Ricorso contro un avviso di accertamento: come farlo

Hai ricevuto un provvedimento impositivo dall’Amministrazione finanziaria? 

Lo sai che se sussistono dei vizi di legittimità o di fondatezza puoi impugnarlo? Questo è esattamente il tema che affronteremo in questo articolo.

Se l’atto impositivo ha dei vizi, puoi impugnarlo presentando ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria competente per territorio di primo grado (ex Commissione Tributaria provinciale). 

L’impugnazione dell’atto risulta essere necessaria solo dopo aver valutato concretamente l’opportunità di definire il provvedimento impositivo mediante le procedure alternative del contenzioso come ad esempio l’accertamento con adesione, l’adesione alle comunicazioni di irregolarità, definizione agevolata delle azioni, accordo di mediazione etc.

Nel prosieguo, pertanto, verrà analizzato più diffusamente il ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria, sia di primo che di secondo grado, contro gli atti impositivi e le cartelle di pagamento notificate.

Per ulteriori approfondimenti leggi:

1. La riforma del processo tributario 

Prima di capire come presentare il ricorso dinanzi al Giudice competente, è necessario analizzare brevemente la riforma del processo tributario, la quale ha letteralmente stravolto questo giudizio. La riforma è stata attuata con la Legge 31 agosto del 2022 n. 130 la quale ha introdotto nuove disposizioni per la riforma del processo tributario, la quale ha innanzitutto modificato la denominazione delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali in Corti di Giustizia Tributaria, sia di primo che di secondo grado. 

Ancora, è stato introdotto nel nostro ordinamento la figura del magistrato tributario speciale, ovvero, un magistrato specializzato proprio nel settore del diritto tributario, reclutato mediante una procedura concorsuale ad hoc. 

Ma non finisce qui, il legislatore ha introdotto interessanti novità anche con riferimento alle udienze da remoto, infatti, dal primo settembre del 2023 il personale amministrativo ed i Giudici possono operare a distanza e l’udienza viene celebrata a distanza qualora tutte le parti ne facciano richiesta, con istanza apposita. 

Infine, è stata introdotta anche una nuova procedura di conciliazione per le controversie soggette a reclamo presso la Corte di Giustizia Tributaria. La proposta di conciliazione, infatti, può essere formulata sia in udienza che fuori udienza, avuto riguardo all’oggetto della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione. 

Queste sono solo alcune delle novità, per avere maggiori informazioni e dettagli sulla riforma del processo tributario clicca qui.

2.  Come trovare la Corte di Giustizia competente 

Per poter presentare il ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria avverso gli atti impositivi o di riscossione dell’Agenzia delle entrate, è fondamentale individuare qual è la Corte territorialmente competente a conoscere la controversia. 

A tal fine, la regola generale da conoscere è quella per cui le Corti di Giustizia Tributariasono competenti per i ricorsi proposti nei confronti degli enti che hanno la propria sede nelle relative circoscrizioni. Ciò significa, in poche parole, che, per sapere qual è la Corte competente, è fondamentale sapere dove ha sede l’Ufficio che ha emesso l’atto impositivo o di riscossione. 

Nel caso in cui il ricorrente dovesse presentare il proprio ricorso dinanzi ad una Corte di Giustizia di primo grado territorialmente non competente, quest’ultima ha la possibilità di rilevare d’ufficio la propria incompetenza e affermare la competenza di una diversa Corte di Giustizia Tributaria innanzi alla quale sarà riassunto il processo ai sensi dell’art. 5 del D.lgs. n. 546 del 1992. 

Una volta incardinato il giudizio, la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado ha diversi poteri istruttori consistenti nella possibilità di effettuare accessi, richiedere dati, chiarimenti, informazioni etc. 

Prima della sopra richiamata riforma, non erano ammesse, dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria, le prove per giuramento e per testimonianza, pur potendosi utilizzare le dichiarazioni rese dai terzi al di fuori del processo. Viceversa, oggi, il suddetto limite è stato superato ammettendo anche la testimonianza c.d. scritta. 

Infatti, ove la Corte di Giustizia Tributaria ritenga necessario, ai fini della decisione, finanche senza accordo delle parti, può senz’altro ammettere la prova testimoniale scritta, ovvero assunta con le forme di cui all’art 257 bis del C.p.c.  Tuttavia, è bene sapere che ove la pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (ovvero dell’Agenzia delle Entrate) dovesse essere fondata su verbali o comunque su atti facenti fede fino a querela di falso (ad esempio una scrittura autenticata o atto pubblico) la prova è ammessa solo ed esclusivamente su circostanze di fatto diverse da quelle che risultano attestate dal Pubblico Ufficiale

3. Come avviene la difesa all’interno del processo tributario?

Finora abbiamo detto che se vuoi difendere il tuo interesse nei confronti di un atto impositivo o di riscossione viziato puoi fare ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria. Qui sorge il primo problema. Non sempre puoi difenderti da solo in giudizio.

