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Indebito arricchimento e arricchimento senza causa sono due istituti giuridici previsti dall’ordinamento italiano e disciplinati dal Codice Civile.
L’arricchimento senza causa, anche conosciuto come arricchimento ingiustificato, è disciplinato agli artt. 2041 e 2042 del Codice Civile.
Per introdurre l’argomento, possiamo dire che l’azione generale di arricchimento è stata concepita come valvola di sicurezza del sistema. Infatti, è capace di intervenire ed eliminare l’ingiustificato arricchimento di un soggetto a danno di un altro quando, per il particolare atteggiarsi della fattispecie concreta, al danneggiato non è data nessuna azione per tutelarsi e riequilibrare i due patrimoni.
In sostanza, l’azione di arricchimento ingiustificato ha natura sussidiaria, rispetto, ad esempio, all’azione di ripetizione dell’indebito che si può esercitare nel caso di indebito arricchimento, appunto.
Ovviamente la disciplina sottesa a queste azioni e a questi istituti è molto articolata e complessa.
A tal proposito, se vuoi saperne di più, in questa guida verrà spiegata meglio la loro relazione e gli effetti che conseguono al loro esercizio.
1. Arricchimento senza causa: disciplina generale
Come accennato, l’arricchimento senza causa è disciplinato dal Codice Civile agli articoli 2041 e 2042.
In particolare, l’art. 2041 c.c. stabilisce che: «Chi senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda».
L’arricchimento può derivare, ad esempio, dall’uso di un bene altrui fatto senza versare un corrispettivo.
La ratio della norma è chiara.
L’ordinamento giuridico italiano non può consentire che un soggetto riceva un vantaggio dal danno arrecato ad altri in assenza di una causa che giustifichi lo spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro.
Questo principio rimane così a cuore all’ordinamento italiano che viene poi meglio esplicitato anche in singole disposizioni, riproducendone, in sostanza, la regola.
Si pensi all’art. 822, comma 2, del Codice Civile secondo il quale chi ha diritto ai frutti del bene deve rimborsare le spese fatte per la loro produzione ed il loro raccolto.
1.1. Presupposti dell’azione generale di arricchimento
Dunque, possiamo indicare i presupposti dell’azione generale di arricchimento:
- arricchimento di una persona;
- depauperamento di un’altra;
- mancanza di causa che giustifichi il pregiudizio subito;
- il nesso causale tra diminuzione patrimoniale ed arricchimento.
Il nesso di causalità tra l’arricchimento e il depauperamento si intende nel senso di una relazione ben precisa. L’arricchimento di una parte deve essere causato direttamente dal depauperamento dell’altra e il fatto che ha causato l’arricchimento ingiusto deve essere unico.
A tal proposito, infatti, si è espressa la Suprema Corte di Cassazione in una recente sentenza.
L’azione generale di arricchimento, di cui all’art. 2041 del Codice Civile, presuppone che l’arricchimento di un soggetto e la diminuzione patrimoniale a carico di altro soggetto siano provocati da un unico fatto costitutivo e siano entrambi mancanti di causa giustificatrice, potendo il medesimo arricchimento consistere anche in un risparmio di spesa, purché si tratti sempre di risparmio ingiustificato, nel senso che la spesa risparmiata dall’arricchito debba essere da altri sostenuta senza ragione giuridica (Cassazione, sentenza n. 16305/2018).
1.2. Sussidiarietà dell’azione
La sussidiarietà dell’azione di arricchimento, dunque, prevede che se il rimedio tipico esisteva e non sia più adoperabile (ad esempio, per prescrizione o decadenza dall’azione), la tutela perduta non potrà essere recuperata mediante lo strumento dell’ingiustificato arricchimento.
Ciò non impedisce che l’azione possa essere proposta in via subordinata rispetto ad una domanda principale (ad esempio, di adempimento), il che costituisce anzi prassi diffusa nelle aule giudiziarie. Tuttavia, come ben sottolineato da una recente decisione della Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 20871/ 2015), anche in tal caso la domanda risulterà ammissibile soltanto allorquando l’azione tipica dia esito negativo per carenza dell’azione stessa derivante da un difetto del titolo posto a suo fondamento.
Nel nostro ordinamento sono molte le azioni e gli strumenti che tutelano quanto disposto dall’art. 2041 del Codice Civile.
Il rimedio previsto dall’istituto dell’arricchimento senza causa serve a tutelare il soggetto che, nonostante la previsione delle numerose azioni, rimanga sprovvisto di tutela per la peculiarità del suo caso. Proprio per questo motivo, la legge ha pensato a un’azione generale di arricchimento (art. 2041 c.c.), ma l’ha resa esperibile solo se il danneggiato non può esercitare nessun’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito. Dunque, possiamo pacificamente sostenere che l’azione generale di arricchimento prevista dall’art. 2041 del Codice Civile ha natura sussidiaria, dunque può essere esercitata solo se nessun’altra azione è esperibile. Anche la Dottrina e la Giurisprudenza affermano costantemente questo dato, reso poi, tra l’altro, esplicito dall’art. 2042 del Codice Civile.
“L’azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare dal pregiudizio subito.“
1.3. Prescrizione dell’azione
A questo proposito il Codice Civile nulla prescrive.
Nel silenzio legislativo si dovrebbe ritenere utilizzato il termine di prescrizione ordinaria pari a dieci anni, che decorrono dal momento nel quale è avvenuta la condotta con la quale, una persona si è impoverita mentre l’altra si è arricchita, nello stesso momento.
In relazione a una tesi minoritaria, l’azione di arricchimento senza causa può essere esercitata anche quando al fine di fare ricorso vengono utilizzati altri elementi.
I dieci anni dovrebbero decorrere dal momento nel quale l’azione principale è stata prescritta.
1.4. Indennizzo previsto
In tema di arricchimento senza giusta causa, ai fini della quantificazione dell’obbligazione restitutoria deve farsi riferimento al minor valore tra il lucro conseguito e la perdita subita. Invero, l’indennizzo dovuto a chi si è arricchito senza giusta causa a danno di un’altra persona è soggetto ad un duplice limite: quello dell’arricchimento e quello della correlativa diminuzione patrimoniale.
Conseguentemente, non è l’intero arricchimento che la legge prende in considerazione, ma solo quello che corrisponde ad un danno o pregiudizio subito dall’altro soggetto; di contro, non è l’intero pregiudizio subito che può essere sempre risarcito, ma solo quello che corrisponde ad un profitto o vantaggio dell’arricchito.
Quindi, l’indennizzo deve essere contenuto nei limiti della locupletazione, se questa è inferiore all’altrui impoverimento, e nei limiti dell’impoverimento, anche se l’arricchimento sia maggiore.
