Come presentare istanza di fallimento?

L’istanza di fallimento è l’atto con cui si inizia la procedura fallimentare nei confronti di un imprenditore.

Dunque, il suo presupposto è lo stato di insolvenza del soggetto, e quindi l’incapacità patrimoniale dell’imprenditore.

Per insolvenza, infatti, si intende una situazione patrimoniale deficitaria in cui il passivo supera l’attivo.

A volte, in verità, può anche non esservi un deficit vero e proprio.

Ad esempio, infatti, si hanno investimenti e immobilizzazioni che non consentono di far fronte con regolarità ai pagamenti.

Se questa situazione appena descritta ti risulta familiare e non sei riuscito ad evitare il fallimento dell’impresa, allora sei nel posto giusto e ti consiglio di proseguire con questa lettura.

In tale guida verrà spiegato come presentare un’istanza di fallimento, quali sono i presupposti e gli effetti che ne discendono.

1. Iniziativa per l’istanza di fallimento: soggetti legittimati

I requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti per presentare istanza di fallimento sono contenuti nella Legge fallimentare (art. 1 e 5 del regio decreto 267/1942).

L’imprenditore deve possedere il carattere della commercialità, non deve essere un piccolo imprenditore e si deve trovare in stato di insolvenza.

L’iniziativa per la dichiarazione di fallimento che avviene con il deposito della relativa istanza compete al debitore.

Dunque compete all’imprenditore, o meglio, in capo a quest’ultimo vige un preciso obbligo.

Compete poi ai creditori e al Pubblico Ministero (nelle ipotesi previste dall’art. 6 e 7 della Legge fallimentare).

La Cassazione (sentenza n. 1521/2013), in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento ha stabilito che se il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, allora non è necessario un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante.

1.1. Istanza del Pubblico Ministero

Il Pubblico Ministero può presentare l’istanza di fallimento solo nelle ipotesi indicate dall’art. 7 della Legge Fallimentare.

  • Quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore.
  • Quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.

Sul potere di iniziativa del Pubblico Ministero in merito all’istanza di fallimento si è di recente pronunciata la Corte di Cassazione (sentenza n. 8903 del 06/04/2017).

La Corte ha statuito che una volta venuta meno la possibilità di dichiarare il fallimento d’ufficio, è chiara la legittimazione del pubblico ministero alla presentazione della richiesta per dichiarazione di fallimento in tutti i casi nei quali l’organo abbia istituzionalmente appreso lo stato di insolvenza.

1.2. Istanza del debitore e dei creditori

La domanda di fallimento da parte del debitore e dei creditori si propone mediante ricorso, mentre la domanda di fallimento da parte del pm tramite richiesta.

La Cassazione (sentenza.n. 19983/2009) ha ribadito che il ricorso per la dichiarazione di fallimento del debitore, nel caso in cui si tratti di una società, deve essere presentato dall’amministratore, dotato del potere di rappresentanza legale, senza necessità della preventiva autorizzazione dell’assemblea o dei soci, non trattandosi di un atto negoziale né di un atto di straordinaria amministrazione.

Tale principio trova applicazione anche nel caso in cui l’amministratore sia stato nominato dal custode giudiziario della quota pari all’intero capitale sociale di cui il giudice per le indagini preliminari abbia disposto il sequestro.

Il ricorso può essere presentato personalmente in cancelleria dall’imprenditore o dai soci (in caso di società di persone), dall’amministratore appunto o, eventualmente dai liquidatori (per le società di capitali).

Se è l’imprenditore medesimo a chiedere il proprio fallimento, questi è obbligato, secondo il disposto di cui all’art. 14 della Legge Fallimentare, a depositare presso la cancelleria del Tribunale: l’istanza, le scritture contabili e fiscali obbligatorie degli ultimi tre esercizi precedenti o dell’intera esistenza dell’impresa, l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei crediti, l’elenco nominativo di coloro che vantano diritti reali e personali su cose in suo possesso, l’indicazione del titolo da cui sorge il diritto.

L’art. 217, comma primo, n. 4, l. fall. disciplina il reato di bancarotta semplice a carico dell’imprenditore che ha aggravato il proprio dissesto non chiedendo la dichiarazione di fallimento.

