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Hai sottoscritto un contratto ma hai deciso di liberarti dal vincolo? In quali casi è possibile sciogliere l’accordo?
Stiamo parlando del diritto di recesso, grazie al quale una delle parti ha la facoltà di svincolarsi unilateralmente dal rapporto giuridico.
Non esiste una disciplina unitaria in ordine al recesso, infatti i presupposti e le modalità variano a seconda delle circostanze e del tipo di contratto interessato.
1. Che cos’è il diritto di recesso?
Tale diritto ha la funzione di far venir meno gli effetti del contratto per una delle parti che decide di esercitarlo.
Solitamente, trova applicazione per i contratti di durata, come la locazione, affitto, rapporti di lavoro, appalto, ecc. In questi casi è proprio la legge che prevede ipotesi nelle quali è possibile recedere, proprio a tutela di quei vincoli a durata indeterminata.
Il recesso può essere:
- legale: quando è la legge a prevederlo in presenza di precise circostanze;
- volontario (o convenzionale): quando sono le stesse parti a stabilire le cause e modalità con un’apposita clausola inserita nel corpo del contratto.
La disciplina generale in materia di recesso unilaterale è prevista dall’art. 1373 del Codice civile. Si tratta di una disciplina scarna, la quale va sempre integrata con le previsioni legislative previste per i singoli contratti. Anche la giurisprudenza e la dottrina hanno in diverse occasioni contribuito a definirne i contorni.
La norma opera una prima distinzione:
Il comma 1, si riferisce all’ipotesi di recesso dai contratti ad esecuzione immediata e differita, il quale può essere esercitato prima che si abbia un principio di esecuzione (ad. esempio la vendita, cessione del contratto, ecc.).
Al comma 2, vi è un riferimento ai contratti ad esecuzione continuata o periodica. La parte recedente può azionare tale diritto anche successivamente, senza che si producano effetti per le prestazioni già eseguite (ad esempio il contratto di locazione).
2. Come si esercita il recesso?
Come accennato, la funzione del recesso è quella di consentire alle parti di svincolarsi dal rapporto giuridico, in particolare nei contratti che abbiano durata “indeterminata”.
Il recesso produce effetti nel momento in cui viene esercitato (effetti ex nunc). Ciò vuol dire che non ha effetto retroattivo poiché non investe le prestazioni già eseguite, ma riguarda il futuro.
Il recesso deve essere comunicato alla controparte mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno e si considera efficace nel momento in cui perviene a conoscenza della parte interessata.
Nei casi di recesso convenzionale, le parti potranno specificare nella relativa clausola ulteriori modalità e circostanze, anche in riferimento agli effetti prodotti.
2.1. Termine di preavviso
Di regola, l’esercizio del diritto è subordinato al rispetto di un termine di preavviso, la quale durata può essere determinata dalle parti inserendo una clausola nel contratto. Il mancato rispetto del termine implica in capo alla parte recedente un obbligo di “indennizzo”.
Un esempio pratico può essere il contratto di locazione ad uso abitativo, per il quale è previsto un termine di preavviso di 6 mesi che il conduttore sarà tenuto ad osservare. L’inosservanza del detto termine farà sorgere in capo al conduttore un obbligo di “risarcimento”: lo scopo è di tutelare il proprietario dell’immobile dal mancato guadagno.
2.2. Corrispettivo a seguito del recesso
Il comma 3 dell’art. 1373 c.c., dispone che può essere fissato un corrispettivo per l’esercizio del diritto di recesso. Ciò è posto a tutela della controparte che subisce una lesione per il venir meno del rapporto contrattuale.
A tal proposito le forme di corrispettivo possono assumere diverse forme:
1.Multa penitenziale (prevista proprio al comma 3), con la funzione di indennizzare la controparte per la lesione;
2.Caparra penitenziale: si tratta di una somma versata al momento della sottoscrizione del contratto, che viene trattenuta come prezzo di un eventuale recesso;
3.Caparra confirmatoria: consiste in una liquidazione convenzionale e anticipata del danno da inadempimento. Si tratta di una ipotesi di recesso legale a seguito di inadempimento di una delle parti.
