiamato della gravità dell’inadempimento.

Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 07/01/2021, n. 39.

In tema di risoluzione del contratto per inadempimento, la controdiffida diretta a contestare la sussistenza di una qualsiasi delle condizioni cui è subordinata la risoluzione di diritto conseguente alla diffida ad adempiere, non sospende né evita tale effetto.

Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 23/10/2020, n. 23193.

In tema di inadempimento contrattuale, mentre nella proposizione di una domanda di risoluzione di diritto per l’inosservanza di una diffida ad adempiere può ritenersi implicita, in quanto di contenuto minore, anche quella di risoluzione giudiziale di cui all’art. 1453 c.c., non altrettanto può dirsi nell’ipotesi inversa, nella quale sia stata proposta soltanto quest’ultima domanda, restando precluso l’esame di quella di risoluzione di diritto, a meno che i fatti che la sostanziano siano stati allegati in funzione di un proprio effetto risolutivo.

Cass. civ. Sez. I Sent., 14/05/2020, n. 8943.

In tema di risoluzione di diritto del contratto ex art. 1454 c.c., essendo la diffida ad adempiere un atto recettizio, il termine di quindici giorni assegnato al debitore perché provveda all’adempimento decorre dal momento in cui il documento è giunto nella sfera di conoscenza del destinatario, sicché non risulta decisiva la data di invio della comunicazione scritta contenente la diffida, bensì quella in cui l’atto è pervenuto al recapito cui era indirizzato.

Cass. civ. Sez. I Sent., 14/05/2020, n. 8943.

In tema di diffida ad adempiere, la fissazione al debitore di un termine per l’adempimento inferiore ai quindici giorni trova fondamento solo in presenza delle condizioni di cui all’art. 1454, comma 2, c.c., ovvero allorché ricorra una specifica previsione derogatoria o quando il termine abbreviato sia congruo rispetto alla natura del contratto o agli usi. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione impugnata che aveva ritenuto congruo il termine ridotto assegnato avuto riguardo al fatto che sulla base di una precedente missiva il debitore era già inadempiente e non aveva contestato il termine assegnatogli).

Cass. civ. Sez. I Ord., 04/11/2019, n. 28262.

La diffida di cui all’art. 15, comma 8, della l. n. 515 del 1993, con la quale il collegio regionale di garanzia elettorale invita il candidato che l’abbia omessa, a presentare la dichiarazione concernente le spese sostenute e le obbligazioni assunte per la propaganda elettorale, assolve alla duplice funzione di offrire al trasgressore la possibilità di sanare l’illecito e di avvertirlo della pendenza del procedimento sanzionatorio, sicché è superfluo l’invio di un’ulteriore diffida prima dell’irrogazione della sanzione amministrativa, essendo l’interessato già a conoscenza della natura dell’addebito e della pendenza della procedura.

Cass. civ. Sez. III Ord., 14/10/2019, n. 25759.

La contestazione dell’inadempimento che il locatore, ai sensi dell’art. 5 l. n. 203 del 1982, ha l’onere di comunicare al conduttore prima di ricorrere all’autorità giudiziaria per la risoluzione del contratto di affitto di fondo rustico a coltivatore diretto, non deve necessariamente contenere anche una diffida ad adempiere entro il termine assegnato al conduttore dalla legge per sanare l’inadempimento perché la relativa facoltà deriva a quest’ultimo direttamente dalla legge e può essere, quindi, esercitata indipendentemente dall’invito del locatore.

Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 03/09/2019, n. 22002.

In tema di diffida ad adempiere, costituisce un accertamento di fatto la valutazione di congruità del termine assegnato al debitore ai sensi dell’art. 1454, comma 2, c.c., anche se inferiore a quello legale.

Cass. civ. Sez. II Sent., 11/06/2018, n. 15052.

Ai sensi dell’art. 1454 c.c., il contraente che si avvale dello strumento dalla diffida deve essere già vittima dell’altrui inadempimento. Pertanto, deve escludersi che detta diffida possa essere intimata prima della scadenza del termine di esecuzione del contratto, trattandosi di uno strumento offerto ad un contraente nei confronti dell’altro che sia inadempiente per ottenere una celere risoluzione del contratto senza dovere attendere la pronuncia del giudice.