È importante sottolineare che l’art. 147, 4° comma, della Legge Fallimentare, prevede la particolare ipotesi di istanza di fallimento, a seguito della scoperta dell’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili dopo la dichiarazione di fallimento della società.

1.3. Istanza del curatore o dei soci falliti

In tal caso, poiché il fallimento della società comporta automaticamente il fallimento di tutti i suoi soci illimitatamente responsabili, la legge prevede che sia il curatore che uno dei creditori ovvero uno dei soci falliti possano presentare istanza per la dichiarazione del fallimento dei soci prima sconosciuti.

Inoltre, non si può far luogo al fallimento, se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati, risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare, è inferiore complessivamente a 30.000 euro.

Ciò è previsto dall’ultimo comma dell’ art. 15 della Legge Fallimentare.

2. Forma e contenuto dell’istanza di fallimento

L’istanza deve innanzitutto contenere le prove a sostegno della richiesta e la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi previsti per la dichiarazione di fallimento.

Al ricorso deve essere allegata tutta la documentazione necessaria affinché il Tribunale possa desumere lo stato di insolvenza in cui versa il fallendo.

Competente a dichiarare il fallimento è il tribunale del luogo ove l’imprenditore abbia la sede principale dell’impresa.

Se la sede principale dell’impresa è all’estero, la competenza è del tribunale del luogo della sede secondaria.

La documentazione  da  allegare all’istanza, in particolare, oltre alla nota di iscrizione a ruolo e alla ricevuta di versamento del contributo unificato è la seguente: visura aggiornata della Camera di Commercio; eventuale certificato camerale sui protesti; copia dell’ultimo bilancio o situazione patrimoniale aggiornata; titolo esecutivo a fondamento del credito, in originale o in copia conforme (decreto ingiuntivo, atto di pignoramento, fatture, ecc.).

Nel caso in cui il ricorso riguardi una società di persone bisogna allegare un certificato contestuale (residenza e cittadinanza) dei soci.

3. La procedura

Il procedimento si svolge con le modalità della camera di consiglio.

Una volta depositato il ricorso, il Tribunale provvederà a convocare, con decreto apposto in calce all’atto introduttivo, il debitore, i creditori istanti.

Laddove ne abbia assunto l’iniziativa, sarà convocato anche il Pubblico Ministero.

Il decreto contiene l’indicazione che il procedimento è volto all’accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento.

Quest’ultimo concede un termine per la presentazione di memorie e il deposito di documenti o relazioni tecniche.

Il D.L n. 179 del 18/10/2012 ha innovato l’art. 15 della L.F. 267/1942.

In base a tale legge, vi è la possibilità di notificare il ricorso e il decreto di convocazione all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese.

Stabilisce altresì che:

“Quando, per qualsiasi ragione, la notificazione non risulta possibile o non ha esito positivo, la notifica, a cura del ricorrente, del ricorso e del decreto si esegue esclusivamente di persona presso la sede risultante dal registro delle imprese. Quando la notificazione non può’ essere compiuta con queste modalità’, si esegue con il deposito dell’atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si perfeziona nel momento del deposito stesso.

L’udienza è fissata entro 45 giorni dal deposito del ricorso, e non prima che siano decorsi 15 giorni tra la data di deposito e quella di comunicazione o notificazione del decreto. 

Per ragioni di urgenza può essere abbreviato con decreto motivato del Presidente del Tribunale.

In questo caso ricorso e decreto possono essere portati a conoscenza delle parti con ogni mezzo ritenuto idoneo.

Naturalmente risulta esclusa ogni formalità non indispensabile alla conoscenza degli stessi.

Deve fissare un termine non inferiore a 7 giorni prima dell’udienza, per consentire la presentazione di memorie e il deposito di documenti e relazioni tecniche. 

3.1. Sentenza dichiarativa di fallimento

Il Tribunale in composizione collegiara dichiara il fallimento con sentenza.

Nomina il giudice delegato e il curatore; ordina al fallito il deposito dei documenti obbligatori; stabilisce il luogo, il giorno e l’ora dell’adunanza in cui si procederà all’esame dello stato passivo; assegna ai creditori e ai terzi che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del fallito, un termine per presentare le domande di insinuazione.