In pratica, una parte versa in anticipo una somma di denaro, di conseguenza se sarà essa stessa ad essere inadempiente l’altra parte potrà recedere e trattenere la somma.
Se invece sarà inadempiente la parte che ha ricevuto la somma, la parte che l’ha versata potrà recedere ed eventualmente esigere anche il doppio di quanto versato.
3. Esempi di recesso
3.1. Contratti a distanza
Come accennato, il diritto di recesso non trova applicazione solo ed esclusivamente per i contratti di durata. Una categoria interessata a tal proposito è quella dei contratti a distanza.
Un’ipotesi tipica riguarda i contratti conclusi dal consumatore a distanza e al di fuori dei locali commerciali, finalizzati all’acquisto di beni o servizi per uso personale. Un esempio potrebbe essere una compravendita tramite e-commerce (piattaforme on-line).
In taluni casi si applicherà l’art. 52 del Codice del consumo, che consente il cd. recesso del consumatore.
La tutela è rivolta al consumatore, inteso come parte debole rispetto al professionista, al quale è consentito recedere entro 14 giorni dalla conclusione del contratto, senza che siano necessari motivi specifici.
Attraverso una dichiarazione, il consumatore potrà ricevere indietro quanto versato e contestualmente restituire il prodotto acquistato.
Anche per i contratti relativi ai servizi finanziari (assicurazione, servizi bancari, investimento, ecc.) il consumatore può recedere entro 14 giorni dalla conclusione dell’accordo o dal momento in cui ha ricevuto le condizioni contrattuali.
Non si applica a casi specifici come: le polizze assicurative di viaggi o bagagli o a quelle di durata inferiore ad un mese; contratti di RC auto se si verifica l’evento assicurato, ecc.
3.2. Contratto di appalto
Le parti interessate dal diritto di recesso sono il committente e l’appaltatore, in virtù del rapporto di fiducia che vi è alla base.
Il committente può recedere liberamente senza preavviso, e anche se è iniziata l’esecuzione dell’opera, corrispondendo un indennizzo all’appaltatore.
Quest’ultimo potrà recedere nel caso di variazioni apportate dal committente.
3.3. Contratti aventi ad oggetto pacchetti turistici
Qualora siano modificate le condizioni di viaggio o di partenza, è possibile recedere entro due giorni senza che sia versata alcuna penale.
4. Com’è consigliabile agire?
Il diritto di recesso rappresenta una via d’uscita da vincoli che possono risultare scomodi, soprattutto se a durata indeterminata.
In sede di redazione di contratto, laddove possibile, è sempre opportuno inserire un’apposita clausola che disciplini l’esercizio del recesso. La determinazione volontaria del termine e modalità di esercizio è sicuramente più sicura rispetto al caso in cui nel contratto non ne sia fatta espressa menzione.
Riuscire a far valere il proprio diritto di recesso in talune ipotesi può essere più complicato, ovviamente nei contratti con una controparte più forte oppure nei casi di recesso legale. Si raccomanda quindi di rivolgersi sempre ad un esperto in materia.
5. La giurisprudenza rilevante in materia di recesso dal contratto
Cass. civ. Sez. II Ord., 08/06/2022, n. 18392.
In merito al contratto preliminare ex art. 1351 c.c., conseguita attraverso la diffida ad adempiere la risoluzione di un contratto cui è acceduta la prestazione di una caparra confirmatoria, l’esercizio del diritto di recesso è definitivamente precluso e la parte non inadempiente che limiti fin dall’inizio la propria pretesa risarcitoria alla ritenzione della caparra (o alla corresponsione del doppio di quest’ultima), in caso di controversia, è tenuta ad abbinare tale pretesa ad una domanda di mero accertamento dell’effetto risolutorio
Cass. civ. Sez. II Ord., 08/06/2022, n. 18392.