Cass. civ. Sez. II Ord., 07/05/2018, n. 10860.

In tema di diffida ad adempiere intimata da un procuratore, la necessità che la relativa procura abbia forma scritta agli effetti risolutivi di cui all’art. 1454 c.c. non implica la sua allegazione alla diffida medesima, essendo sufficiente che tale procura sia portata a conoscenza del debitore con mezzi idonei, salvo il diritto dell’intimato a farsene rilasciare copia ai sensi dell’art. 1393 c.c.

Cass. civ. Sez. II Sent., 03/11/2017, n. 26206.

In tema di contratto preliminare cui acceda il versamento di una caparra confirmatoria, la parte adempiente che si sia avvalsa della facoltà di provocarne la risoluzione mediante diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 c.c., può agire in giudizio esercitando il diritto di recesso ex art. 1385, comma 2, c.c., e in tal caso, ove abbia ricevuto la caparra, ha diritto di ritenerla definitivamente mentre, ove l’abbia versata, ha diritto di ricevere la restituzione del doppio di essa, con esclusione del diritto al risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento che ha giustificato il recesso.

Cass. civ. Sez. II Ord., 30/10/2017, n. 25736.

Non determina la risoluzione di diritto del contratto, ai sensi dell’art. 1454 c.c., la diffida con la quale un contraente intimi all’altro di adempiere la prestazione in misura superiore al dovuto.

Cass. civ. Sez. II Sent., 30/12/2016, n. 27530.

In tema di diffida ad adempiere, l’unico onere che, ai sensi dell’art. 1454 c.c., grava sulla parte intimante è quello di fissare un termine entro cui l’altra dovrà adempiere alla propria prestazione, pena la risoluzione “ope legis” del contratto, poiché la “ratio” della norma è quella di fissare con chiarezza la posizione delle parti rispetto all’esecuzione del negozio, mediante un formale avvertimento alla parte diffidata che l’intimante non è disposto a tollerare un ulteriore ritardo nell’adempimento. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto generica e, pertanto, inidonea, la diffida priva dell’indicazione, con congruo anticipo, del giorno e dell’ora prescelto dal promissario alienante per la stipula del contratto definitivo dinanzi al notaio scelto concordemente dalle parti).

Cass. civ. Sez. II Sent., 21/07/2016, n. 15070.

In difetto di clausola risolutiva espressa, la risoluzione del contratto per inadempimento può essere ottenuta solo mediante intimazione ad adempiere ex art. 1454 c.c., essendo privo di effetto l’atto unilaterale con cui la parte dichiari risolto il contratto.

Cass. civ. Sez. II Sent., 09/05/2016, n. 9317.

Il contraente che abbia intimato diffida ad adempiere, dichiarando espressamente che allo spirare del termine fissato, il contratto sarà risolto di diritto, può rinunciare, anche dopo la scadenza nel termine indicato nella stessa e anche attraverso comportamenti concludenti, alla diffida ed al suo effetto risolutivo.

Cass. civ. Sez. II Sent., 04/03/2016, n. 4314.

L’inosservanza di un termine non essenziale previsto dalle parti per la esecuzione di un’obbligazione, pur impedendo, in mancanza di una diffida ad adempiere, la risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1457 c.c., non esclude la risolubilità del contratto, a norma dell’art. 1453 c.c., se si traduce in un inadempimento di non scarsa importanza, ossia se il ritardo superi ogni ragionevole limite di tolleranza; il relativo accertamento costituisce apprezzamento discrezionale del giudice di merito, che deve essere condotto in relazione all’oggetto ed alla natura del contratto, al comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, ed al persistente interesse dell’altro contraente alla prestazione dopo un certo tempo.

Cass. civ. Sez. II Sent., 03/03/2016, n. 4205.