Esistono delle regole sulla base del valore della causa. Per controversie:

  • Fino a 3.000 euro: secondo la legge l’interessato può difendersi in giudizio da solo senza ricorrere ad un difensore abilitato;
  • Oltre i 3.000 euro: chi è interessato a fare ricorso deve farsi assistente necessariamente da un difensore, il quale può essere un avvocato, un commercialista iscritto all’Albo o coloro che rientrano in una delle altre categorie specifiche indicate dalla legge.

Se devi ricorrere ad un professionista per la tua difesa, puoi farlo tramite procura con la forma dell’atto pubblico, della scrittura privata, in calce o a margine dell’atto del processo.

3.1. Quali atti puoi impugnare di fronte alla Corte di Giustizia Tributaria di Primo grado 

L’Agenzia delle Entrate emette un gran numero di atti diversi tra loro. Quali sono quelli impugnabili?

provvedimenti con cui definisce una pretesa tributaria ben precisa a carico del contribuente. Anche se non viene chiesto un pagamento immediato.

Tuttavia, affinché tu possa impugnare l’atto, questo deve esserti stato notificato. Altrimenti, in caso contrario, potrai impugnarlo successivamente insieme al secondo atto correttamente notificato.

Ma ora vediamo quali sono gli atti che secondo la legge, sulla base dell’art.19 D.Lgs. n. 546/1992, puoi impugnare:

  • Avviso di accertamento del tributo;
  • Avviso di liquidazione del tributo;
  • Provvedimento che irroga le sanzioni;
  • Ruolo e cartella di pagamento;
  • Avviso di mora;
  • Iscrizione di ipoteca sugli immobili;
  • Fermo amministrativo;
  • Atti relativi alle operazioni catastali;
  • Rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti;
  • Diniego o revoca di agevolazioni o rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;

Il tema della tipologia degli atti impugnabili dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado è stata di recente attenzionata dalla Corte di Cassazione, la quale ha affermato l’impugnabilità anche di altri atti che non sono ricompresi nell’elenco fornito dalla legge e sopra descritto, come ad esempio le c.d. comunicazioni di irregolarità fiscale

Infatti, con ord. N. 3466 del 2021 i giudici ermellini hanno osservato che l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del D.lgs. 546/1992, pur comunemente considerata come tassativa, deve essere interpretata in senso estensivo, in ossequio alle norme costituzionali in materia di tutela del contribuente (combinato disposto degli art. 24 e 53 della Costituzione) e di buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Costituzione) nonché in conseguenza dell’allargamento progressivo della giurisdizione tributaria operato con legge 448 del 2001. 

Altro provvedimento di cui si è ampiamente discussa l’impugnabilità o meno, è il c.d. estratto di ruolo. In passato la Suprema Corte di Cassazione si era mostrata aperta alla sua impugnabilità dinanzi alla giustizia tributaria, tuttavia, tale possibilità è stata ampiamente limitata con l’intervento del legislatore. 

Più precisamente, l’art. 3 bis del Decreto-legge n. 146 del 2001 (successivamente convertito in Legge n. 215/2021) ha introdotto l’art. 4 bis del DPR n. 602/1973 il quale ha previsto che l’estratto di ruolo non è impugnabile. 

Infatti, il ruolo nonché la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata, sono suscettibili di essere impugnati nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio concreto. 

Tale pregiudizio può derivare:

  • dalla mancata partecipazione a una procedura di appalto (ai sensi dell’art. 80 comma 4 del Codice dei Contratti Pubblici, di cui al Decreto-legge n. 50 del 2016);
  • per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici ai sensi dell’art. 1 comma 1 lettera a) del Reg. del DM 18 gennaio 2008 n. 40 per effetto delle verifiche di cui all’art. 48 bis;
  • infine, per perdita di un beneficio nei rapporti con una Pubblica Amministrazione. 

Con l’intervento del legislatore è sembrato, almeno per parte della dottrina, che il problema fosse stato risolto dal legislatore, tuttavia, non è proprio così. Infatti, sono sorti alcuni dubbi in ordine all’applicabilità retroattiva della citata norma preclusiva, ovvero, se la regola della non impugnabilità dell’estratto di ruolo fosse applicabile anche ai processi pendenti al momento dell’entrata in vigore della relativa legge. 

Il punto è stato chiarito dalla Corte di Cassazione con l’autorevolezza delle Sezioni Unitecon la sent. 6 settembre 2022 n. 26283 con la quale ha stabilito che, in tema di riscossione a mezzo di ruolo, la novella legislativa sopra richiamata e descritta, si applica ai processi pendenti poiché specifica l’interessa alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o comunque invalidamente notificata. 

Tuttavia, al contempo, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della norma, con riferimento agli artt. 3,24,101,104,113,117 della Costituzione.  

