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Le operazioni di Private Equity sono tipicamente degli investimenti a medio-breve termine finalizzati al raggiungimento di diversi obiettivi (a seconda dell’operazione realizzata) e poi destinati al disinvestimento.
Infatti, l’investitore in Private Equity realizza l’operazione con lo scopo di disinvestire al momento opportuno, traendone dei guadagni. Le sue intenzioni non sono certo paragonabili a quelle di un investitore in c.d. società chiuse, quali sono le società di capitali non destinate al mercato di rischio.
Questi ultimi, infatti, investono in società con lo scopo di rimanervi il più possibile, poiché il buon andamento dell’azienda è direttamente proporzionale ai loro guadagni.
Di conseguenza, il loro ruolo di corporate governance può definirsi come attivo. Ciò significa che tenderanno ad impegnarsi nella gestione della società per far sì che questa sia il più produttiva possibile.
A contrario nelle c.d. società aperte, quali le società operanti nel mercato del capitale di rischio, esiste un azionariato molto più ampio e, soprattutto, variegato.
Ciò significa che chiunque potenzialmente può diventare investitore entrando a far parte della società. Ogni investitore in una società c.d. aperta avrà come unico scopo la massimizzazione dei propri profitti, interessandosi relativamente dell’andamento sociale.
Soprattutto in riferimento agli investitori di Private Equity, che sono tipicamente degli investitori o fondi professionali, l’aspetto del disinvestimento è essenziale.
Infatti, per attirare investitori di questo genere è necessario che vengano loro garantite facili modalità di disinvestimento, all’interno dello statuto o atto costitutivo, oppure in appositi patti parasociali.
Ti invito a proseguire la lettura di quest’articolo per saperne di più! Scopriremo quali sono gli strumenti impiegati nei rapporti di Private Equity, per garantire un facile disinvestimento.
1. Disinvestimento parziale
Anzitutto è necessario precisare che per disinvestimento non sempre si intende l’uscita definitiva dell’investitore dalla società.
Infatti con disinvestimento si può intendere anche la semplice dismissione di alcune delle partecipazioni oggetto di investimento. In buona sostanza, pur rimanendo all’interno della società, quale titolare di una quota azionaria, l’investitore cede altra parte delle quote.
In particolare, gli investimenti in Private Equity, soprattutto in riferimento ai contratti acquisitivi di partecipazioni, talvolta presentano delle clausole che impediscono ai soci (per un certo periodo di tempo), la dismissione delle partecipazioni.
Trattasi delle c.d. clausole di lock up con cui, in riferimento ad una specifica operazione, si pattuisca il divieto in capo ad alcuni soci di cedere una partecipazione per un periodo specifico di tempo.
In genere, si tratta di un obbligo previsto in capo a soci di maggioranza che, avendo incarichi operativi rilevanti in società, è necessario rimangano all’interno della società e si interessino al suo buon funzionamento. Tuttavia, queste hanno dei risvolti (in genere positivi) in capo alle partecipazioni di minoranza, quindi tipicamente in capo all’investitore professionale di Private Equity.
Trattasi di clausole disciplinate dal Codice civile nell’art. 2341-bis, con il quale si stabilisce in cinque anni, il limite della loro validità.
Ad ogni modo, le clausole di lock up non sono le uniche impiegate per vincolare un certo numero di partecipazioni ad una società.
Clausole di disinvestimento parziale
Come accennato, non è necessario ricorrere alle clausole di lock up per vincolare le partecipazioni di un investitore all’interno della società, ben potendosi ricorrere ad altre clausole.
Infatti, se con le prime si impedisce all’investitore di realizzare la cessione, con altri strumenti semplicemente si pongono delle condizioni alla cessione che, a loro volta, diventeranno delle limitazioni.