La sentenza che dichiara il fallimento è notificata al debitore e comunicata al pubblico ministero, al curatore e al richiedente il fallimento. La stessa viene annotata anche presso l’ufficio del registro delle imprese dove l’imprenditore ha la sede legale e produce i suoi effetti dalla data della pubblicazione e, con riguardo ai terzi, dalla data di iscrizione nello stesso registro delle imprese.

4. La rinuncia all’istanza di fallimento

L’istanza presentata da uno o più creditori, trattandosi di un ricorso tramite il quale si esercita il diritto di tutela del credito, è rinunciabile.

È possibile, infatti, presentare apposita dichiarazione di “desistenza”, a seguito della quale il giudice non potrà proseguire d’ufficio all’accertamento dei requisiti necessari per dichiarare il fallimento, procedendo, quindi, con decreto, all’archiviazione del procedimento.

5. La giurisprudenza rilevante in materia di istanza di fallimento

Cass. civ. Sez. Unite Sent., 04/04/2022, n. 10860.

In tema di istanza di fallimento nei confronti di una società che abbia trasferito all’estero la propria sede, l’art. 3, par. 1, del Reg. (CE) n. 1346 del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza, applicabile “ratione temporis”, conformemente a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia UE – ordinanza 24 maggio 2016, causa C-353/15 – dev’essere interpretato nel senso che, qualora la sede statutaria di una società sia stata trasferita da uno Stato membro ad un altro Stato membro, il giudice, investito successivamente a detto trasferimento di una domanda di apertura di una procedura di insolvenza nello Stato membro di origine, può superare la presunzione di coincidenza del centro degli interessi principali (cd. COMI) con la nuova sede statutaria posta in altro Stato, benché in quello di origine la stessa non abbia mantenuto alcuna dipendenza, solo se da una valutazione globale di altri elementi obiettivi e riconoscibili dai terzi, si evinca che il centro effettivo di direzione e di controllo della società, nonché la gestione dei suoi interessi, continua a trovarsi in tale Stato a tale data.

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 31/03/2022, n. 10511.

In tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, Il P.M. può rinunciare all’istanza che abbia presentato ex art. 7 l.fall, poiché la sua richiesta è da equipararsi al ricorso dei creditori e i suoi poteri sono gli stessi delle parti private, fermo restando che tale rinuncia non determina effetti definitivi tramite la formazione di un giudicato, potendo l’istanza di fallimento essere successivamente riproposta dallo stesso P.M., senza pregiudizio alcuno per gli interessi pubblicistici sottesi, compresi quelli tutelati penalmente tramite l’esercizio dell’azione penale, in relazione ad eventuali delitti per il cui accertamento è necessaria la dichiarazione di fallimento del debitore.

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 05/08/2021, n. 22389.

Ai sensi dell’art. 9 della l. fall., la competenza a provvedere in ordine all’istanza di fallimento spetta inderogabilmente al tribunale del luogo in cui l’impresa debitrice ha la sua sede effettiva, da presumersi coincidente, fino a prova contraria, con la sua sede legale, mentre restano ininfluenti, rispetto alla competenza territoriale, tanto il trasferimento della sede sociale intervenuto nell’anno antecedente all’esercizio dell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento, quanto la delibera di trasferimento adottata dall’assemblea in epoca anteriore all’anno dal deposito dell’istanza, ma iscritta nel registro delle imprese successivamente ed entro l’anno, posto che, prima dell’iscrizione, la delibera è sprovvista di efficacia.

Cass. civ. Sez. I Ord., 23/07/2021, n. 21199.

In tema di notificazione dell’istanza di fallimento, l’individuazione della sede del debitore risultante dal registro delle imprese, presso la quale, ai sensi dell’art. 15 l.fall., deve essere tentata la notificazione che non può essere eseguita presso l’indirizzo PEC del debitore, costituisce un’attività propria dell’agente notificatore, compiuta sulla base delle indicazioni contenute nella richiesta della parte istante, compresa tra le circostanze di fatto, riportate nella relata di notifica, munite di fede privilegiata; pertanto, ove la parte alleghi che, contrariamente a quanto attestato dall’ufficiale giudiziario, la notificazione sia stata tentata in un luogo diverso, è necessario che proponga querela di falso.

