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Il mancato versamento dei conferimenti è una questione oggetto di un interessante dibattito, sia in dottrina che in giurisprudenza. Forse non saprai, che ogniqualvolta si decide di entrare in una società deve essere versato capitale, secondo le modalità più utili allo proprio scopo.
Invero, questa procedura potrebbe essere posta in essere anche in un momento successivo. Ad esempio, la società potrebbe avere esigenza di un aumento di capitale, proprio per questo l’assemblea dei soci può deliberare sul punto, imponendo nuovi conferimenti.
Il socio, titolare di una partecipazione, ha una serie di benefici e poteri che dipendono sostanzialmente dall’adempimento a suddetti obblighi di conferimento. Laddove, egli sia moroso, alcune facoltà gli sono precluse.
Potrebbe, allora, capitarti di voler partecipare ad una società e non aver versato i relativi conferimenti. Cosa ti accadrà in questo caso?
Laddove fossi interessato, ti invitiamo nella prosecuzione della lettura. Con suddetto articolo, ci proponiamo di offriti un quadro breve, ma esaustivo degli effetti del mancato versamento di conferimenti.
1. Cosa si intende per conferimenti?
Preliminarmente, è opportuno circoscrivere il significato di conferimenti. All’art. 2253 c.c. introduce l’obbligo dei soci di: “ eseguire i conferimenti determinati nel contratto sociale. Se i conferimenti non sono determinati, si presume che i soci siano obbligati a conferire, in parti uguali tra loro, quanto è necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale”.
Laddove non disposto diversamente, l’art. 2342 c.c., invece, prevede che essi debbano essere resi in denaro.
Suddetta previsione assolve ad una duplice funzione:
- consentire alla società di esercitare l’attività cui è destinata, nonché raggiungere gli obiettivi individuati con l’oggetto sociale;
- costituiscono il capitale sociale, quindi fungono da garanzia per i creditori sociali.
Nelle società di capitali è prevista una rigida normativa, soprattutto per i conferimenti in denaro. Infatti, è necessario versare subito, al momento della sottoscrizione dell’atto costitutivo, il 25% dei conferimenti accordati. Mentre la parte restante diviene un’obbligazione posta a carico del socio nei confronti della società stessa.
Laddove, invece, il socio sia unico, ad esempio nelle S.p.a., il versamento deve essere integrale in sede di atto costitutivo. Se gli altri soci vengono meno in un seguito, l’unico socio superstite è tenuto al versamento della parte residuante.
I conferimenti possono essere realizzati anche tramite beni in natura e crediti. Il socio, in questo caso, è obbligato anche alla garanzia per vizi e risponde per il perimento nei confronti degli altri soci. Il conferimento di crediti, invece, comporta che sul socio gravi il rischio di insolvenza del debitore. Solo per le società di capitali, l’attribuzione è preceduta da una perizia di stima.
Invero, il socio entrante può conferire anche partecipazioni in altre società.
Ai sensi dell’art. 2346 c.c., tale atto comporta che al socio sia: “assegnato un numero di azioni proporzionale alla parte del capitale sociale sottoscritta e per un valore non superiore a quello del suo conferimento. Lo statuto può prevedere una diversa assegnazione delle azioni”.
Le quote assegnate hanno poi un valore determinato in base all’entità dei conferimenti, considerato il valore complessivo del capitale sociale. Il comma 5 dell’art. 2346 c.c., infatti, afferma che: “In nessun caso il valore dei conferimenti può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale”.
2. Mancato versamento dei conferimenti: la disciplina
La disciplina in caso di mancato versamento dei conferimento è contemplata all’art. 2466 c.c., che prevede in particolare meccanismo, nell’ipotesi di inadempimento del socio.
Tale normativa è applicabile anche quando il socio aveva disposto una polizza assicurativa o una fideiussione bancaria a garanzia dei conferimenti. Alla loro scadenza, o se diventano inefficaci, si applica quanto disposto all’art. 2466 c.c.. In questo caso, il socio può evitare gli effetti della mora tramite il versamento in denaro della somma che era garantita.
2.1. La diffida
Il primo atto, che gli altri soci devono compiere nei confronti del moroso, è la diffida.
Tramite la figura degli amministratori, deve esser dato avvio a questa lunga procedura prevista dall’art. 2466 c.c.. Laddove la diffida non sia posta in essere, la sua mancanza invalida il procedimento.
Con essa, i soci attribuiscono un termine di 30 giorni, che può essere ampliato ma non ridotto, entro il quale il socio moroso deve procedere al versamento. Decorso inutilmente il predetto termine ad adempiere, gli amministratori, fanno divieto al socio moroso di partecipare alle decisioni dei soci.
A questo, allora, è precluso votare in assemblea ed esprimere il suo consenso in caso di consultazione scritta o tramite consenso espresso per scritto.
Gli amministratori, inoltre, successivamente alla diffida ad adempiere, possono, alternativamente, o promuovere l’azione giudiziaria per l’esecuzione dei conferimenti oppure vendere coattivamente la quota del socio moroso agli altri soci.