In caso di reiterazione di atti di diffida ad adempiere, il termine previsto dall’art. 1454 c.c. decorre dall’ultimo di essi, sicché lo “spatium agendi” di quindici giorni, che necessariamente deve intercorrere tra il ricevimento della diffida e l’insorgenza della fattispecie risolutoria, deve essere rispettato a far data dall’ultima diffida; tuttavia la reiterazione della diffida non esclude che l’inadempimento del diffidato si sia già manifestato alla scadenza del termine assegnato con la prima diffida, potendosi individuare nella rinnovazione un interesse del diffidante ad un tardivo adempimento della controparte, con la concessione quindi di un nuovo termine che impedisca l’effetto risolutorio di diritto collegato alla prima diffida.

Cass. civ. Sez. II, 22/04/2015, n. 8261.

Dalla diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.) rimasta infruttuosa non scaturisce la risoluzione del contratto quando anche il diffidante sia inadempiente, perché per il principio “inadimplenti non est adimplendum”, sancito dall’art. 1460 c.c., l’inadempimento del diffidante priva di rilevanza giuridica quello del diffidato.

Cass. civ. Sez. I Sent., 13/03/2015, n. 5095.

Il recesso previsto dal secondo comma dell’art. 1385 cod. civ. configura una forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone l’inadempimento della controparte ed è destinata a divenire operante con la semplice sua comunicazione a quest’ultima, sicchè la parte non inadempiente, provocata tale risoluzione mediante diffida ad adempiere, ha diritto di ritenere quanto ricevuto a titolo di caparra confirmatoria come liquidazione convenzionale del danno da inadempimento.

Cass. civ. Sez. I Sent., 15/01/2015, n. 585.

Il socio che ometta il pagamento della quota nel termine prescritto non può esercitare il diritto di voto, giusta l’art. 2477 cod. civ. (nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla modifica introdotta dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5), malgrado non sia stato destinatario di uno specifico atto di costituzione in mora o di una diffida ad eseguire quel pagamento entro trenta giorni, dovendogli quest’ultima essere indirizzata al solo scopo di dare inizio alla vendita in danno dell’intera quota sottoscritta.

Cass. civ. Sez. II Sent., 04/09/2014, n. 18696.

L’intimazione da parte del creditore della diffida ad adempiere, di cui all’art. 1454 cod. civ., e l’inutile decorso del termine fissato per l’adempimento non eliminano la necessità, ai sensi dell’art. 1455 cod.civ., dell’accertamento giudiziale della gravità dell’inadempimento in relazione alla situazione verificatasi alla scadenza del termine ed al permanere dell’interesse della parte all’esatto e tempestivo adempimento.

Cass. civ. Sez. I Sent., 23/05/2014, n. 11493.

In materia di diffida ad adempiere, il giudizio sulla congruità del termine di quindici giorni previsto dall’art. 1454 cod. civ. non può essere unilaterale ed avere ad oggetto esclusivamente la situazione del debitore, ma deve prendere in considerazione anche l’interesse del creditore all’adempimento ed il sacrificio che egli sopporta per l’attesa della prestazione. Ne consegue che la valutazione di adeguatezza va commisurata – tutte le volte in cui l’obbligazione del debitore sia divenuta attuale già prima della diffida – non rispetto all’intera preparazione all’adempimento, ma soltanto rispetto al completamento di quella preparazione che si presume in gran parte compiuta, non potendo il debitore, rimasto completamente inerte sino al momento della diffida, pretendere che il creditore gli lasci tutto il tempo necessario per iniziare e completare la prestazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito rilevando che nella valutazione della congruità del termine di quindici giorni assegnato alla promittente venditrice di un contratto preliminare di vendita immobiliare con la diffida ad adempiere doveva tenersi conto dell’enorme lasso di tempo anteriore alla notifica della diffida, quantificabile in circa sette anni, nel corso del quale la stessa ben avrebbe avuto la possibilità di compiere nei registri immobiliari le necessarie visure e, quindi, effettuare, una volta ricevuta la diffida, il pagamento necessario al fine di liberare l’immobile dalle formalità trascritte).

Cass. civ. Sez. I Sent., 23/05/2014, n. 11493.