Di qui, si può notare la differenza sostanziale tra l’indennizzo previsto dall’art. 2041 del Codice Civile e il risarcimento del danno ex art. 2043 del Codice Civile che prevede il ristoro del danno emergente e del lucro cessante.
Nel caso di prestazione svolta da un professionista a favore della P.a. sulla base di un incarico poi revocato, ci si chiede se il diritto all’indennizzo è subordinato al riconoscimento dell’utilità da parte della Pa.
Alla domanda risponde la Corte di Cassazione (sentenza n. 16793/2018) che ha statuito il principio di diritto secondo il quale “il riconoscimento dell’utilitas da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce nei confronti della P.a., ex art. 2041 c.c., ha il solo obbligo di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso”.
2. Indebito arricchimento e arricchimento senza causa
Come visto, la sussidiarietà dell’azione di arricchimento ingiustificato consente di instaurare un parallelismo con l’istituto della ripetizione dell’indebito, nel caso di indebito arricchimento.
Il diritto italiano definisce pagamento dell’indebito “l’esecuzione di una prestazione non dovuta”.
Occorre subito tenere ben distinte due diverse figure di indebito.
Da un lato, la figura dell’indebito oggettivo che si verifica quando viene effettuato un pagamento anche se non esiste, in realtà, alcun debito (art. 2033 del Codice Civile).
L’indebito soggettivo, invece, si ha quando chi non è debitore, credendosi però erroneamente tale, paga al creditore quel che è dovuto a quest’ultimo da un terzo. Colui che paga si deve trovare in errore scusabile, altrimenti deve ritenersi che abbia inteso eseguire il pagamento in sostituzione del debitore (art. 2036 del Codice Civile).
In entrambi i casi chi ha eseguito il pagamento ha diritto di ripetere ciò che ha pagato.
3. La giurisprudenza rilevante in materia di arricchimento senza causa
Chi ha eseguito il pagamento ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda (artt. 2033 e 2036 del Codice Civile).
In particolar modo, seconda la Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 31187/2018), per ottenere la corresponsione degli interessi legali, l’interessato è tenuto a effettuare una specifica richiesta.
La Suprema Corte afferma infatti che “pur avendo colui che ha eseguito un pagamento non dovuto diritto, oltre che alla restituzione delle somme pagate anche alla corresponsione degli interessi legali sulle somme stesse, tuttavia, quando l’interessato agisce in giudizio per la restituzione dell’indebito, non si può prescindere da una specifica richiesta degli interessi, non essendovi alcuna ragione che possa giustificare, a questo proposito, una deroga alla regola generale, secondo la quale il giudice non deve pronunciare oltre i limiti della domanda”.
Dunque, l’interessato deve fare appositamente richiesta degli interessi legali sulle somme pagate, in virtù di una delle regole più importanti del processo civile secondo cui il giudice non può pronunciarsi oltre i limiti della domanda.
Cass. civ. Sez. III Ord., 11/05/2022, n. 14944.
L’azione di arricchimento può essere valutata, se proposta in via subordinata rispetto all’azione contrattuale articolata in via principale, soltanto qualora quest’ultima sia rigettata per un difetto del titolo posto a suo fondamento, ma non anche nel caso in cui sia stata proposta una domanda ordinaria, fondata su titolo contrattuale, senza offrire prove sufficienti al relativo accoglimento. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso l’ammissibilità dell’azione di arricchimento sul presupposto che la stessa fosse stata esercitata in via subordinata rispetto ad un’azione contrattuale respinta per carenza di prova, mentre invece nessuna azione contrattuale era stata esercitata nei riguardi delle parti destinatarie dell’azione ex art. 2041 c.c.).
Cass. civ. Sez. II Ord., 16/02/2022, n. 5086.
In favore del convivente “more uxorio” che abbia realizzato a sue spese opere sull’immobile di proprietà del partner e che, cessata la convivenza, pretenda di essere indennizzato per le spese sostenute ed il lavoro compiuto, trova applicazione non l’art. 936 c.c., che ha riguardo solo all’autore delle opere che non abbia con il proprietario del fondo alcun rapporto giuridico di natura reale o personale che gli attribuisca la facoltà di costruire sul suolo, bensì la disposizione di cui all’art. 2041 c.c. sull’arricchimento senza causa, purché si accerti, tenuto conto dell’entità delle opere in base alle condizioni personali e patrimoniali dei partners, che le spese erano state sostenute ed il lavoro era stato compiuto senza spirito di liberalità, in vista di un progetto di vita comune, e che, realizzando quelle opere, il convivente non aveva intenzione di adempiere ad alcuna obbligazione naturale.
Cass. civ. Sez. V Sent., 25/01/2022, n. 2040.
L’indennità dovuta a titolo di indebito arricchimento, prevista dall’art. 2042 c.c. e liquidata con sentenza, a seguito di azione ex art. 2041 c.c., nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dalla parte nell’erogazione della prestazione, esula dall’ambito di applicazione dell’I.V.A., per mancanza del presupposto oggettivo, non sussistendo un nesso diretto ed immediato tra la prestazione e l’indennizzo medesimo, il quale si pone fuori da un rapporto sinallagmatico ed ha, piuttosto, la funzione di compensare il pregiudizio economico di chi ha effettuato la prima, in tal modo impoverendosi, con la reintegra del patrimonio nei limiti di tale impoverimento, riequilibrando, così, l’incremento patrimoniale dell’arricchito.
Cass. civ. Sez. III Ord., 16/12/2021, n. 40473.
L’attività svolta nell’ambito delle scuole di specializzazione da laureati “non medici” (ossia, laureati in discipline diverse dalla medicina, benché relative all’area sanitaria, quali biochimica clinica, microbiologia e virologia, patologia clinica, farmacologia medica) ha come corrispettivo la fruizione dell’attività formativa ed è espletata in base ad una “giusta causa”, secondo la disciplina della legge e in forza non già di un obbligo di iscrizione, ma di una scelta libera del personale non medico, sicché non può configurarsi alcun indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. in favore delle università che gestiscono dette scuole di specializzazione.
Cass. civ. Sez. III Sent., 22/10/2021, n. 29672.