Tra questi troviamo le clausole:
- di prelazione: in questo caso pur consentendosi all’investitore di procedere alla cessione delle partecipazioni, lo si vincola a una c.d. cessione interna. Questo significa che per poter disinvestire dovrà procedere alla cessione della partecipazione agli altri soci che avranno il diritto di acquistarla in prelazione ai terzi. Soprattutto in riferimento alle partecipazioni di minoranza (come per gli investitori di Private Equity) questa clausola può rappresentare un ostacolo al disinvestimento; infatti sarà difficile trovare investitori (esterni) interessati, in considerazione del diritto di prelazione degli altri soci;
- di tag along: con questa clausola si vincolano due partecipazioni. In particolare, laddove l’investitore ceda la propria partecipazione ad un terzo, è obbligato a garantire anche ad un altro socio la stessa cessione nei confronti dello stesso terzo. Quindi, per poter realizzare l’investimento è necessario che il cedente garantisca la sequela della partecipazione di altro socio interessato. In genere, il diritto di sequela appartiene agli investitori di Private Equity che quindi potranno più facilmente disinvestire grazie al disinvestimento vincolato altrui;
- di drag along: può definirsi come una clausola c.d. a contrario rispetto a quella di tag along. In particolare, laddove il socio di maggioranza riceva un’offerta da un terzo, un altro socio (vincolato dalla clausola) è obbligato a cedere anche la propria partecipazione al terzo e alle medesime condizioni di acquisto. In genere si garantisce un ritorno minimo all’investitore professionale (quali condizioni minime per la cessione), prima di vincolarlo a tale clausola.
2. Disinvestimento totale e clausole di way out
Soprattutto in riferimento agli investitori professionali in Private Equity, è essenziale la disciplina del c.d. disinvestimento finale all’interno degli statuti o dei patti parasociali.
Infatti, come già anticipato, la figura dell’investitore di Private Equity è, per sua natura, portata al disinvestimento. Di conseguenza, proprio per attirare queste figure all’interno della società è necessario garantire a questi ultimi un facile disinvestimento.
Per questo, in genere, vengono previste le c.d. clausole di way out, attraverso le quali è garantito all’investitore il diritto di liquidare liberamente la propria partecipazione entro un periodo che va dai tre ai cinque anni dall’investimento.
Di norma, le clausole di way out regolano il disinvestimento con uno dei seguenti strumenti:
- Quotazione in borsa dell’investimento: rappresenta la via prioritaria di disinvestimento;
- Riacquisto della partecipazione dall’azionista di controllo: trattasi di disinvestimento a cui si ricorre con l’impiego di altra clausola definita “opzione di put” con cui si determinano preventivamente le condizioni di acquisto;
- Cessione del 100% del capitale sociale a terzi: è la modalità ultima di disinvestimento. In buona sostanza laddove le precedenti opzioni di way out non siano praticabili, l’investitore e l’azionista di maggioranza procederanno alla cessione dell’intero capitale.
3. Accordi di Lock-Up: cosa sono
A volte, per la corretta conclusione di un’operazione di investimento, si rende necessaria la conclusione di un accordo di c.d. Lock-Up. Ma di cosa si tratta? Qual è la sua principale forma giuridica in Italia e quali sono i contenuti che è necessario definire?
Se sei un potenziale investitore, ti invito a proseguire la lettura di questo articolo. La conclusione di questi accordi, infatti, potrebbe rappresentare un momento decisivo per la tua idea di investimento.
Nello specifico si tratta di accordi che consentono, ancora prima della realizzazione dell’operazione, di analizzare e strutturare l’idea di investimento, soprattutto in riferimento alla figura del management.
Infatti, soprattutto in operazioni molto complesse (come per esempio le operazioni di LBO), l’investitore deve assicurarsi una collaborazione con i manager. Solo in un secondo momento, in base alla conclusione o meno di questi accordi, l’investitore procederà a compiere un’analisi mirata circa la possibile acquisizione.
Ma quando è utile ricorrere a questi accordi? E soprattutto, quali sono gli aspetti da considerare? Vediamoli insieme.