Cass. civ. Sez. I Ord., 07/06/2021, n. 15806.

Il decreto di rigetto dell’istanza di fallimento, al pari di quello che lo conferma in sede di reclamo, non sono idonei alla formazione di un giudicato, trattandosi di provvedimenti non definitivi, oltreché privi di natura decisoria su diritti soggettivi, sicché non possono essere invocati nell’ambito di un diverso giudizio promosso nei confronti del destinatario della medesima istanza. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di condanna al risarcimento dei danni per atti di “mala gestio” nei confronti dell’amministratore di fatto di una s.a.s., ancorché la domanda di estensione a costui della dichiarazione di fallimento, ex art. 147 c.p.c., fosse stata respinta in sede fallimentare).

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 07/09/2020, n. 18544.

Ai fini della rituale instaurazione del contraddittorio in ordine all’istanza di fallimento proposta nei confronti di una società di capitali della quale sia stato deliberato lo scioglimento senza che si sia provveduto alla designazione del liquidatore, non è necessaria la nomina del liquidatore giudiziario di cui all’art. 2487 cod. civ. e all’art. 15, ottavo comma, legge fall., novellato dall’art. 2 del d.lgs. n. 169 del 2007, nomina alla cui richiesta sono legittimati i soci, gli amministratori e i sindaci, non anche i terzi. Ai terzi che intendano presentare l’istanza di fallimento è sufficiente provocare la nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art. 78 c.p.c., il quale è legittimato a resistere all’istanza medesima, non implicando tale resistenza il compimento di attività di gestione, al di fuori di quella – che l’art. 78 c.p.c.commette allo stesso curatore – volta a promuovere il ripristino della rappresentanza legale dell’ente.

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 11/02/2019, n. 3945.

Ai sensi dell’art. 9 della l.fall., la competenza a provvedere in ordine all’istanza di fallimento spetta inderogabilmente al tribunale del luogo in cui l’impresa debitrice abbia la sua sede effettiva, da presumersi, fino a prova contraria, coincidente con la sede legale, e la cui individuazione deve aver luogo con riguardo al momento del deposito in cancelleria del relativo ricorso, restando irrilevante, per il principio della “perpetuatio iurisdictionis”, ogni successivo trasferimento. Tuttavia, ove il fallimento riguardi una società, deve ritenersi ininfluente rispetto alla competenza territoriale, la delibera di trasferimento della sede sociale adottata dall’assemblea in epoca anteriore al deposito dell’istanza di fallimento ma non ancora iscritta nel registro delle imprese alla data del deposito predetto.

Cass. civ. Sez. I Sent., 10/08/2017, n. 19927.

L’art. 7, n. 2, l.fall. attribuisce al P.M. la legittimazione ad avanzare l’istanza di fallimento, sulla base di una segnalazione dell’insolvenza proveniente dal giudice che l’abbia rilevata, in qualsiasi fase di un procedimento civile, non richiedendosi al segnalante neppure di effettuare una delibazione sommaria dello stato d’insolvenza, la cui valutazione è rimessa al P.M. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto validamente effettuata la segnalazione, trasmessa al P.M. dal giudice delegato di una diversa procedura fallimentare, promossa nei confronti della stessa parte e conclusasi con la dichiarazione di non luogo a procedere per desistenza del creditore istante).

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 21/06/2018, n. 16411.

Il provvedimento di rigetto dell’istanza di fallimento è privo di attitudine al giudicato e non è configurabile una preclusione da cosa giudicata, bensì una mera preclusione di fatto, in ordine al credito fatto valere, alla qualità di soggetto fallibile in capo al debitore ed allo stato di insolvenza dello stesso, di modo che è possibile, dopo il rigetto, dichiarare il fallimento sulla base della medesima situazione, su istanza di un diverso creditore, ovvero sulla base di elementi sopravvenuti, preesistenti ma non dedotti, e anche di una prospettazione identica a quella respinta, su istanza dello stesso creditore.

