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Sia che si tratti di società di persone che di capitali, i soci godono di un’ampia autonomia contrattuale, potendo liberamente disporre del contenuto dell’atto costitutivo e di ogni altro accordo successivo, mediante i patti parasociali.
Causa del contratto sociale è la comune partecipazione dei soci, sia agli utili derivanti dall’attività sociale che alle perdite che possono conseguirne.
È facoltà dei soci poter stabilire discrezionalmente in che misura partecipare ai risultati dell’attività sociale, derogando ai limiti previsti dalla legge.
Esistono dei limiti all’autonomia dei soci?
Il Codice civile prevede un unico limite che è il patto leonino, regolato dall’art. 2265, secondo il quale “È nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”.
1. Che cos’è il patto leonino?
La denominazione “patto leonino” ha avuto origine nell’antica Roma da noti scrittori, ed è poi divenuta espressione di una regola di diritto, “chi trae vantaggio da una situazione deve sopportarne anche i pesi”.
Come già accennato, si riferisce a qualsiasi tipo di accordo a mezzo del quale viene meno una equa partecipazione di tutti i soci. Il Codice civile ne dispone la nullità.
È una clausola negoziale che i soci possono inserire nell’atto costitutivo (nello statuto) o nei patti parasociali, con il quale è disposta l’esclusione di determinati soci dalla partecipazione agli utili o l’esclusione di sé stessi (o di altri) dalle perdite.
Clausole di questo genere sono vietate proprio perché in contrasto con la natura del contratto sociale: “Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili” (art. 2247 Codice civile).
Nonostante manchi un riferimento espresso , è pacifico che sia incluso anche il concetto di perdite, in quanto conseguenza dell’adesione ad un progetto comune.
2. Limiti ed estensione del divieto
L’art.2265 c.c. vieta ogni patto con il quale un socio sia escluso da ogni partecipazione.
Ma cosa intende la norma?
Il divieto non riguarda soltanto gli accordi finalizzati ad escludere uno o più soci dalla totale partecipazione agli utili e alle perdite intesi in senso formale. Riguarda altresì tutti i casi in cui, a prescindere dalla forma e dall’entità della partecipazione, in concreto lo scopo sia l’esclusione dalla partecipazione.
Questo non vuol dire che i soci non possano liberamente stabilire partecipazioni differenziate tra loro a particolari condizioni. Ciò che conta è che queste non vadano a ridurre o ad annullare le partecipazioni agli utili degli altri o facciano gravare le perdite esclusivamente su alcuni.
3. Nullità
Tutti gli accordi presi in violazione del divieto del patto leonino sono sanzionati con la nullità.
La nullità agisce esclusivamente nei confronti della clausola e non dell’intero contratto sociale che resta valido ed efficace.
Qualora intervenga la nullità di talune disposizioni contrarie al divieto, saranno applicate le norme legali sulla partecipazione agli utili e alle perdite.
Un ruolo significativo in questi casi è svolto dal notaio, nonostante la gran parte delle clausole tipiche siano ormai standardizzate.
Egli è tenuto a non attestare la validità di atti o di qualsivoglia accordo preso in violazione del divieto di patto leonino. L’attestazione di atti contrari alla legge, ordine pubblico e buon costume, può comportare una eventuale condanna.
4. Applicazione e divieto di patto leonino nelle società di capitali
La norma che sanziona il patto leonino, art. 2265, si trova tra le disposizioni dedicate alle società di persone. Tuttavia, l’applicazione si estende a tutti i tipi di società, anche a quelle di capitali o mutualistiche.
Scopo principale è sempre quello di riconoscere una forma protezione, in particolare ai soci di minoranza o a nuovi soci che entrino a far parte di una società già costituita.
4.1. Società per azioni
La partecipazione dei soci ad una s.p.a. è rappresentata dalle azioni.
Il codice autorizza la previsione di categorie speciali di azioni, nel rispetto del principio di eguaglianza. Ciò significa che le azioni appartenenti ad una stessa categoria attribuiscono eguali diritti , e ad ogni categoria corrisponderanno diritti differenti rispetto ad un’altra
Le categorie di azioni, si distinguono in azioni con particolari diritti amministrativi o con particolari diritti patrimoniali.
In ordine al divieto di patto leonino rilevano le azioni con particolari diritti patrimoniali.
È il caso delle azioni postergate nelle perdite, cioè azioni che subiscono le perdite solo dopo che esse abbiano colpito le altre (di solito emesse contestualmente ad un finanziamento dell’impresa).
In caso di perdite, procedendo con la riduzione del capitale sociale, dette azioni saranno sottoposte agli effetti delle perdite soltanto dopo l’annullamento di tutte le azioni ordinarie in circolazione.
Oppure, in caso di liquidazione della società, dette azioni saranno sempre rimborsate prima delle altre azioni ordinarie.
La postergazione è assolutamente legittima, non rappresenta infatti una eccezione al divieto di patto leonino. Con tali previsioni, non si vuole escludere la partecipazione alle perdite dei titolari delle azioni , semplicemente ridurre il rischio di perdite.