3.1. L’accordo di Lock-Up
In genere si ricorre a questi accordi quando l’investitore necessita, per un certo periodo di tempo, della collaborazione con il management. Infatti, di norma, si tratta di accordi con cui l’investitore chiede al management della società obiettivo di vincolarsi a quest’ultima per un certo periodo di tempo; per esempio, chiederà di non cedere le proprie partecipazioni a terzi prima di un certo periodo o del raggiungimento di certi obiettivi.
Queste specifiche richieste, alla base dell’accordo, costituiranno le condizioni sine qua non l’investitore deciderà o meno di concludere l’investimento.
Ovviamente all’interno dell’accordo dovranno essere definiti i vincoli imposti al management, sia quantitativamente che qualitativamente. Infatti, dovranno anche essere precisate le modalità di coinvolgimento del management, dopo la realizzazione dell’investimento.
Nell’ordinamento italiano, gli accordi di Lock-Up si concretizzano con una c.d. scrittura privata tra le parti, non essendo richieste altre specifiche formalità.
Ma quali sono i contenuti tipici di un accordo di Lock-Up?
3.1.1. La partecipazione del management
Sicuramente, tra gli aspetti essenziali da regolamentare in un accordo di Lock-Up troviamo la disciplina circa le partecipazioni dei manager nella partecipata.
Infatti, è necessario capire quale sia l’ammontare che i manager intendono investire nell’operazione e, di conseguenza, la portata della loro partecipazione azionaria successiva.
Per esempio, nelle operazioni di LBO, sarà necessario comprendere quale ammontare i manager sono disposti ad investire nella newco; di conseguenza si comprenderà la percentuale di partecipazione di cui gli stessi saranno poi titolari. Può essere che il management si scinda, per cui solo alcuni manager decidano di partecipare singolarmente all’investimento; oppure può darsi che decidano di costituire una c.d. management company, partecipandovi come gruppo.
3.1.2. Incentivi di investimento e modalità di disinvestimento
In alcuni casi, per incentivare i manager ad investire, sono previsti dei meccanismi che li portano più facilmente ad aderire all’accordo.
Infatti, se di norma si riconoscono delle partecipazioni direttamente proporzionali al capitale investito, con il ricorso a meccanismi alternativi è possibile che il management si senta più incentivato ad investire.
Ad esempio, riconoscendo al management la possibilità di ottenere un maggior numero di partecipazioni a fronte dello stesso investimento, sarà più facile ottenere questa collaborazione. Questo, per esempio, è ciò che accade con i c.d. meccanismi di stock option.
A queste, per esempio, si aggiungono strategie che consentono ai manager di vedere raddoppiata la propria partecipazione, subordinatamente al raggiungimento di alcuni obiettivi.
Allo stesso tempo è necessario che si regolamentino le possibilità di disinvestimento del management. Infatti, pur avendo la possibilità di vincolarlo alla società obiettivo per un certo periodo di tempo, è necessario precisare quali siano le situazioni in cui sia poi libero di disinvestire.
Normalmente, con accordi di questo tipo, il disinvestimento non può avvenire prima di 18 mesi; questo salvo che non intervengano delle modifiche alla proprietà aziendale.
In particolare, si rende necessario regolamentare sin da subito gli effetti che certe situazioni c.d. straordinarie produrranno sulla partecipazione dei singoli manager. Tra questi troviamo, per esempio, l’interruzione del rapporto tra manager e azienda, la morte o l’invalidità permanente.
A prescindere da ciò, il cuore dell’accordo sta nell’obbligo assunto dai manager di impegnarsi esclusivamente in favore della società, per un periodo c.d. sufficientemente lungo (e prestabilito).
3.2. Accordi di Lock-Up: obbligatori o volontari?
In genere, gli accordi di Lock-Up sono di natura volontaria. Questo perché sono gli stessi azionisti, in accordo con i manager, a decidere di non cedere completamente (e immediatamente) le proprie quote; questi si impegnano a raggiungere determinati risultati o quantomeno a far trascorrere un certo periodo di tempo c.d. di rischio.
Proprio per questo si tratta di un accordo che, come un comune accordo di natura volontaria, si conclude con una scrittura privata tra le parti.