L’azione di ingiustificato arricchimento di cui all’art. 2041 c.c., per la sua natura complementare e sussidiaria, può essere proposta solo quando ricorrano due presupposti: a) la mancanza di un titolo specifico idoneo a far valere il diritto di credito; b) l’unicità del fatto causativo dell’impoverimento sussistente quando la prestazione resa dall’impoverito sia andata a vantaggio dell’arricchito e lo spostamento patrimoniale non risulti determinato da fatti distinti, incidenti su due situazioni diverse e in modo indipendente l’uno dall’altro, con conseguente esclusione dei casi di arricchimento cd. “indiretto”, nei quali l’arricchimento è realizzato da persona diversa rispetto a quella cui era destinata la prestazione dell’impoverito. Tuttavia, avendo l’azione di ingiustificato arricchimento uno scopo di equità, il suo esercizio deve ammettersi anche nel caso di arricchimento indiretto nei soli casi in cui lo stesso sia stato realizzato dalla P.A., in conseguenza della prestazione resa dall’impoverito ad un ente pubblico, ovvero sia stato conseguito dal terzo a titolo gratuito.
In ipotesi di arricchimento cd. “indiretto”, l’azione ex art. 2041 c.c. è esperibile soltanto contro il terzo che abbia conseguito l’indebita locupletazione nei confronti dell’istante in forza di rapporto gratuito (ovvero di fatto) con il soggetto obbligato verso il depauperato, resosi insolvente nei riguardi di quest’ultimo.
Cass. civ. Sez. III Ord., 26/07/2021, n. 21371.
In tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all’assenza di un valido contratto di appalto di opere, tra la P.A. ed un privato, l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace; pertanto, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto, non può farsi ricorso alla revisione prezzi, tendente ad assicurare al richiedente quanto si riprometteva cui ricavare dall’esecuzione del contratto, la quale, non può costituire neppure un mero parametro di riferimento, trattandosi di meccanismo sottoposto dalla legge a precisi limiti e condizioni, pur sempre a fronte di un valido contratto di appalto.
Cass. civ. Sez. III Ord., 11/03/2021, n. 6827.
La sussistenza del requisito del depauperamento, richiesto dall’art. 2041 c.c. come presupposto per l’esercizio dell’azione generale di arricchimento, richiede la dimostrazione che il convenuto non ha alcun titolo per giovarsi di quanto corrisponde alla perdita patrimoniale, subita dall’istante senza la propria volontà e senza un’adeguata esplicita causa giuridica; pertanto, il diritto all’indennizzo non può essere riconosciuto se il depauperamento è giustificato da una ragione giuridica, come quando sia avvenuto per una spesa fatta dall’istante nel proprio esclusivo interesse, sia pure con indiretta utilità altrui. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che, in riforma di quella di primo grado, aveva negato il diritto all’indennizzo preteso da una società per i lavori di adeguamento compiuti su un immobile, requisitole dal Comune, per consentirvi la continuazione dell’attività didattica, avuto riguardo alla circostanza che, pur non risultando formalizzato tra le parti alcun rapporto contrattuale, tuttavia era stata accertata, all’esito di CTU, la congruità del canone di locazione corrisposto dall’ente con riferimento alla nuova destinazione).
Cass. civ. Sez. III Ord., 09/02/2021, n. 3127.
Nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di appello che aveva ritenuto inammissibile, in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la domanda ex art. 2041 c.c. avanzata, in via subordinata, con la memoria prevista dall’art. 183, comma 6, c.p.c., nei confronti di una ASL per il pagamento di somme relative ad attività di pronto soccorso, terapia intensiva e servizio di urgenza e emergenza medica cd. SUEM).
Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 09/02/2021, n. 3058.
La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa integra, rispetto a quella di adempimento contrattuale originariamente formulata, una domanda nuova ed è, come tale, inammissibile se proposta per la prima volta in appello, ostandovi l’espresso divieto previsto dall’art. 345 c.p.c..
Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 26/01/2021, n. 1708.
In ipotesi di “arricchimento indiretto”, l’azione ex art. 2041 c.c. è esperibile contro il terzo a condizione che l’indebita locupletazione sia stata conseguita in forza di un rapporto di fatto (e dunque gratuitamente) con l’istante e che il soggetto obbligato verso il depauperato si sia reso insolvente nei riguardi di quest’ultimo, dovendosi intendere l'”insolvenza” come mancato adempimento e non nel senso tecnico di cui alla legge fallimentare. (Nella specie, la S.C. ha confermato il rigetto della domanda di arricchimento senza causa avanzata nei confronti di terzi, ritenendo che la dichiarazione di fallimento del soggetto obbligato non costituisse insolvenza nel senso indicato, potendo il creditore esercitare l’azione verso il fallito attraverso l’insinuazione al passivo fallimentare).
Cass. civ. Sez. II Sent., 18/06/2020, n. 11803.
In tema di azione di ingiustificato arricchimento, l’obbligo indennitario dell’amministrazione non sorge con la compiuta realizzazione dell’opera in conformità al progetto, ma in virtù del dato oggettivo dell’utilizzazione della prestazione, che avviene nel momento in cui l’elaborato progettuale viene acquisito dalla pubblica amministrazione e comunque da essa adoperato; detto momento segna il “dies a quo” per la decorrenza della prescrizione dell’azione, non rilevando a tal fine il riconoscimento soggettivo dell'”utilitas” da parte dell’ente.
Cass. civ. Sez. I Ord., 26/02/2020, n. 5130.
L’art. 191 del d.lgs. n. 267 del 2000 prevede un rapporto obbligatorio diretto tra il fornitore e il funzionario che ha consentito, in violazione delle regole contabili, l’acquisizione di beni o servizi in favore dell’ente pubblico, così escludendo la possibilità di esperire nei confronti di quest’ultimo l’azione sussidiaria di ingiustificato arricchimento, ma tale norma riguarda esclusivamente gli enti locali, elencati nell’art. 2 del citato d.lgs., non essendo suscettibile di applicazione analogica perché di natura eccezionale, sicché ove le prestazioni siano state eseguite in favore di enti pubblici diversi, il fornitore, non avendo a disposizione altre azioni, può agire ex art. 2041 c.c. nei confronti degli enti stessi.
Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 24/06/2020, n. 12405.
L’azione generale di arricchimento postula che la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro sia avvenuta senza giusta causa, sicché quando essa sia la conseguenza di un contratto o comunque di un altro rapporto non può dirsi che la causa manchi o sia ingiusta, almeno fino a quando il contratto o il diverso rapporto conservino rispetto alle parti e ai loro aventi causa la propria efficacia obbligatoria. (Fattispecie in tema di accordo transattivo su indennità per la perdita dell’avviamento).
Cass. civ. Sez. III Sent., 17/01/2020, n. 843.