In tema di inadempimento contrattuale, mentre nella proposizione di una domanda di risoluzione di diritto per l’inosservanza di una diffida ad adempiere, può ritenersi implicita, in quanto di contenuto minore, anche la domanda di risoluzione giudiziale di cui all’art. 1453 cod. civ., non altrettanto può dirsi nell’ipotesi inversa, di proposizione soltanto di quest’ultima domanda, restando precluso l’esame della domanda di risoluzione di diritto a meno che i relativi fatti che la sostanziano siano stati allegati in funzione di un proprio effetto risolutivo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, annullato il lodo arbitrale, si era limitata ad escludere l’intervenuta risoluzione di diritto di un contratto preliminare di compravendita immobiliare a seguito di diffida ad adempiere, senza indagare sulla implicita domanda di risoluzione giudiziale del contratto medesimo).

Cass. civ. Sez. III Sent., 25/02/2014, n. 4445.

Sebbene sia onere dell’attore individuare correttamente la persona destinataria della domanda giudiziale le conseguenze dell’erronea identificazione del convenuto debbono essere sopportate da quest’ultimo allorché le circostanze del caso concreto dimostrino inequivocabilmente che l’errore dell’attore è stato inconsapevole, ancorché colposo, mentre il comportamento della controparte è stato doloso o comunque consapevolmente orientato ad approfittare dell’errore altrui per trarne ingiusto profitto. (In applicazione di tale principio, la S.C. – con riferimento all’azione proposta da un idraulico per la riscossione del compenso dovutogli in relazione ad attività svolta all’interno di un appartamento, identificata erroneamente dal medesimo la parte debitrice, sulla base delle risultanze dell’elenco telefonico, nella madre, defunta da oltre trent’anni, della destinataria della prestazione – ha ritenuto che il contegno tenuto dalla parte debitrice, consistito nel ricevere presso l’appartamento suddetto dapprima la diffida ad adempiere e poi la notificazione dell’atto di citazione, atti entrambi indirizzati alla propria genitrice, senza contribuire a dissipare l’equivoco, ma anzi alimentandolo, essendosi dichiarata “figlia” della destinataria dei due atti senza rivelarne l’avvenuto decesso, comportasse l’obbligo di rimborsare al creditore le spese sostenute per far valere il proprio diritto, avendo essa provveduto al pagamento di quanto dovuto solo in sede di esecuzione del titolo giudiziale formatosi nei confronti della defunta).

Cass. civ. Sez. III Sent., 29/11/2012, n. 21237.

Anche ai fini dell’accertamento della risoluzione di diritto conseguente alla diffida ad adempiere, intimata dalla parte adempiente e rimasta senza esito, il giudice è tenuto a valutare la sussistenza degli estremi, soggettivi e oggettivi, dell’inadempimento, verificando, in particolare, sotto il profilo oggettivo, che l’inadempimento non sia di scarsa importanza, alla stregua del criterio indicato dall’art. 1455 cod. civ.

Cass. civ. Sez. II Sent., 23/11/2012, n. 20742.

Non determina la risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 1454 cod. civ., la diffida con la quale un contraente intimi all’altro di adempiere la prestazione in misura superiore al dovuto.

Cass. civ. Sez. II Sent., 06/11/2012, n. 19105.

In tema di diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454, secondo comma, cod. civ., il termine assegnato al debitore, cui è strumentalmente collegata la risoluzione di diritto del contratto, può essere anche inferiore a quindici giorni, non ponendo detta norma una regola assoluta, purché tale minor termine risulti congruo per la natura del contratto o secondo gli usi, costituendo, in ogni caso, l’accertamento della congruità del termine giudizio di fatto di competenza del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se esente da errori logici e giuridici.

Cass. civ. Sez. II Sent., 06/03/2012, n. 3477.

In tema di diffida ad adempiere, l’unico onere che, ai sensi dell’art. 1454 cod. civ., grava sulla parte intimante è quello di fissare un termine, entro cui l’altra dovrà adempiere alla propria prestazione pena la risoluzione “ope legis” del contratto, poiché la “ratio” della norma è quella di fissare con chiarezza la posizione delle parti rispetto all’esecuzione del negozio, mediante un formale avvertimento alla parte diffidata che l’intimante non è disposto a tollerare un ulteriore ritardo nell’adempimento.

Cass. civ. Sez. II Sent., 06/03/2012, n. 3477.