Cass. civ. Sez. I Ord., 04/05/2018, n. 10793.

La previsione dell’art. 10 l.fall., in forza della quale gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, non trova applicazione laddove la cancellazione di una società venga effettuata, non a compimento del procedimento di liquidazione dell’ente o a seguito del verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell’attività, ma in conseguenza del trasferimento all’estero della sede, e quindi sull’assunto che detta società continui l’esercizio dell’impresa, sia pure in un altro Stato, atteso che un siffatto trasferimento (almeno nelle ipotesi in cui la legge applicabile nella nuova sede concordi, sul punto, con i principi desumibili dalla legge italiana) non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita, come è agevolmente desumibile dal disposto degli articoli 2437, comma 1, lett. c) e 2473, comma 1, c.c.

Cass. civ. Sez. I Sent., 28/02/2017, n. 5069.

Il decreto reiettivo dell’istanza di fallimento – al pari di quello confermativo del rigetto in sede di reclamo – non è idoneo al giudicato e non è, dunque, ricorribile per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., trattandosi di provvedimento non definitivo e privo di natura decisoria su diritti soggettivi, dal momento che nessun istante è portatore di un diritto all’altrui fallimento. Non essendo legato alla forma del provvedimento, ma al suo contenuto, l’inidoneità al giudicato riguarda anche il provvedimento di rigetto dell’istanza di fallimento in estensione del socio accomandante adottato unitamente alla sentenza dichiarativa di fallimento della società in accomandita semplice e del socio accomandatario.

Cass. civ. Sez. I Sent., 19/01/2017, n. 1338.

Il procedimento per la dichiarazione di fallimento disciplinato dall’art. 15 l.fall. è espressamente assoggettato (dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006) al principio della domanda, e ad esso, per tutto quanto non specificamente regolato dalla disposizione suddetta, si applicano le norme del codice di rito, secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza. Pertanto, la notifica dell’istanza di fallimento, e del pedissequo decreto di convocazione, che contenga l’errata indicazione della data dell’udienza fissata per la comparizione del debitore, non dà luogo ad alcuna nullità qualora l’errore sia riconoscibile e la data esatta possa essere individuata con l’uso dell’ordinaria diligenza, occorrendo coniugare il diritto di difesa dell’imprenditore con le esigenze di specialità e di speditezza cui deve essere improntato il procedimento prefallimentare.

Cass. civ. Sez. I Sent., 19/01/2017, n. 1335.

Il reclamo contro il decreto reiettivo del ricorso per la dichiarazione di fallimento deve essere notificato, ex art. 330, comma 1, c.p.c., nel domicilio che il debitore resistente ha eventualmente eletto nel procedimento prefallimentare. La violazione di tale obbligo comporta, ai sensi dell’art. 160 c.p.c., la nullità della notifica e tale vizio, se non rilevato dalla corte d’appello – che deve ordinare la rinnovazione della notifica giusta l’art. 291 dello stesso codice – e non sanato dalla costituzione del reclamato, determina, a sua volta, la nullità dell’intero processo e della sentenza di fallimento che, all’esito del suo accoglimento, lo abbia poi definito.

Cass. civ. Sez. I, 15/03/2016, n. 5095.

In tema di istruttoria prefallimentare, l’omesso deposito, da parte dell’imprenditore raggiunto da istanza di fallimento, della situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata (al pari dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi), in violazione dell’art. 15, quarto comma, legge fall., come sostituito dal d.lgs. n. 169 del 2007, si risolve in danno dell’imprenditore medesimo, che è onerato della prova del non superamento dei limiti dimensionali quale causa di esenzione dal fallimento, ai sensi dell’art. 1, secondo comma, legge fall. Si tratta invero di limiti dimensionali che vanno desunti innanzitutto dalle produzioni documentali gravanti ex lege a carico del debitore.

Cass. civ. Sez. Unite Sent., 17/02/2016, n. 3059.

L’istanza di fallimento presentata nei confronti di una società di capitali, già costituita in Italia, che abbia trasferito la sede legale all’estero dopo il manifestarsi della crisi d’impresa rientra nella giurisdizione del giudice italiano solo se il trasferimento di sede non sia stato seguito dal trasferimento effettivo dell’attività imprenditoriale, sì da risolversi in un atto meramente formale.