Presupposto per proporre l’azione di ingiustificato arricchimento è la mancanza, accertabile anche di ufficio, di un’azione tipica, tale dovendo intendersi non ogni iniziativa processuale ipoteticamente esperibile, ma esclusivamente quella derivante da un contratto o prevista dalla legge con riferimento ad una fattispecie determinata, pur se proponibile contro soggetti diversi dall’arricchito. Ne consegue che è ammissibile l’azione di arricchimento quando l’azione, teoricamente spettante all’impoverito, sia prevista da clausole generali, come quella risarcitoria per responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Cass. civ. Sez. I Ord., 29/05/2019, n. 14670.
La diminuzione patrimoniale (“depauperatio”) subita dall’autore di una prestazione d’opera in favore della P.A., in assenza di un contratto valido ed efficace, da compensare ai sensi dell’art. 2041 c.c., non può essere fatta coincidere con la misura del compenso calcolato mediante il parametro della tariffa professionale e nel rispetto dei fattori di importanza dell’opera e del decoro della professione (art. 2233 c.c.) ma, oltre ai costi ed esborsi sopportati (danno emergente), deve comunque ricomprendere quanto necessario a ristorare il sacrificio di tempo, nonché di energie mentali e fisiche del professionista (lucro cessante), del cui valore si deve tener conto in termini economici, al netto della percentuale di guadagno. A causa della difficoltà di determinazione del suo preciso ammontare, l’indennizzo può formare oggetto di una valutazione di carattere equitativo ai sensi dell’art. 1226 c.c., anche officiosa.
Cass. civ. Sez. III Ord., 14/05/2019, n. 12702.
In tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A. conseguente alla prestazione resa da un professionista in assenza di un valido contratto (nella specie, incarico di progettazione e direzione dei lavori per le opere di costruzione di un edificio scolastico comunale), l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale (“detrimentum”) dal medesimo subita nell’erogazione della prestazione, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di profitto (“lucro cessante”) se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto, aveva assunto la parcella del professionista, redatta sulla base delle tariffe professionali e reputata congrua dal C.T.U., quale parametro comparativo dal quale desumere soltanto gli elementi di costo delle attività effettivamente svolte, decurtando poi la somma del 15% per escludere il riconoscimento del lucro cessante).
Cass. civ. Sez. III Ord., 24/04/2019, n. 11209.
Il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso; tuttavia, le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della P.A. trovano adeguata tutela nel principio di diritto comune del cd. “arricchimento imposto”, potendo, invece, l’Amministrazione eccepire e provare che l’indennizzo non è dovuto laddove l’arricchito ha rifiutato l’arricchimento ovvero non ha potuto rifiutarlo perché inconsapevole dell'”eventum utilitatis”. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza gravata che aveva riconosciuto all’appaltatrice l’indennizzo per indebito arricchimento per prestazioni sanitarie fornite oltre il tetto di spesa fissato dalla P.A.).
Cass. civ. Sez. III Ord., 09/04/2019, n. 9809.
In tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all’assenza di un valido contratto d’opera professionale, ai fini della determinazione dell’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. non può essere assunta, quale valido parametro di riferimento, la parcella del professionista, ancorché vistata dall’ordine professionale, trattandosi di individuare non già il corrispettivo contrattuale per l’esecuzione di prestazioni professionali, ma un importo che deve essere liquidato, alla stregua delle risultanze processuali, se ed in quanto si sia verificato un vantaggio patrimoniale a favore della P.A., con correlativa perdita patrimoniale della controparte.
Cass. civ. Sez. III Sent., 04/04/2019, n. 9317.
In tema di azione generale di arricchimento, l’indennizzo dovuto al professionista che abbia svolto la propria attività in favore della pubblica amministrazione, ma in difetto di un contratto scritto, non può essere determinato in base alla tariffa professionale, neppure indirettamente quale parametro del compenso che il professionista avrebbe potuto ottenere se avesse svolto la sua opera a favore di un privato, né in base all’onorario che la P.A. avrebbe dovuto pagare, se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto di un contratto valido.
Cass. civ. Sez. I Ord., 21/11/2018, n. 30109.
In tema di assunzione di obbligazioni da parte degli enti locali, qualora le obbligazioni siano state assunte senza un previo contratto e senza l’osservanza dei controlli contabili relativi alla gestione dello stesso, al di fuori delle norme c.d. ad evidenza pubblica, insorge un rapporto obbligatorio direttamente tra chi abbia fornito la prestazione e l’amministratore o il funzionario inadempiente che l’abbia consentita. Ne consegue che, potendo il terzo interessato agire nei confronti del funzionario, per la mancanza dell’elemento della sussidiarietà, non è ammissibile l’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti dell’ente locale il quale può soltanto riconoscere “a posteriori”, ex art. 194 d. lgs. n. 267 del 2000 – nei limiti dell’utilità dell’arricchimento puntualmente dedotto e dimostrato – il debito fuori bilancio. Tale riconoscimento deve avvenire espressamente, con apposita deliberazione dell’organo competente, e non può essere desunto dal mero comportamento degli organi rappresentativi dell’ente, insufficiente ad esprimere un apprezzamento di carattere generale in ordine alla conciliabilità dei relativi oneri con gli indirizzi di fondo della gestione economico – finanziaria dell’ente e con le scelte amministrative.
Cass. civ. Sez. I Ord., 20/11/2018, n. 29988.
L’azione di ingiustificato arricchimento è contraddistinta da un carattere di residualità che ne postula l’inammissibilità ogni qualvolta il danneggiato, per farsi indennizzare del pregiudizio subito, possa esercitare, tanto contro l’arricchito che nei confronti di una diversa persona, altra azione, secondo una valutazione da compiersi in astratto e prescindendo, quindi, dal relativo esito. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto improponibile l’azione d’ingiustificato arricchimento da parte di un’impresa di pulizie nei confronti di un Comune, sul presupposto della riconosciuta esperibilità, ex art. 23 del d.l. n. 66 del 6 marzo 1989, conv. in l. n. 144 del 1989, dell’azione nei confronti dei singoli funzionari responsabili dell’acquisizione del servizio, che pure aveva sortito in concreto esito infruttuoso per essere stata rivolta nei confronti di soggetti giudicati non responsabili, avuto riguardo alle prestazioni rese dall’impresa).
Cass. civ. Sez. I Ord., 25/10/2018, n. 27124.