In tema di diffida ad adempiere, l’unico onere che, ai sensi dell’art. 1454 cod. civ., grava sulla parte intimante è quello di fissare un termine, entro cui l’altra dovrà adempiere alla propria prestazione pena la risoluzione “ope legis” del contratto, poiché la “ratio” della norma è quella di fissare con chiarezza la posizione delle parti rispetto all’esecuzione del negozio, mediante un formale avvertimento alla parte diffidata che l’intimante non è disposto a tollerare un ulteriore ritardo nell’adempimento.

Cass. civ. Sez. III Sent., 28/02/2012, n. 2999.

La risoluzione di diritto del contratto per diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 cod. civ., non preclude alla parte adempiente, nel caso in cui sia stata contrattualmente prevista una caparra confirmatoria, l’esercizio della facoltà di ottenere, secondo il disposto dell’art. 1385 cod. civ., invece del risarcimento del danno, la ritenzione della caparra o la restituzione del suo doppio, con la conseguenza che, sebbene spetti al giudice di accertare che l’inadempimento dell’altra parte non sia di scarsa importanza, non è poi onere della parte adempiente provare anche il danno nell'”an” e nel “quantum debeatur”.

Cass. civ. Sez. II Sent., 29/08/2011, n. 17703.

In tema di inadempimento contrattuale, mentre nella proposizione di una domanda di risoluzione di diritto per l’inosservanza di una diffida ad adempiere, (nella specie, nell’ambito di un contratto d’appalto, ai sensi dell’art. 1662, secondo comma, cod. civ.) può ritenersi implicita, in quanto di contenuto minore, anche la domanda di risoluzione giudiziale di cui all’art. 1453 cod. civ., non altrettanto può dirsi nell’ipotesi inversa, stante l’impedimento derivante dalla diversità delle due “causae petendi”, tra di loro non in rapporto di contenente a contenuto; ne consegue che la domanda di risoluzione di diritto può ritenersi proposta, in alternativa a quella di risoluzione giudiziale, solo se i relativi fatti che la sostanziano siano stati allegati in funzione di un proprio effetto risolutivo.

Cass. civ. Sez. II, 17/08/2011, n. 17337.

Tenendo conto della lettera della norma di cui all’art 1454 c.c. e considerato che la stessa non menziona in alcun modo l’importanza dell’inadempimento, neppure con un semplice rinvio formale alla previsione di cui all’art. 1455 c.c., se ne deve dedurre che il grave inadempimento non assurge ad elemento essenziale della risoluzione di diritto per diffida ad adempiere, al pari di quanto accade nelle altre due ipotesi di risoluzione per clausola espressa e per termine essenziale, essendo presupposto imprescindibile della sola risoluzione giudiziale.

Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 06/07/2011, n. 14877.

In caso di reiterazione di atti di diffida ad adempiere, il termine previsto dall’art. 1454 cod. civ. decorre dall’ultimo di essi, con la conseguenza che lo “spatium agendi” di quindici giorni, che necessariamente deve intercorrere tra il ricevimento della diffida e l’insorgenza della fattispecie risolutoria, deve essere rispettato a far data dall’ultima diffida.

Cass. civ. Sez. II Sent., 13/05/2011, n. 10687.

In tema di inadempimento del contratto preliminare di compravendita immobiliare contenente un termine, non rispettato alla scadenza, per la stipulazione del definitivo, l’esercizio dell’azione di esecuzione in forma specifica, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., dell’obbligo di concludere il medesimo, non presuppone necessariamente la natura essenziale di detto termine, né la previa intimazione di una diffida ad adempiere alla controparte, essendo sufficiente la sola condizione oggettiva dell’omessa stipulazione del negozio definitivo che determina di per sé l’interesse alla pronunzia costitutiva, a prescindere da un inadempimento imputabile alla controparte stessa.

Cass. civ. Sez. II Sent., 27/01/2011, n. 1898.

In tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, ove spetti al promissorio acquirente la scelta del notaio rogante, la diffida ad adempiere intimata dal promittente venditore è efficace anche se contenga soltanto la necessaria fissazione del termine entro il quale l’altra parte dovrà adempiere alla propria prestazione e non indichi, altresì, il giorno, l’ora ed il luogo della stipula del contratto definitivo, giacché grava sull’intimato promissario acquirente l’onere di contattare il notaio per detta stipula.