Questa clausola è legittima nella misura in cui la postergazione non corrisponda ad una esclusione da ogni partecipazione agli utili (o quasi totalmente).
Altra categoria interessante, è quella delle azioni correlate. Si tratta di partecipazioni collegate al risultato di un determinato settore produttivo: gli utili sono distribuiti a determinati azionisti in base ai guadagni raggiunti in uno specifico settore.
Chiaramente se il settore al quale sono correlate comprende quasi totalmente l’attività sociale sono da considerarsi illegittime, in quanto escluderebbero gli altri soci dalla partecipazione agli utili.
4.2. Società a responsabilità limitata
Nelle s.r.l. la partecipazione dei soci assume la forma di quote . Con apposita previsione statutaria, è consentito associare alle stesse dei diritti particolari, sia di natura amministrativa che patrimoniale.
Così come nelle s.p.a., i diritti patrimoniali attengono alla distribuzione degli utili, sarà infatti possibile attribuire una partecipazione agli utili non proporzionata al valore della quota.
Proprio qui viene in rilievo il divieto di patto leonino, in quanto l’attribuzione di diritti particolari non deve escludere la partecipazione degli altri.
Sono considerate nulle tutte le clausole che riconoscono la partecipazione agli utili solo al socio che detenga diritti particolari o che gli garantiscano una partecipazione equivalente alla totalità del capitale.
Lo statuto potrebbe anche prevedere la limitazione o l’esclusione dei diritti degli altri soci in favore di uno.
Sarà ugualmente considerata nulla la clausola che escluda la partecipazione agli utili degli altri soci.
5. La giurisprudenza rilevante in materia di divieto di patto leonino
Cass. civ. Sez. I Ord., 07/10/2021, n. 27227.
E’ lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società” (Cass. 4 luglio 2018, n. 17498).
La decisione, riprendendo il precedente in materia, il quale discorreva di una necessaria esclusione dalle perdite o dagli utili quale “situazione assoluta e costante” (Cass. 29 ottobre 1994, n. 8927), ha precisato come tale esclusione “deve finire per alterare la causa societaria nei rapporti con l’ente-società, che trasla, quanto al socio interessato da quell’esonero dalla condivisione dell’esito dell’impresa collettiva, da rapporto associativo a rapporto di scambio con l’ente stesso”.
La duplice aggettivazione – usata dal precedente di legittimità menzionato ed intesa ad interpretare la condizione che i soci siano esclusi da “ogni partecipazione”, ossia integralmente, dagli utili o dalle perdite ex art. 2265 c.c. – col suo riferirsi alla quantità e alla durata nel tempo dell’esonero serve, dunque, solo ad indicare la necessaria mutazione causale, offrendo al giudice una linea-guida per l’accertamento.
In sostanza, il punto è se “la causa societatis del rapporto partecipativo del socio in questione permanga invariata nei confronti dell’ente collettivo, o se, invece, venga irrimediabilmente deviata dalla clausola che lo esonera” da qualsiasi perdita o lo escluda dalla divisione degli utili, o da entrambi, perchè solo in tal caso può dirsi che l’art. 2265 c.c., sia stato violato.
La ratio del divieto va, pertanto, ricondotta ad una necessaria suddivisione dei risultati dell’impresa economica, tuttavia quale tipicamente propria dell’intera compagine sociale e con rilievo reale verso l’ente collettivo; mentre nessun significato in tal senso potrà assumere il trasferimento del rischio puramente interno fra un socio e un altro socio o un terzo, allorchè non alteri la struttura e la funzione del contratto sociale, nè modifichi la posizione del socio in società, e dunque non abbia nessun effetto verso la società stessa.
Cass. civ. Sez. I, Ord., 04-07-2018, n. 17498.
L’art. 2265 cod. civ. è dettato in tema di società semplice e si collega alla particolare situazione delle società personali, in cui ogni socio di regola gestisce la società e risponde in via illimitata e personale delle obbligazioni dell’ente (salvo il socio che ciò abbia pattuito ex art. 2267 cod. civ. ed il socio accomandante).
La norma colpisce con la sanzione della nullità il “patto” avente ad oggetto l’esclusione da “ogni partecipazione agli utili o alle perdite” maturati dalla società.
E’ vero che essa menziona il “patto”, locuzione frequente specie nell’ambito della disciplina delle società personali, in cui la mancanza di personalità giuridica ed il riconoscimento – al più – di una soggettività dell’ente collettivo pongono al centro il contratto tra i soci, per tutta la vita della società: tanto che esso può essere modificato a maggioranza solo ove previsto dal contratto stesso, in caso contrario occorrendo il consenso di tutti i soci (art. 2252 cod. civ.), e ove si richiede l’unanimità per una serie di decisioni (cfr. art. 2272 c.c., n. 3 e artt. 2275 e 2301 cod. civ., ecc.).
Così, un “patto” ad hoc serve per escludere i soci non gestori dalla responsabilità per le obbligazioni sociali (artt. 2267 e 2291 cod. civ.), per derogare alla regola della distribuzione degli utili dopo l’approvazione del rendiconto (art. 2262 cod. civ.) o alla loro assegnazione non proporzionale (art. 2263 cod. civ.).