La domanda di arricchimento senza causa è inammissibile, ove proposta dall’opposto nel giudizio incardinato ai sensi dell’art. 645 c.p.c. avverso il decreto ingiuntivo dallo stesso conseguito per il pagamento di prestazioni professionali, non potendo egli far valere in tale sede domande nuove, rispetto a quella di adempimento contrattuale posta alla base della richiesta di provvedimento monitorio, salvo quelle conseguenti alla domande ed alle eccezioni in senso stretto proposte dall’opponente, determinanti un ampliamento dell’originario “thema decidendum” fissato dal ricorso ex art. 633 c.p.c. . (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza con la quale la corte d’appello aveva escluso che, nel caso di decreto ingiuntivo ottenuto per il pagamento di prestazioni professionali, la proposizione, da parte dell’opponente, delle sole eccezioni di inesigibilità e prescrizione del credito avessero comportato l’introduzione di nuovi temi di indagine, tali da legittimare la proposizione di una nuova domanda, di arricchimento senza causa, da parte degli opposti).
Cass. civ. Sez. Unite Sent., 13/09/2018, n. 22404.
Nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale è ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c., qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta.
Cass. civ. Sez. III Ord., 07/06/2018, n. 14732.
L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale. È, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente “more uxorio” nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto operante il principio dell’indebito arricchimento in relazione ai conferimenti di denaro e del proprio tempo libero, impegnato in ore di lavoro per la costruzione della casa che doveva essere la dimora comune, effettuati da uno dei due partner in vista della instaurazione della futura convivenza, atteso che la volontarietà del conferimento non era indirizzata a vantaggio esclusivo dell’altro partner – che se ne è giovato dopo scioglimento del rapporto sentimentale in ragione della proprietà del terreno e del principio dell’accessione – e pertanto non costituiva né una donazione né un’attribuzione spontanea).
Cass. civ. Sez. II Ord., 14/05/2018, n. 11682.
L’azione di arricchimento può essere valutata, se proposta in via subordinata rispetto all’azione contrattuale articolata in via principale, soltanto qualora quest’ultima sia rigettata per un difetto del titolo posto a suo fondamento, ma non anche nel caso in cui sia stata proposta domanda ordinaria, fondata su titolo contrattuale, senza offrire prove sufficienti all’accoglimento.
Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 09/05/2018, n. 11038.
Il carattere sussidiario dell’azione di indebito arricchimento comporta che essa non possa essere esperita, non soltanto quando sussista un’altra azione tipica esperibile dal danneggiato nei confronti dell’arricchito, ma anche quando vi sia originariamente un’azione sperimentabile contro persone diverse dall’arricchito che siano obbligate per legge o per contratto, secondo una valutazione da compiersi, anche d’ufficio, in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non esperibile l’azione di indebito arricchimento nei confronti di un Comune da parte dell’assuntore del servizio di custodia di auto rimosse e non ritirate, attesa la possibilità per quest’ultimo di procedere al recupero dei crediti nei confronti dei proprietari delle medesime auto).
Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 03/11/2017, n. 26199.
L’azione generale di arricchimento ingiustificato ,avendo natura sussidiaria, può essere esercitata solo quando manchi un titolo specifico sul quale fondare un diritto di credito, con la conseguenza che il giudice, anche d’ufficio, deve accertare che non sussista altra specifica azione per le restituzioni ovvero per l’indennizzo del pregiudizio subito, contro lo stesso soggetto arricchito o contro soggetti terzi (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva respinto la domanda di ingiustificato arricchimento in relazione ad un servizio pubblico a favore di un comune, stante la possibilità di agire nei confronti del dipendente o dell’amministratore dell’ente che aveva consentito l’espletamento).
Cass. civ. Sez. I Sent., 22/11/2017, n. 27827.
Presupposto per proporre l’azione di ingiustificato arricchimento è la mancanza di una azione tipica, tale dovendo intendersi, non ogni iniziativa processuale ipoteticamente esperibile, ma esclusivamente quella che deriva da un contratto o quella che sia prevista dalla legge con riferimento ad una fattispecie determinata (Nella specie, la S.C. ha cassato la pronuncia d’inammissibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento, intrapresa da una società finanziaria nei confronti di un Comune, in ragione della rilevata esperibilità di un’azione risarcitoria diretta nei confronti del funzionario negligente, ritenendo incerta,anche in astratto, l’esperibilità della predetta azione).
Cass. civ. Sez. I Sent., 27/06/2017, n. 15937.
Il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso; tuttavia, le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della P.A. trovano adeguata tutela nel principio di diritto comune del cd. “arricchimento imposto”, potendo, invece, l’Amministrazione eccepire e provare che l’indennizzo non è dovuto laddove l’arricchito ha rifiutato l’arricchimento ovvero non ha potuto rifiutarlo perché inconsapevole dell'”eventum utilitatis”. (In applicazione del superiore principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso l’indennizzo per indebito arricchimento per l’esecuzione, da parte dell’appaltatore, di opere aggiuntive in assenza di qualsiasi richiesta o autorizzazione e, quindi, in violazione di uno specifico precetto normativo).
Cass. civ. Sez. I Sent., 04/01/2017, n. 80.
Il funzionario pubblico che abbia attivato un impegno di spesa per l’ente locale senza l’osservanza dei controlli contabili relativi alla gestione dello stesso (ossia al di fuori dello schema procedimentale previsto dalle norme cd. di evidenza pubblica), risponde – ai sensi dell’art. 23, comma 4, del d.l. n. 66 del 1989, conv., con modif., dalla l. n. 144 del 1989 – degli effetti di tale attività di spesa verso il terzo contraente, il quale è, pertanto, tenuto ad agire direttamente e personalmente nei suoi confronti e non già in danno dell’ente, essendo preclusa anche l’azione di ingiustificato arricchimento per carenza del necessario requisito della sussidiarietà, che è esclusa quando esista altra azione esperibile non solo contro l’arricchito, ma anche verso persona diversa. Né può ipotizzarsi una responsabilità dell’ente ex art. 28 Cost., in quanto tale norma presuppone che l’attività del funzionario sia riferibile all’ente medesimo, mentre la violazione delle regole contabili determina una frattura del rapporto di immedesimazione organica con la pubblica amministrazione.
Cass. civ. Sez. I Sent., 19/10/2016, n. 21190.
La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa integra, rispetto a quella di adempimento contrattuale originariamente formulata, una domanda nuova ed è, come tale, inammissibile se proposta per la prima volta in appello, ostandovi l’espresso divieto previsto dall’art. 345 c.p.c.
Cass. civ. Sez. III Sent., 06/10/2015, n. 19886.
L’indennizzo per ingiustificato arricchimento dovuto al professionista che abbia svolto la propria attività a favore della P.A., ma in difetto di un contratto scritto, non può essere determinato in base alla tariffa professionale che avrebbe potuto ottenere se avesse svolto la sua opera a favore di un privato, né in base all’onorario che la P.A. avrebbe dovuto pagare se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto d’un contratto valido.