Cass. civ. Sez. III Sent., 24/11/2010, n. 23824.

In tema di risoluzione del contratto per inadempimento, il contraente non inadempiente, così come può rinunciare ad eccepire l’inadempimento che potrebbe dar causa alla pronuncia di risoluzione, può, del pari, rinunciare ad avvalersi della risoluzione già avveratasi per effetto o della clausola risolutiva espressa o dello spirare del termine essenziale o della diffida ad adempiere e può anche rinunciare ad avvalersi della risoluzione già dichiarata giudizialmente, ripristinando contestualmente l’obbligazione contrattuale ed accettandone l’adempimento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di risoluzione di un contratto di transazione, in forza del quale ad una della parti era dovuta la consegna di tre autovetture, ravvisando nell’accettazione, da parte del creditore, della consegna di due autovetture e del controvalore in denaro della terza autovettura un comportamento concludente di rinuncia ad avvalersi della pattuita clausola risolutiva espressa).

Cass. civ. Sez. Unite Sent., 15/06/2010, n. 14292.

Affinché la diffida ad adempiere, intimata alla parte inadempiente da un soggetto diverso dall’altro contraente, possa produrre gli effetti di cui all’art. 1454 cod. civ., è necessario che quel soggetto sia munito di procura scritta del creditore, indipendentemente dal carattere eventualmente solenne della forma del contratto destinato a risolversi, atteso che, come si desume anche dagli artt. 1324 e 1392 cod. civ., la diffida medesima, quale manifestazione di volontà che si sostanzia in un potere unilaterale incidente sulla sorte del rapporto contrattuale tanto da determinare la risoluzione “ipso jure” del vincolo sinallagmatico, ha natura negoziale.

Cass. civ. Sez. II Sent., 06/04/2009, n. 8250.

In materia di diffida ad adempiere, il giudizio sulla congruità del termine di quindici giorni previsto dall’art. 1454 cod. civ. non può essere unilaterale ed avere ad oggetto esclusivamente la situazione del debitore, ma deve prendere in considerazione anche l’interesse del creditore all’adempimento ed il sacrificio che egli sopporta per l’attesa della prestazione; ne consegue che la valutazione di adeguatezza va commisurata – tutte le volte in cui l’obbligazione del debitore sia divenuta attuale già prima della diffida – non rispetto all’intera preparazione all’adempimento, ma soltanto rispetto al completamento di quella preparazione che si presume in gran parte compiuta. (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che – essendo passata in giudicato una sentenza di cui all’art. 2932 cod. civ. che subordinava l’effetto traslativo della compravendita al pagamento del residuo prezzo – aveva ritenuto incongruo il termine di quindici giorni concesso al debitore, non considerando che la diffida ad adempiere era stata notificata dal creditore oltre quattro mesi dopo il passaggio in giudicato della sentenza, e che nel frattempo il debitore aveva il dovere di attivarsi nella preparazione dell’adempimento).

Cass. civ. Sez. III, 08/11/2007, n. 23315.

La diffida ad adempiere è stabilita nell’interesse della parte adempiente e non costituisce un obbligo, bensì una facoltà che si esprime “a priori” nella libertà di scegliere questo mezzo di risoluzione del contratto a preferenza di altri ed “a posteriori” nella possibilità di rinunciare agli effetti risolutori già prodottisi. Essa ha lo scopo di realizzare, pur in mancanza di una clausola risolutiva espressa, gli effetti che si ricollegano alla detta clausola e, cioè, la rapida risoluzione del rapporto mediante la fissazione di un termine che ha carattere essenziale nell’interesse della parte adempiente, alla quale è rimessa la valutazione della convenienza di farne valere la decorrenza. La risoluzione si produce di diritto indipendentemente dalla volontà dell’intimato, rimanendo nella disponibilità dell’intimante che può successivamente rinunciare ad avvalersene.

Cass. civ. Sez. III Sent., 08/11/2007, n. 23315.