In tema di inadempimento contrattuale, una volta conseguita attraverso la diffida ad adempiere la risoluzione del contratto al quale accede la prestazione di una caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c., l’esercizio del diritto di recesso è definitivamente precluso, cosicché la parte non inadempiente che limiti fin dall’inizio la propria pretesa risarcitoria alla ritenzione della caparra ad essa versata o alla corresponsione del doppio della caparra da essa prestata, in caso di controversia, è tenuta ad abbinare tale pretesa ad una domanda di mero accertamento dell’effetto risolutorio.
Cass. civ. Sez. II Ord., 08/06/2022, n. 18392.
In tema di inadempimento contrattuale, una volta conseguita attraverso la diffida ad adempiere la risoluzione del contratto al quale accede la prestazione di una caparra confirmatoria, l’esercizio del diritto di recesso è definitivamente precluso, cosicchè la parte non inadempiente che limiti fin dall’inizio la propria pretesa risarcitoria alla ritenzione della caparra ad essa versata o alla corresponsione del doppio della caparra da essa prestata, in caso di controversia, è tenuta ad abbinare tale pretesa ad una domanda di mero accertamento dell’effetto risolutorio.
Cass. civ. Sez. III Sent., 14/04/2022, n. 12264.
Il diritto di recesso di cui all’art. 177 del d.lgs. n. 209 del 2005, n. 209 – previsto, con riguardo ai contratti di assicurazione sulla vita, al fine di garantire l’espressione di un consenso ponderato e consapevole, attese le “asimmetrie informative” fra assicuratore e contraente, particolarmente rilevanti nel ramo vita in considerazione del normale carattere duraturo del vincolo imposto al contraente, dell’elevato tecnicismo di tali polizze e della loro frequente collocazione mediante “tecniche aggressive”, assimilabili a quelle seguite nella collocazione degli strumenti finanziari – è applicabile al contratto di assicurazione contro gli infortuni (anche) mortali non già in virtù di una aprioristica e astratta riconduzione di tale schema contrattuale al tipo dell’assicurazione sulla vita, trattandosi di contratto di per sé del tutto privo di contenuto finanziario e a cui rimane estranea la previsione di alcun piano di accumulo, di alcun diritto di riscatto e di alcuna funzione previdenziale, ma all’esito della concreta valutazione di compatibilità della “ratio” della norma suddetta con lo specifico assetto di interessi che le parti hanno inteso realizzare attraverso la stipulazione della singola polizza.
Cass. civ. Sez. II Sent., 12/07/2021, n. 19801.
In tema di caparra confirmatoria, nel caso in cui la parte inadempiente restituisca la somma versata a titolo di caparra alla controparte (nella specie, a mezzo di assegno bancario), non viene meno il diritto della parte adempiente a pretendere il doppio della caparra, da far valere, ove non emerga in senso contrario un’univoca volontà abdicativa da parte del creditore, mediante l’esercizio del diritto di recesso, anche con la proposizione di apposita domanda giudiziale in caso di mancata conformazione spontanea dell’inadempiente a relativo obbligo.
Cass. civ. Sez. III Sent., 23/06/2021, n. 17969.
L’esercizio del diritto di recesso ex art. 1385 c.c. determina lo scioglimento del vincolo contrattuale, radica la pretesa restitutoria quantificata forfettariamente in relazione all’oggetto della caparra confirmatoria e presuppone un inadempimento della controparte verificatosi anteriormente al recesso; ne consegue che qualora il socio di una società di persone abbia trasferito la quota sociale a terzi prima del recesso manifestato dall’altra parte contraente contro la società, non risponde dell’obbligazione restitutoria sorta in capo alla società in forza di clausola contrattuale, essendosi sciolto dal rapporto sociale ai sensi dell’art. 2290 c.c.
Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 15/09/2020, n. 19161.
In tema di contratti di investimento stipulati fuori sede, va riconosciuta la possibilità di esercitare un diritto di ripensamento nel termine di sette giorni, e l’art. 30, comma 7 del D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 commina la nullità totale del contratto di investimento per il caso di omessa indicazione, nel contratto medesimo, del diritto di recesso.
Cass. civ. Sez. III Ord., 24/08/2020, n. 17615.