Cass. civ. Sez. III Sent., 23/09/2015, n. 18804.
In materia di arricchimento senza causa, ai fini della determinazione giudiziale dell’indennizzo previsto dall’art. 2041 c.c. trovano applicazione i principi sanciti dagli artt. 1226 e 2056 c.c. in relazione alla liquidazione del danno in via equitativa, a mente dei quali, affinché il giudice possa provvedere discrezionalmente alla liquidazione, è necessario che il soggetto interessato provi che sia obiettivamente impossibile o particolarmente difficile dimostrare il danno nel suo preciso ammontare.
Cass. civ. Sez. Unite Sent., 26/05/2015, n. 10798.
Il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, esso potendo, invece, eccepire e provare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di “arricchimento imposto”.
Cass. civ. Sez. III Sent., 07/11/2014, n. 23780.
In tema di azione di indebito arricchimento, conseguente all’assenza di un valido contratto (nella specie, avente ad oggetto prestazioni a favore di degente ricoverato in casa di cura), l’indennità prevista dall’art. 2041 cod. civ. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dalla parte nell’erogazione della prestazione e non in misura coincidente con il mancato guadagno che la stessa avrebbe potuto trarre dall’instaurazione di una valida relazione contrattuale (individuabile, nella specie, in base alle tariffe contrattuali di degenza).
Cass. civ. Sez. I Sent., 05/07/2013, n. 16820.
Ai fini dell'”utile versum” dell’azione di arricchimento senza causa, proposta, ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., nei confronti della P.A., non rileva l’utilità che l’ente confidava di realizzare, bensì quella che ha in effetti conseguito e che, quando la prestazione eseguita in suo favore sia di carattere professionale, quale la redazione del progetto di un’opera pubblica, può consistere anche nell’avere evitato un esborso o una diversa diminuzione patrimoniale cui, invece, sarebbe stato necessario far fronte ove fosse mancata la possibilità di disporre del risultato della prestazione medesima. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata secondo cui l’incontroverso utilizzo del valutato ed approvato progetto di un’opera pubblica viaria, a necessario corredo della richiesta di finanziamento pubblico, era sufficiente a far concludere per l’utilità della prestazione resa dal professionista, non essendo nemmeno emerso che la mancata realizzazione dell’opera fosse correlata ad inidoneità progettuali, restando irrilevanti le successive determinazioni amministrative di non dare più corso, per ragioni rimaste ignote, alla già prevista e progettata opera).
Cass. civ. Sez. I Sent., 18/04/2013, n. 9486.
La natura sussidiaria dell’azione di arricchimento senza causa costituisce un presupposto della domanda, richiesto dalla legge, pertanto, tale condizione, non integrando un’eccezione in senso stretto, può essere rilevata d’ufficio dal giudice, nei limiti in cui la circostanza risulti da elementi di fatto già acquisiti nel giudizio, ed è proponibile per la prima volta anche nel giudizio di appello, non operando il divieto di “ius novorum” posto dall’art. 345 cod. proc. civ., inapplicabile per le eccezioni rilevabili d’ufficio.
In tema di azione per indebito arricchimento nei confronti della P.A., il riconoscimento dell’utilità dell’opera e la configurabilità stessa di un arricchimento restano affidati a una valutazione discrezionale della sola P.A. beneficiaria, unica legittimata – mediante i suoi organi amministrativi o tramite quelli cui è istituzionalmente devoluta la formazione della sua volontà – ad esprimere il relativo giudizio, che presuppone il ponderato apprezzamento circa la rispondenza, diretta o indiretta, dell’opera al pubblico interesse, senza che possa operare in via sostitutiva la valutazione di amministrazioni terze, pur se interessate alla prestazione, né di un qualsiasi altro soggetto dell’amministrazione beneficiaria. Tale riconoscimento può essere esplicito o implicito, occorrendo, in quest’ultimo caso, che l’utilizzazione dell’opera sia consapevolmente attuata dagli organi rappresentativi dell’ente, in quanto la differenza tra le due forme di riconoscimento sta solo nel fatto che la prima è contenuta in una dichiarazione espressa, mentre la seconda si ricava da un comportamento di fatto, tale da far concludere che il suo autore abbia inteso conseguire uno specifico risultato.
Cass. civ. Sez. III Sent., 09/04/2013, n. 8582.
La domanda di arricchimento senza causa è inammissibile, ove proposta dall’opposto nel giudizio incardinato ai sensi dell’art. 645 cod. proc. civ. avverso il decreto ingiuntivo dallo stesso conseguito per il pagamento di prestazioni professionali, non potendo egli far valere in tale sede domande nuove rispetto a quella di adempimento contrattuale posta alla base della richiesta di provvedimento monitorio, salvo quelle conseguenti alla domande ed alle eccezioni in senso stretto proposte dall’opponente, determinanti un ampliamento dell’originario “thema decidendum” fissato dal ricorso ex art. 633 cod. proc. civ.
Cass. civ. Sez. II Sent., 22/03/2012, n. 4620.
Presupposto per proporre l’azione di ingiustificato arricchimento è la mancanza di una azione tipica, per tale dovendosi intendere o quella che deriva da un contratto, o quella che sia prevista dalla legge con riferimento ad una fattispecie determinata. Ne consegue che è ammissibile l’azione di arricchimento quando l’azione, teoricamente spettante all’impoverito, sia prevista da clausole generali, come la domanda di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale.
Cass. civ. Sez. II Sent., 07/03/2012, n. 3602.
La domanda di arricchimento senza causa nei confronti dei partecipanti ad un’associazione non riconosciuta, ivi compreso il rappresentante della stessa, e la domanda diretta a far valere la responsabilità personale ed accessoria di colui che ha agito in nome e per conto dell’ente, quali azioni che riguardano entrambe diritti eterodeterminati, si differenziano sia quanto alla “causa petendi” (nella prima rilevando come fatti costitutivi la presenza e l’entità del proprio impoverimento e dell’altrui arricchimento, e nella seconda l’essere stata svolta attività negoziale in nome e per conto dell’associazione, responsabile in via primaria per l’adempimento del contratto), sia quanto al “petitum” (pagamento dell’indennizzo o del corrispettivo pattuito). Ne consegue che, promossa, da parte di un appaltatore, azione di arricchimento senza causa nei confronti dei partecipanti all’associazione, per avere costoro usufruito delle opere realizzate in esecuzione dell’appalto, non può ritenersi proposta per implicito, nei confronti di chi ha agito per l’associazione, la domanda fondata sulla garanzia “ex lege” di cui all’art. 38 cod. civ., né è consentito al giudice di sostituire la pretesa di arricchimento senza causa con la diversa domanda diretta a far valere detta garanzia.