In tema di contratti a prestazioni corrispettive, la diffida ad adempiere ha lo scopo di realizzare, pur in mancanza di una clausola risolutiva espressa, gli effetti che a detta clausola si ricollegano e, cioé, la rapida risoluzione del rapporto mediante la fissazione di un termine essenziale nell’interesse della parte adempiente, cui é rimessa la valutazione di farne valere la decorrenza e che può rinunciare ad avvalersi della risoluzione già verificatasi; tale diffida é stabilita nell’interesse della parte adempiente e costituisce non un obbligo ma una facoltà che si esprime “a priori” nella libertà di scegliere questo mezzo di risoluzione del contratto a preferenza di altri e “a posteriori” nella possibilità di rinunciare agli effetti risolutori già prodotti, il che rientra nell’ambito delle facoltà connesse all’esercizio dell’autonomia privata al pari della rinuncia al potere di ricorrere al congegno risolutorio di cui all’art. 1454 cod. civ..

Cass. civ. Sez. II Sent., 18/04/2007, n. 9314.

L’intimazione da parte del creditore della diffida ad adempiere di cui all’articolo 1454 cod. civ. e l’inutile decorso del termine fissato per l’adempimento non eliminano la necessità ai sensi dell’articolo 1455 cod.civ. dell’accertamento giudiziale della gravità dell’inadempimento in relazione alla situazione verificatasi alla scadenza del termine, secondo un criterio che tenga conto, sia dell’elemento oggettivo della mancata prestazione nel quadro dell’economia generale del contratto, sia degli aspetti soggettivi rilevabili tramite un’indagine unitaria sul comportamento del debitore e sull’interesse del creditore all’esatto e tempestivo adempimento. (Nella specie la S.C. ha escluso la gravità dell’inadempimento in relazione alla circostanza dell’offerta da parte della compratrice del prezzo alcuni giorni dopo la scadenza del termine e della mancanza di elementi da cui desumere che il decorso del termine fissato nella diffida comportasse la perdita dell’utilità economica perseguita con il contratto).

Cass. civ. Sez. III, 30/11/2006, n. 25500.

In tema di interruzione della prescrizione, ai sensi dell’articolo 2943 cod. civ., perchè un atto abbia efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora. È pertanto priva di efficacia interruttiva la riserva, contenuta in un atto di citazione, di agire per il risarcimento di danni diversi e ulteriori rispetto a quelli effettivamente lamentati, trattandosi di espressione che, per genericità ed ipoteticità, non può in alcun modo equipararsi ad una intimazione o ad una richiesta di pagamento. (Nella specie la corte di merito aveva rigettato, perchè estinta, la domanda, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per i danni cagionati dalle illegittime azioni intraprese da una banca per un effetto cambiario scaduto nel dicembre del 1982; avevano sostenuto i ricorrenti di avere fatto espressa riserva di agire per tutti i danni nella citazione di un precedente giudizio, nel novembre 1984, per il rimborso delle spese di procedura di urgenza, e di avere fatto una diffida ad adempiere, nel settembre 1989, cui era seguita, nel maggio del 1992, l’introduzione dl presente giudizio, di modo che il quinquiennio non si sarebbe compiuto: sulla base dell’enunciato principio la S.C. ha rigettato il ricorso).

Cass. civ. Sez. III, 16/05/2006, n. 11356.