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 18/12/2015, n. 25587.

La declaratoria di fallimento, qualora faccia seguito alla pronuncia di inammissibilità di una proposta di concordato preventivo depositata pendente un ricorso prefallimentare ad essa riunito e successivamente notificato, non richiede ulteriori adempimenti procedurali, ivi compresa la preventiva audizione del debitore, inquadrandosi in una procedura unitaria, nella quale quest’ultimo ha già formalizzato il rapporto processuale innanzi al tribunale ed il cui eventuale sbocco nella dichiarazione di fallimento gli è noto fin dal momento della presentazione della domanda concordataria, sicché lo stesso, per effetto di quella riunione, è posto nelle condizioni di predisporre i mezzi di difesa più adeguati sia in ordine all’ammissibilità della proposta, che per contrastare la richiesta di fallimento.

Cass. civ. Sez. I, 09/10/2015, n. 20296.

Ai fini della dichiarazione di fallimento la scadenza dei debiti che rileva è quella maturata al momento della decisione non anche al momento della presentazione dell’istanza di fallimento. (Nella fattispecie per cui è giudizio deve ritenersi ragionevole, né contraddetta dal ricorrente, la decisione dei giudici del merito di ritenere che il termine per il pagamento dei debiti riportati nel bilancio come esigibili entro l’anno successivo, scadeva, appunto, entro tale ultimo anno).

Cass. civ. Sez. I Sent., 02/04/2015, n. 6683.

Il decreto reiettivo del reclamo che, a sua volta, ha respinto l’istanza di fallimento non è ricorribile per cassazione ex articolo 111, settimo comma, Cost., trattandosi di provvedimento non definitivo e privo di natura decisoria su diritti soggettivi, non essendo il creditore portatore del diritto al fallimento del proprio debitore.

Cass. civ. Sez. I Sent., 11/02/2015, n. 2673.

Nel caso in cui, revocata la dichiarazione di fallimento, non sia stato emesso il decreto di chiusura ex art. 119 legge fall., la presentazione della successiva istanza di fallimento, basata sulla prospettazione di fatti intervenuti rivelatori di insolvenza del debitore, non è di per sé preclusa, in difetto di una norma che lo impedisca, spettando al Tribunale, in sede di decisione, verificare se sia stato “medio tempore” emesso il decreto di chiusura del primo fallimento, al fine di poter esaminare nel merito la ricorrenza degli elementi costitutivi della pronuncia di fallimento, che, infatti, devono sussistere al momento della sentenza quali condizioni dell’azione e non del procedimento.

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 30/10/2014, n. 23116.

E’ ammissibile il regolamento d’ufficio di competenza, richiesto dal tribunale investito di istanza di fallimento nei confronti di società già dichiarata insolvente – in vista dell’eventuale ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria – con sentenza di altro tribunale, atteso che, per un verso, il conflitto positivo di competenza può essere denunciato anche qualora pendano, davanti a giudici differenti, procedure concorsuali di diverso tipo (stante l’interesse dei creditori alla concentrazione delle procedure ed alla stregua dei peculiari principi ispiratori della normativa fallimentare, in particolare del fondamentale principio della unitarietà della procedura concorsuale), e, per altro verso, il conflitto positivo può rivestire carattere non solo reale ma anche virtuale, mentre non è di ostacolo alla proponibilità del regolamento la circostanza che sia già stata pronunciata sentenza dichiarativa di fallimento – ovvero sentenza di carattere corrispondente, nell’ambito dei diversi tipi di procedure concorsuali, come quella dichiarativa dello stato di insolvenza – passata in giudicato.

Cass. civ. Sez. I Sent., 18/06/2014, n. 13909.

La riproponibilità della domanda di fallimento, già respinta con provvedimento formalmente divenuto inoppugnabile, va valutata in concreto, tenendo conto delle ragioni del rigetto o della revoca del fallimento. Ne consegue che, ove il rigetto del ricorso o la revoca del fallimento siano stati determinati da ragioni meramente processuali (come nel caso di rinuncia del creditore ovvero – nella specie – del P.M.), non si determina alcuna preclusione alla presentazione di una nuova istanza.