2.2. La vendita ai soci
Come poc’anzi asserito, una delle possibilità che l’art. 2466 c.c. pone a disposizione degli altri soci, è la vendita della quota di partecipazione del moroso.
Il legislatore, invero, prevedeva in precedenza un diritto di prelazione a favore dei soci, oggi sostituita con predetta vendita. Gli amministratori possono decidere di vendere la quota del socio moroso agli altri in proporzione alla loro partecipazione.
L’invito ad offrire deve essere rivolto esclusivamente agli altri soci. La stessa operazione poi si conclude, come accadeva in passato, con l’accettazione delle offerte da parte della società.
Il valore della partecipazione è determinato in base all’ultimo bilancio. Si ritiene che non sia possibile eseguire la vendita né a prezzo minore né a prezzo maggiorato. Nel primo caso, si pregiudicherebbe eccessivamente, mentre è altrettanto escluso il secondo, sulla base dello stesso dato letterale.
Invero, l’art. 2344 c.c., rispetto alle sole S.p.a., non sembra, invece, vietare una vendita ad un prezzo superiore.
2.3. La vendita ad incanto
Laddove nessuno dei soci presenti un’offerta sulla quota, gli amministratori dovranno procedere alla vendita all’incanto ma solo se l’atto costitutivo lo consente, come stabilito dall’art. 2466 c.c.. Si procede all’asta anche ove siano pervenute offerte da parte dei soci, ma queste non sono tali da coprire l’intera quota da vendere. Similmente accade, nel caso in cui siano pervenute offerte ad un prezzo più basso di quello imposto dalla norma.
In questo caso, la vendita è effettuata nelle forme dell’offerta al pubblico, in deroga al divieto di cui all’art. 2468 c.c., che esclude l’applicazione di questa procedura per le partecipazioni societarie.
Alla vendita all’incanto della quota del socio moroso si applicheranno le norme disciplinate per la vendita all’incanto di cose mobili pignorate ai sensi degli artt. 534 e ss. c.p.c.:
- necessità di pubblicizzare luogo, giorno ed ora dell’incanto;
- determinazione del prezzo di base;
- aggiudicazione del bene al maggiore offerente;
- nuovo incanto se il primo è andato deserto;
- redazione e deposito del processo verbale di incanto;
- la vendita debba essere fatta per contanti.
La base d’asta deve essere pari al valore risultante dall’ultimo bilancio approvato. Tale procedura produce il c.d. effetto purgativo, in virtù del quale, il socio moroso risponderà per la differenza, laddove il ricavato fosse inferiore al suo debito, mentre l’aggiudicatario è esente da ogni responsabilità.
2.4. L’esclusione del socio morso
Se non pervengono offerte d’acquisto da parte dei soci e tramite asta, cioè se è stata effettuata, ma è andata deserta, l’art. 2466 c.c. impone agli amministratori di procedere all’esclusione del socio moroso, con contestuale ritenzione delle somme riscosse.
L’esclusione deve essere comunicata al socio moroso, solo da questo momento acquista efficacia, in quanto atto recettizio produce effetti nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario.
Tale esclusione comporta, necessariamente, l’obbligo di riduzione del capitale sociale in misura corrispondente alla quota del socio escluso. Suddetta operazione si effettua secondo il valore nominale delle quote, non reale del capitale sociale. A ciò non segue neppure una restituzione di conferimenti, in quanto gli stessi non corrispondono più al capitale sottoscritto.
3. Effetti del mancato versamento dei conferimenti
Esaminata preliminarmente la disciplina della esecuzione avverso il socio moroso, andiamo ora ad individuare quelle che sono le conseguenze, sul piano degli effetti della mora.
Il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci. Tale divieto opera anche nei casi ove il voto dovesse spettare ad un terzo, come conseguenza di un diritto di garanzia o un diritto reale di godimento, cioè in caso di pegno, usufrutto, sequestro, pignoramento o fallimento.
Invero, sembrerebbe maggiormente coerente che il divieto si estendesse anche al mero intervento in assemblea. La presenza del socio in assemblea potrebbe influenzare negativamente il voto.
La partecipazione del socio moroso, viene computata ai fini della regolare costituzione dell’assemblea. Tuttavia, non è considerata per il calcolo della maggioranza e della quota di capitale richieste per l’approvazione delle deliberazioni.
Al socio moroso è poi precluso l’esercizio dei diritti patrimoniali come il diritto d’opzione o di prelazione. I dividendi successivamente conseguiti andranno a compensare il debito che vanta nei confronti della società
Suddetti effetti si producono come conseguenza diretta dell’inadempimento, non dipendendo dalla diffida, la quale opera nei confronti di un socio già moroso. Questa è, quindi, un atto che avvia un complesso procedimento che si conclude con l’esclusione, al quale, però, non sono riconducibili gli effetti di mora.
4. Conclusioni
Come avrai notato, la disciplina prevista in relazione alla disciplina del mancato versamento dei conferimenti è decisamente complessa poiché occorre valutare molti elementi.
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