Si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto o di diritto – comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere obiettivo (essendo il suo verificarsi indipendente dalla loro volontà e attività) e certo – sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto condizionante il negozio, in modo da assurgere a fondamento, pur in mancanza di un espresso riferimento, dell’esistenza ed efficacia del contratto. (In applicazione del principio, la S.C. – riguardo ad una complessa vicenda concernente la cessione, da parte di una curatela fallimentare, di un credito di 10 milioni di dollari statunitensi verso l’Iraq per un prezzo minimo, poi seguita invece da una riscossione fruttuosa – ha escluso che la difficilissima recuperabilità del credito oggetto del contratto costituisse “presupposto inespresso” del negozio).
Cass. civ. Sez. II Ord., 29/05/2020, n. 10324.
Qualora un contratto preveda il diritto di recesso “ad nutum” in favore di una delle parti, il giudice del merito non può esimersi dal valutare se l’esercizio di tale facoltà sia stato effettuato nel pieno rispetto delle regole di correttezza e di buona fede cui deve improntarsi il comportamento delle parti del contratto, atteso che la mancanza della buona fede in senso oggettivo, espressamente richiesta dagli artt. 1175 e 1375 c.c. nella formazione e nell’esecuzione del contratto, può rivelare un abuso del diritto, pure contrattualmente stabilito, ossia un esercizio del diritto volto a conseguire fini diversi da quelli per i quali il diritto stesso è stato conferito. Tale sindacato, da parte del giudice di merito, deve pertanto essere esercitato in chiave di contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti in causa, in una prospettiva anche di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza gravata che, anche alla luce del concreto atteggiarsi del comportamento delle parti nell’esecuzione del contratto, aveva ritenuto affetta da nullità la clausola contrattuale che rimetteva l’esercizio del diritto di recesso all’unilaterale, successiva e non previamente conoscibile volontà del predisponente).
Cass. civ. Sez. II Ord., 16/05/2019, n. 13241.
Il contraente che vuole esercitare il diritto di recesso ex art. 1385 c.c. non deve essere a sua volta inadempiente; l’indagine circa il suo inadempimento deve avvenire tenendo conto del valore della parte dell’obbligazione non adempiuta rispetto al tutto, sulla base di un criterio di proporzionalità, occorrendo all’uopo verificare, a seguito di una valutazione complessiva e globale del comportamento delle parti se, per effetto dell’inadempimento del recedente, si sia verificata ai danni della controparte una sensibile alterazione dell’equilibrio contrattuale o se, invece, tale alterazione non dipenda dall’inadempimento della controparte.
Cass. civ. Sez. I Ord., 17/10/2018, n. 25996.
In tema di contratti d’investimento mobiliare stipulati fuori della sede dell’intermediario, l’art. 30, comma 7, del d.lgs. n. 58 del 1998, prevede il diritto di recesso del risparmiatore, il cui ambito applicativo attiene sia alle vendite di strumenti finanziari, per i quali l’intermediario abbia assunto un obbligo di collocamento nei confronti dell’emittente o dell’offerente, sia le vendite poste in essere in attuazione di un servizio di investimento diverso, ivi compresa l’esecuzione di ordini impartiti dal cliente nel contesto di un contratto quadro. Tale diritto di recesso, che ha la finalità di ripristinare, “a posteriori”, la carenza di adeguata riflessione preventiva dell’investitore, la quale può essere mancata nel caso di sollecitazione all’acquisto da parte del promotore, deve essere espressamente previsto in contratto, a pena di nullità.
Cass. civ. Sez. I Ord., 12/10/2018, n. 25606.
Nell’ambito del contratto di concessione di vendita, il recesso del fornitore in funzione della riorganizzazione della propria rete commerciale, presuppone, avuto riguardo alla disciplina comunitaria, il rispetto di un termine di preavviso di un anno, potendo, peraltro, avvenire “ad nutum” e senza alcun obbligo di motivazione formale; esso non dà luogo ad abuso di posizione dominante, se non qualora sia concretamente dimostrato che la relativa facoltà sia esercitata per finalità diverse da quelle per le quali era stata pattuita o, comunque, prevista dall’ordinamento.