Tuttavia, ci sono alcune specifiche situazioni nelle quali un accordo di questo genere, che quindi vincoli il management alla società, diventa obbligatorio per legge. Ciò accade alla presenza di due condizioni della società emittente, quando:
- svolge la propria attività da meno di 3 esercizi;
- presenti domanda di quotazione in borsa.
Alla presenza di queste condizioni, gli azionisti che abbiano acquistato dei titoli nei 12 mesi precedenti alla data di presentazione della domanda sono obbligati a concludere l’accordo. In particolare, si impegnano a non compiere operazioni che coinvolgano l’80% (o più) delle proprie partecipazioni, per un periodo di almeno 1 anno dalla quotazione.
Si tratta, in questo caso, di un impegno che viene assunto direttamente nei confronti di Borsa Italiana.
3.3. Accordi di Lock-Up e informativa
E’ essenziale che l’esistenza di accordi e di clausole di Lock-Up venga preventivamente comunicato ai potenziali azionisti e/o manager.
Questo perché si tratta di accordi che influiscono sui prezzi, ma anche e soprattutto perché si tratta di accordi che costituiscono dei veri e propri vincoli per un cero periodo di tempo.
Per questo, è essenziale che nel c.d. prospetto informativo fornito ai potenziali acquirenti sia dettagliatamente indicata la disciplina di questi accordi. In particolare, la presenza di questa precisazione può rappresentare sia un vantaggio che uno svantaggio per il potenziale acquirente.
Infatti, da un lato l’acquirente confiderà su un’offerta di azioni limitate per l’intera durata dell’accordo; dall’altro però se, alla scadenza di tali accordi, i soci procedono ad un c.d. disinvestimento di massa, si assisterà ad un crollo del loro valore.
3.4. Considerazioni
La stipulazione di accordi di Lock-Up può rappresentare un’ottimale soluzione di investimento, in diverse circostanze. Ad esempio, laddove sia necessaria una collaborazione con il management della società obiettivo, per un certo periodo di tempo.
Si tratta di accordi che non sempre sono su base volontaria poiché, alla presenza di certe condizioni previste dalla legge, è obbligatorio ricorrervi.
In entrambi i casi, sia volontari che obbligatori, è sempre comunque consigliabile rivolgersi a dei professionisti. Questo perché, da un lato è fondamentale comprendere se siano o meno presenti le condizioni che conducono alla conclusione di questo genere di accordi; d’altro canto, anche perché è fondamentale disciplinarne correttamente i contenuti.
Infatti, sono molteplici gli aspetti da regolamentare sia in termini di incentivi, che di quantificazione delle partecipazioni. E’ necessario che i contenuti dell’accordo siano in grado di portare alla società una serie di vantaggi, anche sulla base di ipotetiche previsioni future.
Per questo è essenziale la figura del professionista che, conoscendo a pieno questi aspetti tecnici, sarà in grado di guidarti nella stipulazione dell’accordo ottimale.
4. Accordi di Earn Out: cosa sono
Hai mai sentito parlare di accordi di Earn Out? Sai che potrebbero essere la soluzione ideale per la realizzazione della tua idea di investimento?
Negli investimenti particolarmente complessi, tra cui quelli di Private Equity, può capitare che la determinazione del prezzo di cessione sia un problema.
Questo perché può accadere che la valutazione della società cedente compiuta dall’imprenditore non corrisponda a quella realizzata dall’acquirente. Si rende necessario, quindi, trovare un accordo conciliativo che sia in grado di soddisfare tutti gli interessi in gioco.
Grazie alla stipulazione dei c.d. accordi di Earn Out, è possibile concludere con più facilità la negoziazione della cessione con controparte.
Tuttavia, nonostante questo genere di accordi possa giovare a problemi di negoziazione, si tratta di accordi non esenti da una serie di problematiche che è necessario tenere in considerazione prima di ricorrervi.
Se vuoi saperne di più, ti invito a proseguire la lettura di questo articolo! Comprenderemo insieme che cosa si intende per accordi di Earn Out e quali sono gli aspetti critici da tenere a mente, prima di stipularli.