Cass. civ. Sez. I Sent., 20/11/2013, n. 26043.

La trattazione in un unico procedimento dell’istanza di fallimento rivolta verso una pluralità di imprenditori deve ritenersi ammissibile in applicazione dei principi generali in materia di connessione, compatibili con la disciplina del procedimento camerale e, in particolare, con quella dettata dall’art. 15 legge fall., ferma restando la necessità che, all’esito dell’unitario procedimento, gli eventuali fallimenti dichiarati restino distinti.

Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 01/08/2012, n. 13827.

Ai fini della rituale instaurazione del contraddittorio in ordine all’istanza di fallimento proposta nei confronti di una società di capitali della quale sia stato deliberato lo scioglimento senza che si sia provveduto alla designazione del liquidatore, non è necessaria la nomina del liquidatore giudiziario di cui all’art. 2487 cod. civ. e all’art. 15, ottavo comma, legge fall., novellato dall’art. 2 del d.lgs. n. 169 del 2007, nomina alla cui richiesta sono legittimati i soci, gli amministratori e i sindaci, non anche i terzi. Ai terzi che intendano presentare l’istanza di fallimento è sufficiente provocare la nomina di un curatore speciale ai sensi dell’art. 78 cod. proc. civ., il quale è legittimato a resistere all’istanza medesima, non implicando tale resistenza il compimento di attività di gestione, al di fuori di quella – che l’art. 78 cod. proc. civ. commette allo stesso curatore – volta a promuovere il ripristino della rappresentanza legale dell’ente.

Cass. civ. Sez. I Sent., 23/09/2011, n. 19446.

Avverso il decreto di rigetto dell’istanza di fallimento non è ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 111, settimo comma, Cost., trattandosi di provvedimento non definitivo e privo di natura decisoria su diritti soggettivi, non essendo il creditore portatore del diritto al fallimento del proprio debitore; né è rilevante che l’iniziativa di fallimento sia stata respinta per motivi di rito, in base all’accertamento di circostanze di fatto od all’affermazione di principi di diritto, in quanto ciò che rileva è che il decreto di rigetto non può essere inteso come provvedimento che nega in concreto la sussistenza di un diritto (al fallimento del proprio debitore) neppure astrattamente configurabile.

Cass. civ. Sez. Unite Ord., 20/07/2011, n. 15880.

Spetta al giudice italiano la giurisdizione con riguardo all’istanza di fallimento presentata nei confronti di società di capitali, già costituita in Italia che, dopo il manifestarsi della crisi dell’impresa, abbia trasferito all’estero la sede legale, nel caso in cui i soci, chi impersona l’organo amministrativo ovvero chi ha maggiormente operato per la società, siano cittadini italiani senza collegamenti significativi con lo Stato straniero, circostanze che, unitamente alla difficoltà di notificare l’istanza di fallimento nel luogo indicato come sede legale, lasciano chiaramente intendere come la delibera di trasferimento fosse preordinata allo scopo di sottrarre la società dal rischio di una prossima probabile dichiarazione di fallimento.

Cass. civ. Sez. I Sent., 11/08/2010, n. 18620.

La rinuncia all’istanza di fallimento non richiede alcuna forma di accettazione del debitore, atteso che il ricorso del creditore persegue un interesse autonomo rivolto esclusivamente alla tutela privatistica del proprio diritto di credito così come risulta confermato anche dalla esclusione della dichiarazione d’ufficio del fallimento ai sensi dell’art. 6 nella nuova formulazione introdotta dal d.lgs. n. 5 del 2006. (Nella fattispecie, nel provvedimento impugnato era stata affermata la validità di una rinuncia tacita, effettuata mediante la mancata comparizione del creditore all’udienza successiva a quella in cui era stato accettato il pagamento del credito mediante assegni “salvo buon fine”).

Cass. civ. Sez. I Sent., 14/10/2009, n. 21834.