Cass. civ. Sez. III Ord., 04/05/2018, n. 10583.
La ricognizione di debito formulata dalla società di capitali a favore del socio, attraverso cui la prima intenda attribuire al secondo il diritto di recedere dalla società e di ottenere la restituzione del conferimento in conto capitale, nonché del sovrapprezzo, versati al tempo della sottoscrizione della partecipazione sociale, è nulla per contrarietà alle norme imperative che regolano il contratto sociale, in quanto, non avendo ad oggetto poste debitorie corrispondenti a crediti esigibili del socio verso la società, tende a neutralizzare il rischio imprenditoriale cui questi si sottopone incondizionatamente con la sottoscrizione del capitale sociale.
Cass. civ. Sez. III Sent., 08/06/2017, n. 14268.
Il conduttore che deduca il proprio diritto alla risoluzione anticipata del rapporto e riconsegni l’immobile al locatore, il quale accetti la consegna con riserva (facendo espressa riserva di azione per i diritti ancora nascenti dal contratto), non è liberato ai sensi dell’art. 1216 c.c. dall’obbligo del pagamento dei canoni ancora non maturati, ed il successivo accertamento della insussistenza del diritto di recesso comporta che il conduttore medesimo è tenuto al pagamento dei canoni fino alla scadenza del contratto.
Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 23/05/2017, n. 12919.
La cessione d’azienda determina, con riferimento al lavoratore, la successione legale nel contratto di lavoro, con conseguente esclusione, ai fini del perfezionamento del contratto di cessione, del consenso del lavoratore ceduto, che potrà successivamente esercitare il proprio diritto di recesso nei termini sanciti dal comma 4 dell’art. 2112 c.c.
Cass. civ. Sez. III Sent., 03/04/2014, n. 7776.
L’art. 56 quater del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, inserito dalla legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98, il quale, novellando l’art. 30, comma 6, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, ha previsto che il diritto di recesso del risparmiatore per l’offerta fuori sede dei servizi di investimento ai applica anche ai contratti di negoziazione di titoli per conto proprio stipulati dopo il 1° settembre 2013, non è norma di interpretazione autentica, e perciò non ha avuto l’effetto di sanare la nullità dei precedenti contratti privi dell’avviso del recesso accordato all’investitore.
Cass. civ. Sez. III, 28/02/2012, n. 2999.
Qualora la domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto per inadempimento del promittente compratore nel termine assegnato a norma dell’art. 1454 c.c. – che non elimina la necessità, ai sensi dell’art. 1455 c.c., dell’accertamento giudiziale della gravità di tale inadempimento – non è accompagnata dall’istanza di risarcimento del danno integrale ai sensi degli artt. 1453 e 1385, comma terzo, c.c., non è precluso alla parte adempiente di instare per la ritenzione della caparra come azione risarcitoria semplificata rispetto a quella che consegue all’azione di risarcimento integrale giudiziale per la risoluzione costitutiva, essendo potere-dovere del giudice di qualificare l’azione esercitata secondo la vicenda sostanziale, e cioè come accertamento della legittimità del recesso già esercitato e contestato e non già risoluzione giudiziale, tanto più che il contraente adempiente non chiede di conseguire un maggiore risarcimento rispetto all’ammontare della caparra, ma dichiara invece di limitare il risarcimento nella corrispondente misura. Affermare, dunque, la impossibilità dello ius retinendi della caparra in base al rilievo che l’art. 1385, comma secondo, c.c. disciplina l’esercizio stragiudiziale del diritto di recesso e non la risoluzione giudiziale, ancorché dichiarativa e di diritto, con conseguente onere, aleatorio, di dimostrare an e quantum del danno a norma dell’art. 1385, comma terzo, c.c. significa attribuire al nomen risoluzione un significato esasperatamente formale. Qualora, dunque, i promittenti venditori domandino non già di pronunciare la risoluzione del contratto, bensì di accertare che essa si era già stragiudizialmente verificata per effetto dell’art. 1454 c.c., deve ritenersi proponibile l’ulteriore domanda da essi proposta di accertare il loro diritto alla ritenzione della caparra come conseguenza della legittimità del loro recesso, stragiudizialmente già esercitato, derivata dall’inadempimento imputabile e grave della controparte.