Laddove, nella società azionaria, l’espressione è riservata usualmente proprio ai rapporti contrattuali, non sociali (cfr. art. 2341-bis c.c. e art. 2372 c.c., comma 3), mentre assai più spesso di parla piuttosto di “statuto” (es. artt. 2346, 2348, 2349, 2365, 2380 e 2443, e numerose altre).
Nondimeno, il Collegio condivide l’orientamento maggioritario, il quale reputa l’art. 2265 cod. civ. una norma transtipica.
Se la societas è l’unione di più patrimoni, al fine del raggiungimento dello scopo comune di suddividere i risultati dell’intrapresa economica, si pone in contrasto con questa causa tipica la totale esclusione di uno o più soci – quali soggetti titolari di una quota del capitale sociale – da quei risultati.
Il conferimento di capitale non collegato allo scopo di cooperare all’attività economica cui è volta l’impresa societaria condividendone gli esiti, pur se avente eventualmente altri fini, è dunque stigmatizzato dal legislatore con la comminatoria della nullità per il patto che abbia un simile risultato, in via diretta (art. 1418 cod. civ.) o indiretta (art. 1344 cod. civ.).
La causa del “contratto di società” è descritta nell’art. 2247 cod. civ., il quale, accanto alla pluralità dei soci (altrimenti trattandosi di costituzione unilaterale, pur ammessa per la s.p.a. e per la s.r.l., dove permane però la potenziale pluralità dei componenti), richiede il conferimento “di beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. La divisione delle perdite deriva implicitamente dalla situazione implicita e simmetrica in cui la società incorra in quella situazione contabile.
Ciò equivale a sostenere che il legislatore ha ammesso unicamente il contratto tipico di società – pur nei differenti schemi formali integrati da ciascun tipo sociale predisposto dalla legge – al cui modello causale i soci non possono apportare deroghe idonee a snaturarne la funzione di contratto associativo.
Cass. civ. Sez. III, Ord., 04-05-2018, n. 10583.
Il negozio di ricognizione di debito rilasciato dalla società di capitale a favore del socio, attraverso cui la società intende far conseguire al socio il diritto di recedere dalla società e di ottenere un importo del tutto corrispondente a quanto versato a titolo di conferimento in conto capitale e di sovrapprezzo al tempo della sottoscrizione della partecipazione sociale, è nullo per contrarietà alle norme imperative ai sensi dell’art. 1418 c.c.. Una siffatta ricognizione di debito, in quanto non corrispondente a una posta debitoria della società nei confronti del socio, intende neutralizzare il rischio imprenditoriale cui si sottopone incondizionatamente il socio con la sottoscrizione del capitale sociale ed è pertanto in contrasto con i principi che regolano il contratto sociale
Cass. civ. Sez. II Sent., 04/08/2016, n. 16321.
I criteri di ripartizione delle spese condominiali, stabiliti dall’art. 1123 c.c., possono essere derogati e la relativa convenzione modificatrice può essere contenuta sia nel regolamento condominiale “di natura contrattuale”, ovvero in una deliberazione dell’assemblea approvata all’unanimità, o col consenso di tutti i condomini. La natura delle disposizioni contenute nell’art. 1118 c.c., comma 1 e art. 1123 c.c. non preclude, l’adozione di discipline convenzionali che differenzino tra loro gli obblighi dei partecipanti di concorrere agli oneri di gestione del condominio, attribuendo gli stessi in proporzione maggiore o minore rispetto a quella scaturente dalla rispettiva quota individuale di proprietà. La deroga convenzionale ai criteri codicistici di ripartizione delle spese condominiali può arrivare a dividere in quote uguali tra i condomini gli oneri generali e di manutenzione delle parti comuni, e finanche a prevedere l’esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall’obbligo di partecipare alle spese medesime. Non opera, del resto, in materia di condominio negli edifici, il divieto del patto leonino.
Cass. civ. Sez. I Sent., 01/10/2008, n. 24376.
Al contratto di associazione in partecipazione non si applica il divieto del patto leonino, dettato in materia societaria dall’art. 2265 cod. civ., ai sensi del quale è vietato che uno o più soci siano esclusi in modo totale e costante dagli utili o dalle perdite; quanto alla posizione dell’associato, l’unica regola inderogabile consiste nel divieto, posto dall’art. 2553 cod. civ., di porre a carico del medesimo perdite in misura superiore al suo apporto, potendo invece le parti determinare tale onere in misure diverse dalle partecipazioni agli utili o anche escluderlo del tutto, come avviene nella cosiddetta cointeressenza impropria.
6. Consulenza e assistenza legale per il tuo caso
Come avrai notato, la disciplina del divieto di patto leonino è articolata perché occorre valutare molti elementi e ponderare diverse opzioni per addivenire ad una scelta adeguata.
Proprio per questo motivo, al fine di Pianificare e Difendere al meglio il tuo Patrimonio, ti consiglio di completare il Modulo di contatto che trovi in questa pagina.
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