Il provvedimento di rigetto dell’istanza di fallimento è privo di attitudine al giudicato e non è configurabile una preclusione da cosa giudicata, bensì una mera preclusione di fatto, in ordine al credito fatto valere, alla qualità di soggetto fallibile in capo al debitore ed allo stato di insolvenza dello stesso, di modo che è possibile, dopo il rigetto, dichiarare il fallimento sulla base della medesima situazione, su istanza di un diverso creditore ovvero sulla base di elementi sopravvenuti, preesistenti ma non dedotti e anche di prospettazione identica a quella respinta, su istanza dello stesso creditore.

Cass. civ. Sez. I, 03/11/2005, n. 21327.

Comunque venga dichiarato il fallimento, tutti gli atti attraverso i quali si articola la relativa procedura sono compiuti d’ufficio, spettando al giudice di accertare lo stato di decozione sulla base degli elementi acquisiti e, una volta accertata l’insolvenza, dichiarare il fallimento a prescindere dalla legittimazione del creditore istante. Nella pluralità degl’interessi coinvolti dalla dichiarazione di fallimento, non esiste infatti un diritto del creditore a vedere attuata la “par condicio creditorum” in sede concorsuale, e l’istanza di fallimento non rappresenta l’esercizio dell’azione esecutiva del creditore. La posizione del creditore istante viene valutata solo incidentalmente ai fini della legittimazione alla richiesta di fallimento, essendo sempre possibile che il credito vantato dall’istante venga successivamente escluso dallo stato passivo in sede di verifica e, parallelamente, allorchè il fallimento sia stato dichiarato su richiesta di un altro creditore o d’ufficio, essendo possibile che il creditore, il quale si sia visto respingere l’istanza, possa insinuare il suo credito al passivo e vedere riconosciuto il suo diritto al concorso.

Cass. civ. Sez. I, 07/10/2005, n. 19643.

Il provvedimento di rigetto dell’istanza di fallimento è privo di attitudine al giudicato e non è configurabile una preclusione da cosa giudicata, bensì una mera preclusione di fatto, in ordine al credito fatto valere, alla qualità di soggetto fallibile in capo al debitore ed allo stato di insolvenza dello stesso, di modo che è possibile, dopo il rigetto, dichiarare il fallimento sulla base della medesima situazione – d’ufficio o su istanza di un diverso creditore -, ovvero sulla base di elementi sopravvenuti – preesistenti ma non dedotti e anche di prospettazione identica a quella respinta – su istanza dello stesso creditore. Pertanto, trattandosi di provvedimento non definitivo nè decisorio, il decreto emanato in sede di reclamo ai sensi dell’art. 22 legge fall. non è impugnabile con ricorso straordinario per cassazione, non essendo, in contrario, valorizzabile la asserita lesione di situazioni aventi rilievo processuale, in quanto la pronuncia sull’osservanza delle norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, i modi ed i tempi con i quali la domanda può essere portata all’esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato, e non può dunque avere autonoma valenza di provvedimento decisorio, se di tale carattere detto atto sia privo, stante la strumentalità della problematica processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione nel merito.

Cass. civ. Sez. I Ord., 30/09/2005, n. 19198.

E’ ammissibile il regolamento di ufficio di competenza richiesto dal tribunale investito di istanza di fallimento nei confronti di società già dichiarata insolvente – in vista dell’eventuale ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria – con sentenza di altro tribunale, atteso che, per un verso, il conflitto positivo di competenza può essere denunciato anche qualora pendano, davanti a giudici diversi, procedure concorsuali di diverso tipo (stante l’interesse dei creditori alla concentrazione delle procedure ed alla luce dei peculiari principi ispiratori della normativa fallimentare, in particolare del fondamentale principio della unitarietà della procedura concorsuale), e che, per altro verso, il conflitto positivo può rivestire carattere non solo reale ma anche virtuale, mentre non è di ostacolo alla proponibilità del regolamento la circostanza che sia già stata pronunciata sentenza dichiarativa del fallimento – ovvero sentenza di carattere corrispondente, nell’ambito dei diversi tipi di procedure concorsuali, come quella dichiarativa dello stato di insolvenza – passata in giudicato, la quale è destinata ad essere cassata senza rinvio ove la S.C. accerti, in sede di regolamento, che è stata emessa da giudice incompetente.

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