Cass. civ. Sez. I Sent., 29/09/2011, n. 19942.
Qualora, per lo svolgimento di un’attività professionale, debba essere riconosciuto un indennizzo per arricchimento senza causa ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., la quantificazione dell’indennizzo medesimo può essere effettuata utilizzando la tariffa professionale come parametro di valutazione, per desumere il risparmio conseguito dalla P.A. committente rispetto alla spesa cui essa sarebbe andata incontro nel caso di incarico professionale contrattualmente valido.
Cass. civ. Sez. Unite Sent., 27/12/2010, n. 26128.
Le domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, quali azioni che riguardano entrambe diritti eterodeterminati, si differenziano, strutturalmente e tipologicamente, sia quanto alla “causa petendi” (esclusivamente nella seconda rilevando come fatti costitutivi la presenza e l’entità del proprio impoverimento e dell’altrui locupletazione, nonché, ove l’arricchito sia una P.A., il riconoscimento dell’utilitas da parte dell’ente), sia quanto al “petitum” (pagamento del corrispettivo pattuito o indennizzo). Ne consegue che, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo – al quale si devono applicare le norme del rito ordinario, ai sensi dell’art. 645, secondo comma, e, dunque, anche l’art. 183, quinto comma, cod. proc. civ. – è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con la comparsa di costituzione e risposta dall’opposto (che riveste la posizione sostanziale di attore) soltanto qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione, un ulteriore tema di indagine, tale che possa giustificare l’esame di una situazione di arricchimento senza causa. In ogni altro caso, all’opposto non è consentito di proporre, neppure in via subordinata, nella comparsa di risposta o successivamente, un’autonoma domanda di arricchimento senza causa, la cui inammissibilità è rilevabile d’ufficio dal giudice.
Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 16/12/2010, n. 25461.
L’azione di arricchimento senza causa ha carattere sussidiario ed è quindi inammissibile, ai sensi dell’art. 2042 cod. civ., allorché chi la eserciti, secondo una valutazione da compiersi in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito, possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito. (Nella specie, il ricorrente assumeva di aver diritto ad un indennizzo per aver svolto, a favore di una società, attività di confezionamento e vendita a terzi di prodotti ortofrutticoli; la S.C., nel rilevare che la prestazione dedotta era tipicamente lavorativa, ha ritenuto che il ricorrente avrebbe potuto, al fine di conseguire il preteso compenso, esperire le ordinarie azioni a tutela del rapporto di lavoro, senza che assumesse rilievo, a fronte dell’esecuzione di fatto della prestazione, che non fosse intervenuto un contratto scritto di lavoro, fermo restando che, ove l’attività fosse stata resa “donationis causa”, non era riconoscibile alcun indennizzo).
Cass. civ. Sez. I, 12/02/2010, n. 3322.
L’azione generale di arricchimento senza causa nei confronti della P.A. presuppone, oltre al fatto materiale dell’esecuzione di una prestazione economicamente vantaggiosa per l’ente pubblico, anche il riconoscimento dell’utilità della stessa da parte dell’ente, il quale può avvenire anche in modo implicito, cioè mediante l’utilizzazione dell’opera o della prestazione secondo una destinazione oggettivamente rilevabile ed equivalente nel risultato ad un esplicito riconoscimento di utilità, posta in essere senza il rispetto delle prescritte formalità da parte di detto organo, ovvero in comportamenti di quest’ultimo dai quali si desuma inequivocabilmente un giudizio positivo circa il vantaggio dell’opera o della prestazione ricevuta dall’ente rappresentato. (Fattispecie relativa alla realizzazione di opere di urbanizzazione in eccedenza rispetto ad un piano di lottizzazione, in cui la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva rigettato la domanda d’indennizzo per l’assenza del riconoscimento della pubblica utilità, ritenendo che a tal fine la P.A. avrebbe dovuto certificare la rispondenza diretta o indiretta di dette opere ai programmi o ai servizi pubblici, anche in termini di vantaggio economico, essendo, invece, emerso che esse erano state effettuate nello specifico ed esclusivo interesse dell’attore).
Cass. civ. Sez. III Sent., 23/06/2009, n. 14646.
Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, emesso per il pagamento di somme a titolo di corrispettivo di forniture in favore di un ente pubblico territoriale, la proposizione da parte dell’opposto dell’azione di arricchimento senza causa, in via subordinata rispetto alla domanda principale, al fine di contrastare le eccezioni dell’opponente, senza immutazione o alterazione del fatto costitutivo del diritto dedotto in giudizio, non costituisce “mutatio libelli”, ma semplice “emendatio”, sicché non viola il divieto di domande nuove, previsto dagli artt. 183 e 184 cod. proc. civ.
Cass. civ. Sez. III Sent., 15/05/2009, n. 11330.
L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale. È, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente “more uxorio” nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza.
Cass. civ. Sez. II Sent., 02/04/2009, n. 8040.
Poiché la funzione dell’azione di indebito arricchimento è l’eliminazione di uno squilibrio determinatosi senza giusta causa, a seguito del conseguimento di una utilità economica da parte di un soggetto con relativa diminuzione patrimoniale di un altro soggetto, l’esercizio della stessa non trova impedimento – bensì giustificazione – nell’accertamento della non proponibilità dell’azione contrattuale derivante dalla nullità del titolo che ne costituisce il fondamento; ne consegue che tale azione può essere proposta dall’appaltatore che non abbia ricevuto, in tutto o in parte, il corrispettivo pattuito a causa della nullità del contratto di appalto avente ad oggetto la realizzazione di un’opera senza la prescritta concessione edilizia, non potendosi escludere la locupletazione del committente in ragione della precarietà del suo diritto dominicale sull’immobile abusivamente costruito, cioè della possibilità di provvedimenti autoritativi di demolizione dello stesso, dovendosi comunque tener conto dell’impiego che egli ne abbia eventualmente fatto nonostante quella precarietà e delle utilità economiche che ne abbia ricavato.
Cass. civ. Sez. Unite Sent., 27/01/2009, n. 1875.
In tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all’assenza di un valido contratto di appalto d’opera tra la P.A. ed un professionista, l’indennità prevista dall’art. 2041 cod. civ. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace. Pertanto, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto al professionista che partecipi, in assenza di valido contratto, ad una commissione comunale per l’affidamento di determinati lavori, non possono essere assunte come parametro le tariffe professionali (ancorché richiamate da parcelle vistate dall’ordine competente), alle quali può ricorrersi solo quando le prestazioni siano effettuate dal professionista in base un valido contratto d’opera con il cliente, mentre è congruo il riferimento alle somme previste per i “gettoni di presenza” spettanti ai componenti di commissione (nella specie ai sensi del d.P.R. 11 gennaio 1956, n. 5).