Cass. civ. Sez. II Sent., 06/04/2011, n. 7878.
Nei contratti a prestazione continuata o periodica (nella specie, l’appalto), la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento è alternativa alla domanda di accertamento dell’esercizio del recesso, distinguendosene per “causa petendi” e “petitum”, atteso che, mirando la prima a una pronuncia di carattere costitutivo che faccia risalire la risoluzione al momento dell’inadempimento ed essendo fondata sulla commissione di un illecito (mentre, l’altra, sull’esercizio di una facoltà consentita dalla legge), il suo accoglimento preclude l’esame delle altre cause di scioglimento del medesimo rapporto contrattuale. Ne consegue, ulteriormente, che tra dette domande non vi è rapporto di continenza, sicché possono essere proposte nello stesso giudizio, dovendo il giudice, in caso di rigetto delle domande di risoluzione, esaminare se sia fondata quella di declaratoria di legittimo esercizio del diritto di recesso.
Cass. civ. Sez. II Sent., 24/03/2010, n. 7062.
E’ legittima la richiesta di recesso formulata dal promesso acquirente se l’immobile promesso in vendita risulta gravato da pregiudiziali, fermo restando l’obbligo di procedere, contestualmente all’esercizio del diritto di recesso, alla riconsegna del bene.
Cass. civ. Sez. II, 18/03/2010, n. 6558.
L’istituto della c.d. “multa penitenziale” previsto dall’art. 1373, terzo comma, cod. civ., assolve – non diversamente dalla caparra penitenziale di cui all’art. 1386 cod. civ., nella quale il versamento avviene anticipatamente – alla sola finalità di indennizzare la controparte nell’ipotesi di esercizio del diritto di recesso da parte dell’altro contraente; ne consegue che in tali casi, poiché non è richiesta alcuna indagine sull’addebitabilità del recesso, diversamente da quanto avviene in tema di caparra confirmatoria o di risoluzione per inadempimento, il giudice deve limitarsi a prendere atto dell’avvenuto esercizio di tale diritto potestativo da parte del recedente e condannarlo al pagamento del corrispettivo richiesto dalla controparte.
Cass. civ. Sez. II Sent., 15/09/2009, n. 19870.
In caso di cessione d’azienda, che comporta la successione “ope legis” nei contratti stipulati per l’esercizio della stessa, il cedente risponde del buon fine di tali contratti soltanto nei confronti del cessionario, ai sensi dell’art. 2558, secondo comma, cod.civ., e non anche nei confronti del contraente ceduto, al quale la legge accorda quale unica forma di tutela il diritto di recesso. Il cessionario d’azienda, infatti, si trova obbligato a subire le eventuali conseguenze economiche pregiudizievoli derivanti dalla caducazione dei rapporti contrattuali già rientranti nel patrimonio dell’azienda e sui quali aveva fatto affidamento, mentre il ceduto non può vantare alcun titolo di responsabilità contrattuale od aquiliana nei confronti del cedente, in ragione, nel primo caso, dell’intervenuta novazione soggettiva del negozio e, nel secondo caso, della liceità in sé della cessione.
Cass. civ. Sez. II, 11/03/2008, n. 6463.
La presenza della clausola con cui le parti abbiano convenuto la dazione di una somma di denaro quale caparra confirmatoria comporta sempre per la parte non inadempiente l’implicito diritto di recedere dal contratto (e di trattenere la caparra ricevuta) in quanto per tale via, le parti hanno espresso la volontà di applicare al negozio la disciplina prevista da tale istituto e di voler derogare, sia pure in forma non definitiva, alla disciplina generale in materia di inadempimento contrattuale.
Cass. civ. Sez. III Sent., 18/09/2007, n. 19366.