La caparra confirmatoria ha natura composita – consistendo in una somma di denaro o in una quantità di cose fungibili – e funzione eclettica – in quanto è volta a garantire l’esecuzione del contratto, venendo incamerata in caso di inadempimento della controparte (sotto tale profilo avvicinandosi alla cauzione); consente, in via di autotutela, di recedere dal contratto senza la necessità di adire il giudice; indica la preventiva e forfettaria liquidazione del danno derivante dal recesso cui la parte è stata costretta a causa dell’inadempimento della controparte. Va invece escluso che abbia anche funzione probatoria e sanzionatoria, così distinguendosi sia rispetto alla caparra penitenziale, che costituisce il corrispettivo del diritto di recesso, sia dalla clausola penale, diversamente dalla quale non pone un limite al danno risarcibile, sicché la parte non inadempiente ben può recedere senza dover proporre domanda giudiziale o intimare la diffida ad adempiere, e trattenere la caparra ricevuta o esigere il doppio di quella prestata senza dover dimostrare di aver subito un danno effettivo. La parte non inadempiente può anche non esercitare il recesso, e chiedere la risoluzione del contratto e l’integrale risarcimento del danno sofferto in base alle regole generali (art. 1385, 3° comma, cod. civ.), e cioè sul presupposto di un inadempimento imputabile e di non scarsa importanza, nel qual caso non può incamerare la caparra, essendole invece consentito trattenerla a garanzia della pretesa risarcitoria o in acconto su quanto spettantele a titolo di anticipo dei danni che saranno in seguito accertati e liquidati. Qualora, anziché recedere dal contratto, la parte non inadempiente si avvalga dei rimedi ordinari della richiesta di adempimento ovvero di risoluzione del negozio, la restituzione della caparra è ricollegabile agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale, come conseguenza del venir meno della causa della corresponsione, giacché in tale ipotesi essa perde la suindicata funzione di limitazione forfettaria e prederminata della pretesa risarcitoria all’importo convenzionalmente stabilito in contratto, e la parte che allega di aver subito il danno, oltre che alla restituzione di quanto prestato in relazione o in esecuzione del contratto, ha diritto anche al risarcimento dell’integrale danno subito, se e nei limiti in cui riesce a provarne l’esistenza e l’ammontare in base alla disciplina generale di cui agli artt. 1453 ss. cod. civ. Anche dopo aver proposto la domanda di risarcimento, e fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, la parte non inadempiente può decidere di esercitare il recesso, in tal caso peraltro implicitamente rinunziando al risarcimento integrale e tornando ad accontentarsi della somma convenzionalmente predeterminata al riguardo. Ne consegue che ben può pertanto il diritto alla caparra essere fatto valere anche nella domanda di risoluzione.

Cass. civ. Sez. II, 13/03/2006, n. 5407.

Anche ai fini dell’accertamento della risoluzione di diritto, conseguente a diffida ad adempiere senza esito, intimata dalla parte adempiente, il giudice è tenuto comunque a valutare la sussistenza degli estremi, soggettivi e oggettivi, dell’inadempimento; in particolare, dovrà verificare sotto il profilo oggettivo che l’inadempimento sia non di scarsa importanza, alla stregua del criterio indicato dall’art. 1455 cod.civ., e, sotto il profilo soggettivo, l’operatività della presunzione di responsabilità del debitore inadempiente fissata dall’art. 1218 cod.civ., la quale, pur dettata in riferimento alla responsabilità per il risarcimento del danno, rappresenta un principio di carattere generale.

Cass. civ. Sez. II, 02/12/2005, n. 26232.

Nell’ipotesi di versamento di una somma di danaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte adempiente che, dopo aver intimato la diffida ad adempiere, abbia agito per la risoluzione del contratto e per la condanna al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1453 cod. civ. non può, in sostituzione di dette pretese, chiedere in appello il recesso dal contratto a norma dell’art. 1385, secondo comma, cod. civ., risultando tale istanza preclusa dalla risoluzione del contratto già avvenuta di diritto con la proposizione della domanda di risoluzione, restando irrilevante la natura dichiarativa della sentenza che accerta la già avvenuta risoluzione. (Nella specie, la S.C. ha chiarito che l’adempiente ha tuttavia diritto di ottenere dall’altra parte la restituzione della somma conferita, configurabile non più quale liquidazione anticipata del danno, ma come somma indebitamente trattenuta dalla parte inadempiente, una volta venuta meno, con la risoluzione, la causa giustificativa della corresponsione).

8. Consulenza e assistenza legale per il tuo caso

Come avrai notato, la disciplina prevista in materia di diffida ad adempiere è decisamente complessa poiché occorre valutare molti elementi.

Proprio per questo motivo, al fine di proteggere e difendere al meglio la tua sfera giuridica, ti consiglio di completare il Modulo di contatto che trovi in questa pagina.

Un Professionista di ObiettivoProfitto.it saprà aiutarti nel migliore dei modi.

CHIEDI UNA CONSULENZA
CONTATTACI

per richiedere la nostra assistenza







    Ho letto e accetto la Privacy Policy