Cass. civ. Sez. Unite Sent., 25/11/2008, n. 28042.
L’azione di arricchimento senza causa ha carattere sussidiario ed è quindi inammissibile, ai sensi dell’art. 2042 cod. civ., allorché chi la eserciti, secondo una valutazione da compiersi in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito, possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito. (Principio affermato dalle S.U. in materia di revisione del prezzo nell’appalto di opere pubbliche, potendo l’appaltatore far valere la propria pretesa con apposita azione avanti all’A.G.O. o al G.A., a seconda che la situazione giuridica azionata sia configurabile quale diritto soggettivo o interesse legittimo).
Cass. civ. Sez. Unite Sent., 08/10/2008, n. 24772.
L’azione di ingiustificato arricchimento di cui all’art. 2041 cod. civ. può essere proposta solo quando ricorrano due presupposti: (a) la mancanza di qualsiasi altro rimedio giudiziale in favore dell’impoverito; (b) la unicità del fatto causativo dell’impoverimento sussistente quando la prestazione resa dall’impoverito sia andata a vantaggio dell’arricchito, con conseguente esclusione dei casi di cosiddetto arricchimento indiretto, nei quali l’arricchimento è realizzato da persona diversa rispetto a quella cui era destinata la prestazione dell’impoverito. Tuttavia, avendo l’azione di ingiustificato arricchimento uno scopo di equità, il suo esercizio deve ammettersi anche nel caso di arricchimento indiretto nei soli casi in cui lo stesso sia stato realizzato dalla P.A., in conseguenza della prestazione resa dall’impoverito ad un ente pubblico, ovvero sia stato conseguito dal terzo a titolo gratuito.
Cass. civ. Sez. II Sent., 31/01/2008, n. 2312.
L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché, qualora essa sia invece conseguenza di un contratto o di altro rapporto compiutamente regolato, non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la possibilità di configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte dell’acquirente per l’esistenza, nel contratto di vendita di un immobile, di una specifica clausola, consapevolmente accettata dal venditore, che escludeva ogni possibilità di aumento del prezzo convenuto).
Cass. civ. Sez. I Sent., 02/08/2007, n. 17007.
La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa e quella di adempimento contrattuale non sono intercambiabili, non costituendo articolazioni di un’unica matrice, ma riguardando diritti per l’individuazione dei quali è indispensabile il riferimento ai rispettivi fatti costitutivi, i quali divergono tra loro, identificando due diverse entità: nel primo caso, infatti, l’attore non solo chiede un bene giuridico diverso, e cioè un indennizzo in luogo del corrispettivo pattuito, ma introduce nel giudizio gli elementi costitutivi di una diversa situazione giuridica, consistenti nel proprio depauperamento con altrui arricchimento e nel riconoscimento dell’utilità della prestazione, che sono privi di rilievo nel rapporto contrattuale. La sostituzione, nel corso del giudizio di primo grado, della domanda di adempimento contrattuale originariamente formulata con quella di indennizzo per arricchimento senza causa integra pertanto la proposizione di una domanda nuova, come tale inammissibile a norma dell’art. 184 cod. proc. civ., qualora, nel regime vigente anteriormente all’entrata in vigore della legge 26 novembre 1990, n. 353, la controparte non abbia rinunciato ad eccepirne la novità, accettando, anche implicitamente, il contraddittorio.
Cass. civ. Sez. I Sent., 06/07/2007, n. 15296.
In tema di spese degli enti locali effettuate senza il rispetto delle condizioni di cui all’art. 23, commi 3 e 4, d.l. 2 marzo 1989, n. 66, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, applicabile “ratione temporis” e riprodotto, senza sostanziali modifiche, prima dall’art. 35 d.lgs. n. 77 del 1995 e poi dall’art. 191 d.lgs. n. 267 del 2000, l’insorgenza del rapporto obbligatorio, ai fini del corrispettivo, direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, determina l’impossibilità di esperire nei confronti del Comune l’azione di arricchimento senza causa, stante il difetto del necessario requisito della sussidiarietà. Qualora detta azione sia stata formalmente proposta, se è vero (sentenza della Corte costituzionale n. 295 del 1997), che il contraente privato è legittimato, “utendo iuribus” del funzionario (o amministratore) suo debitore, ad agire contro la P.A. in via surrogatoria ex art. 2900 cod. civ., non è però consentito al Giudice sostituire d’ufficio (e pronunciarsi su) questa azione, che è diversa da quella di arricchimento senza causa, in quanto ha “petitum” e “causa petendi” autonomi e specifici, altrimenti incorrendosi nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 cod.proc.civ..
Cass. civ. Sez. I, 22/05/2007, n. 11854.
In tema di assunzione di impegni e di effettuazione di spese da parte degli enti locali, l’art. 23 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66 (convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144) ha introdotto un innovativo sistema di imputazione alla sfera giuridica diretta e personale dell’amministratore o funzionario degli effetti dell’attività contrattuale dallo stesso condotta in violazione delle regole contabili in merito alla gestione degli enti locali, comportante, relativamente ai beni o servizi acquisiti, una frattura o scissione “ope legis” del rapporto di immedesimazione organica tra i suddetti agenti e la P.A., escludente la riferibilità a quest’ultima delle iniziative adottate al di fuori dello schema procedimentale delle norme ad evidenza pubblica. In tali casi, sorgono obbligazioni a carico non dell’ente, bensì – in virtù di una sorta di novazione soggettiva di fonte normativa – dell’amministratore o del funzionario, i quali rispondono con il proprio patrimonio, senza che sia esperibile l’azione di indebito arricchimento nei confronti della P.A., atteso che difetta il requisito della sussidiarietà (art. 2042 cod. civ.), che va escluso quando esista altra azione esperibile non solo nei confronti dell’arricchito, ma anche nei confronti di persona diverso da esso.
Cass. civ. Sez. III, 29/03/2005, n. 6570.
Il carattere sussidiario dell’azione di arricchimento senza causa non impedisce che essa possa esercitarsi in concorrenza o in pendenza dell’azione cosiddetta primaria. Pertanto, il termine di prescrizione dell’azione di arricchimento decorre, come per ogni altra azione, dal giorno in cui si matura il relativo diritto, che coincide con quello in cui si verifica l’arricchimento del beneficiario e la relativa diminuzione patrimoniale dell’altra parte, (e non dalla data del giudicato esterno che disconosce la proponibiltà dell’azione primaria).
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