4.1. Accordi di Earn Out
Trattasi di accordi stipulati tra le parti di un’operazione di investimento, nel corso della c.d. fase di negoziazione.
La fase di negoziazione è essenziale per la conclusione dell’investimento stesso. Infatti, è necessario che le parti trovino un accordo circa il prezzo della cessione, oltre ad una serie di condizioni contrattuali necessarie al perfezionamento dell’accordo.
L’accordo di Earn Out, impiegato in questa fase, è utile all’individuazione di un prezzo di cessione che sia concordato tra le parti.
In particolare, è una formula di pagamento che subordina il regolamento del prezzo (o la sua definizione), al raggiungimento di prefissati e specifici obiettivi da parte della società cedente.
In questo modo, l’acquirente inizia a versare una quota parziale del prezzo chiesto dal cedente; solo al raggiungimento di certi obiettivi, da parte della società oggetto di investimento, l’acquirente verserà la parte mancante.
Grazie a questo strumento è possibile dirimere le controversie circa il prezzo di cessione (che sarà subordinato al raggiungimento di certi obiettivi di investimento). Si renderà necessario individuare anticipatamente gli obiettivi da raggiungere, che consentiranno al cedente di ricevere il capitale mancante.
Si tratta di accordi particolarmente complessi, sia ai fini di quest’ultima individuazione, che nella fase di redazione vera e propria.
Vediamo perché.
4.2. La definizione delle aree di competenza
Tra i diversi problemi riscontrabili nella stipulazione di accordi di Earn Out, troviamo la definizione delle c.d. aree di competenza.
Infatti, è necessario che gli obiettivi pre-individuati, che consentiranno il rilascio del pieno prezzo di cessione, siano obiettivi oggettivamente raggiungibili da parte della società oggetto di investimento.
Ciò significa che dovranno essere obiettivi basati su una serie di variabili che la società sia in grado di manovrare e, di conseguenza, di controllare. Laddove vengano individuati obiettivi che la società non è in grado di auto-gestire, la conclusione dell’accordo sarà vana.
In genere ci si riferisce a singole voci quali gli ammortamenti o spese da capitalizzare entro certi limiti. Si tratta di scelte particolarmente complesse, anche in considerazione della loro tecnicità.
Nello specifico si rende difficile, non solo l’individuazione dell’obiettivo da raggiungere, ma anche il parametro da utilizzare per individuarne la soddisfazione.
Inoltre, di norma, per l’intera durata dell’accordo, l’acquirente avrà una quasi inesistente capacità di influire sulle scelte politiche della società.
Anche questo punto può rappresentare una difficoltà, che l’acquirente può non essere disposto ad accettare.
4.3. Gli scostamenti dagli obiettivi degli accordi di Earn Out
Tra le difficoltà di stipulazione di un accordo di Earn Out, si inserisce anche il problema del c.d. scostamento.
In particolare, ci si riferisce a quelle situazioni in cui gli obiettivi prefissati non vengono raggiunti oppure, a contrario, vengono superati.
E’ infatti necessario definire con chiarezza quali siano le conseguenze nel caso in cui la società, per esempio, superi l’obiettivo prefissato di certe percentuali. In alcuni casi si prevede una maggiorazione del prezzo di cessione preventivamente individuato.
Questa soluzione, peraltro, fungerà da incentivo ai cedenti che saranno portati ad impegnarsi per il raggiungimento di risultati ottimali.
D’altro canto, è necessario indicare anche le conseguenze derivanti dal mancato raggiungimento dell’obiettivo stabilito.
Ad ogni modo è fondamentale che si indichi il periodo di durata dell’accordo e che si individuino le tempistiche in cui questi scostamenti si sono verificati. Laddove si abbia un aumento produttivo al di fuori della durata contrattuale, questo non potrà computarsi al fine del pagamento del prezzo di cessione.
E’ quindi importante prevedere tutte le ipotesi che in futuro potrebbero verificarsi e regolamentarle.