In tema di applicabilità della norma di cui all’art. 1469 bis, terzo comma, n. 13 cod. civ. nella formulazione anteriore al d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206, l’incremento eccessivo e non giustificato del prezzo rispetto a quello iniziale – in quanto non suppone necessariamente che, nell’economia complessiva del rapporto, ne risulti per forza alterato l’aspetto funzionale dell’adeguatezza delle rispettive prestazioni – non incide sulla causa del contratto e non determina lo squilibrio tra le rispettive prestazioni, ma assume la diversa qualificazione di presupposto di legittimazione dell’azione di recesso, per cui gli aumenti del prezzo, autorizzati ad iniziativa unilaterale del professionista, possono essere praticati “ad libitum” sino alla soglia dell’eccesso, la quale, se non è stata definita in anticipo dalle parti, deve essere verificata dal giudice in sede di contestazione dell’efficacia della clausola. (Nella specie, la S.C., nell’enunciare l’anzidetto principio di diritto, ha cassato la sentenza di merito che – a fronte di una clausola di un contratto di somministrazione di carburante g.p.l. con la quale le parti, senza riconoscere al consumatore il diritto di recesso, avevano stabilito che il prezzo del carburante, già fissato in conformità alle norme previste dai provvedimenti legislativi in materia, poteva essere variato in qualsiasi momento a seguito di eventuali modifiche del prezzo nazionale e della misura degli oneri fiscali – aveva ritenuto applicabile la disposizione di cui all’art. 1469 bis, terzo comma, n. 13 cod. civ. , indipendentemente dalla verifica di sussistenza dell’elemento dell’eccessività del nuovo prezzo reclamato e versato al professionista rispetto a quello originariamente pattuito).
Cass. civ. Sez. III Sent., 18/09/2007, n. 19366.
La disposizione recata dall’art. 1469-bis, terzo comma, n. 13, cod. civ. nella formulazione anteriore al d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206 non si applica allorchè le parti abbiano stipulato clausole di indicizzazione in aumento del prezzo del bene o del servizio, a condizione che le modalità di variazione siano espressamente descritte. (Nella specie, la S.C., nell’enunciare l’anzidetto principio di diritto, ha cassato la sentenza di merito che aveva qualificato come vessatoria, indipendentemente dalla verifica di sussistenza dell’ipotesi di esclusione di cui al comma settimo dell’art. 1469 bis cod. civ., la clausola di un contratto di somministrazione di carburante g.p.l. con la quale le parti, senza riconoscere al consumatore il diritto di recesso, avevano stabilito che il prezzo del carburante, già fissato in conformità alle norme previste dai provvedimenti di legge in materia, poteva essere variato in qualsiasi momento a seguito di eventuali modifiche del prezzo nazionale e della misura degli oneri fiscali).
Cass. civ. Sez. II, 31/07/2006, n. 17294.
Nel contratto d’appalto, il recesso, quale facoltà della parte di sciogliere unilateralmente il contratto, prescinde in sé da eventuali inadempienze dell’altro contraente alle obbligazioni assunte, tanto nell’ipotesi di recesso legale di cui all’art. 1671 cod. civ. quanto nell’ipotesi del recesso convenzionale di cui all’art 1373 cod civ., fatta salva una diversa volontà delle parti.
Cass. civ. Sez. II, 12/01/2005, n. 387.
La parte adempiente di un contratto preliminare di compravendita, che abbia ricevuto una caparra confirmatoria e si sia avvalsa della facoltà di provocare la risoluzione del contratto mediante diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.), può agire in giudizio esercitando il diritto di recesso (art. 1385 c.c., secondo comma) e, in quest’ultimo caso, ha diritto di ritenere definitivamente la caparra confirmatoria, non anche il diritto di ottenere il risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento che ha giustificato il recesso.
6. Consulenza e assistenza legale per il tuo caso
Come avrai notato, la disciplina prevista in materia di recesso contrattuale è piuttosto complessa poiché occorre valutare molti elementi e ponderare diverse opzioni per addivenire ad una scelta adeguata.
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