4.4. La contabilità negli accordi di Earn Out
Per il corretto funzionamento degli di accordi di Earn Out è necessario che sia tenuta una contabilità interna separata rispetto a quella ordinaria, che sia basata unicamente su criteri di natura economica.
Questo perché si rende necessario l’impiego di un bilancio consuntivo prettamente economico che sia in grado di valutare oggettivamente il raggiungimento o meno degli obiettivi.
Questa particolarità implicherà una certa complessità contabile, oltre che il sostenimento di importanti costi.
4.5. I vantaggi degli accordi di Earn Out
A fronte di tutti questi rischi e difficoltà, è importante anche considerare quali siano i vantaggi di questi accordi e, soprattutto, quali siano le situazioni in cui possono rivelarsi utili.
Infatti è bene considerare tutte le variabili che caratterizzano il proprio investimento e comprendere se il ricorso a negoziazioni di questo tipo sia la soluzione ideale.
In genere la risposta è affermativa se la società si trova in un periodo economicamente incerto. In questi casi, infatti, sarà possibile negoziare immediatamente dei prezzi ridotti, a fronte di potenziali recuperi importanti in un periodo futuro, con la ripresa dell’investimento.
Oltre alle condizioni di mercato, anche le caratteristiche dell’azienda (o dei suoi prodotti) possono incidere molto sul successo di questi accordi. Infatti, in genere, hanno successo gli accordi di Earn Out impiegati nelle aziende che:
- dipendono da un prodotto specifico o da un unico cliente;
- sviluppano prodotti o tecnologie innovative;
- sono in difficoltà e hanno impiegato il meccanismo della ristrutturazione.
4.6. La singolarità degli accordi
Pur trattandosi di strumenti particolarmente utili a dirimere controversie in fase di negoziazione, è necessario che l’accordo di Earn Out sia pensato e plasmato sulle specifiche caratteristiche di ogni caso concreto.
Deve quindi trattarsi di un accordo singolare, tipico di quello specifico e preciso investimento. Questo perché le problematiche che possono emergere sono diverse e, soprattutto variabili, in base al singolo caso.
Di conseguenza, ad ogni situazione seguirà una soluzione diversificata.
Proprio per la complessità, soprattutto tecnica, di questi accordi è bene che vi si ricorra limitatamente; solo nel caso in cui la c.d. negoziazione tradizionale non sia in grado di risolvere problemi nella trattativa contrattuale.
Infatti, accordi e decisioni che vengono presi in fase di negoziazione avranno poi necessariamente dei risvolti sulla vita futura della società oggetto di investimento.
Decisioni che vengono prese oggi potrebbero compromettere la produttività futura dell’azienda o, per esempio, limitarla.
5. Conclusioni
Il disinvestimento è un aspetto essenziale all’interno dei mercati di rischio.
Questo perché, a differenza dei mercati chiusi caratterizzati principalmente da un azionariato ben definito e interessato all’andamento sociale, il mercato di rischio ha un azionariato diffuso.
Ciò significa che gli azionisti, ben potendo essere soggetti diversificati e provenienti da diverse parti nel mondo, hanno poche occasioni di confronto. Inoltre anche se vi sono poche occasioni per confrontarsi, comunque non ne hanno interesse.
Infatti i loro investimenti sono finalizzati al medio-breve periodo e, quindi, hanno l’obiettivo di disinvestire nel momento più opportuno per i loro guadagni.
Per questo, soprattutto in riferimento agli investitori tipici di questi mercati, è essenziale che siano loro garantite delle modalità di disinvestimento agevolate.
In genere si ricorre alle clausole di way out, ma in altre occasioni si preferiscono clausole alternative e più adatte alla struttura della società considerata.
Se sei interessato a saperne di più, ti invito a chiedere una consulenza ai Professionisti di ObiettivoProfitto.it. Sapranno illustrarti i diversi strumenti messi a disposizione del legislatore, ti aiuteranno ad individuare quello più adatto alle tue specifiche esigenze e, soprattutto, ti guideranno nei relativi adempimenti normativi quali la modifica dello statuto o la redazione di patti parasociali.
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