3.2. La comodità del Processo Tributario Telematico

Per proporre l’impugnazione degli atti notificati dall’Agenzia delle Entrate a partire dal 1 luglio 2019 è obbligatorio ricorrere dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado avvalendosi del c.d. Processo Tributario Telematico (PTT). 

Grazie al PTT è possibile effettuare le notifiche nonché i depositi degli atti processuali direttamente in modo digitale, evitando così la creazione di faldoni e di documenti che nel tempo possono essere smarriti. 

Per effettuare questo procedimento digitale devi registrarti sull’applicazione PTT del Sistema informativo della Giustizia Tributaria

In realtà, non è nulla di così complicato. Ti basta avere:

  • Una connessione a Internet;
  • Una firma digitale;
  • La casella di Posta Elettronica Certificata, la cosiddetta PEC.

La registrazione serve per farti accedere al PTT che abbiamo nominato, dal quale potrai inviare documenti e accedere al fascicolo informatico che riguarda il ricorso che hai presentato.

Essendo tutto telematico anche il giudice, dall’altra parte, potrà vedere gli stessi documenti.

È molto importante sottolineare che questa possibilità è aperta solamente per cause superiori a 3.000 euro, quindi non per coloro che possono difendersi in giudizio da soli.

4. Come si presenta il ricorso davanti alla Corte di Giustizia Tributaria 

Un aspetto fondamentale, prima di poter presentare l’apposita impugnazione, è capire se essa debba essere effettuata direttamente con il ricorso oppure quest’ultimo debba necessariamente essere preceduto da un apposito reclamo.

La legge stabilisce, infatti, che il contribuente debba presentare il reclamo al fine di avviare un procedimento di mediazione con il Fisco, al fine di trovare una soluzione stragiudiziale alla questione insorta, pertanto, al fine di evitare che quest’ultima possa pervenire dinanzi al Giudice tributario di primo grado (ovvero la Corte di Giustizia Tributaria). 

Più precisamente, al fine di stabilire se sia necessario o meno il reclamo, è sufficiente capire se l’oggetto del contendere (ovvero la controversia) abbia un valore superiore o non superiore ad euro 50 mila.

Infatti, le controversie il cui valore è pari od inferiore ad euro 50 mila, è necessario proporre preventivamente il reclamo. Ancora, potrebbe accadere (come spesso accade in realtà) che le controversie abbiano un valore c.d. indeterminabile. Esse, pertanto, non sono sottoposte all’obbligo preventivo del reclamo, salvo che non abbiano per oggetto questioni relative alle operazioni catastali, per le quali, invece, l’obbligo di reclamo sussiste.

Il reclamo deve essere presentato, a pena di decadenza, entro e non oltre 60 giorni (oltre la sospensione feriale dei termini) dalla notifica dell’atto che intende impugnarsi, mediante la sua notifica all’Agenzia delle Entrate.

Giunti a questo punto potrebbe sorgere spontanea la domanda: cosa accade dopo aver presentato il reclamo? Ebbene, si apre un periodo di 90 giorni (beninteso, in quest’arco temporale deve considerarsi anche la sospensione feriale dei termini) entro il quale la procedura può essere senz’altro conclusa mediante un accordo con l’ufficio e nel cui periodo risultano sospesi la riscossione ed il pagamento delle somme richieste al contribuente.

Fatto ciò, l’ufficio provvede successivamente ad esaminare il reclamo e, ove esistente, la proposta di mediazione. Nel caso in cui l’ufficio non dovesse aderire alla proposta di mediazione, formula una propria proposta alla luce della eventuale incertezza delle questioni controverse e del grado di sostenibilità della pretesa

4.1. Come va presentato il ricorso 

Nel caso in cui non debba essere presentato apposito reclamo, è possibile presentare direttamente il ricorso (ovvero l’atto introduttivo mediante il quale è possibile incardinare il giudizio vero e proprio dinanzi al Giudice) attraverso la sua notifica all’Agenzia delle Entrate, nel termine di 60 giorni, dalla notifica dell’atto che si vuol impugnare. 

Premesso ciò, è bene sapere che la mancata impugnazione dell’atto nei termini di cui sopra, comporta la definitività del provvedimento. Ciò significa che il c.d. ricorso non tempestivo (ovvero presentato dopo i 60 giorni) dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado verrà dichiarato semplicemente inammissibile e, pertanto, non sarà valutato nel merito. 

Ad ogni modo, il ricorso deve contenere, ai sensi dell’art. 18 del D.lgs. 546/1992: 

  • La Corte di Giustizia Tributaria competente;
  • Il ricorrente e il suo rappresentante abilitato, con residenza, sede legale o domicilio eletto, insieme a codice fiscale e indirizzo PEC;
  • L’Ufficio nei confronti del quale viene proposto il ricorso;
  • L’atto impugnato e l’oggetto della domanda;
  • I motivi per cui si propone ricorso;
  • La sottoscrizione del contribuente o del difensore indicando categoria, conferimento dell’incarico e indirizzo PEC.

Se manca anche solo uno di questi elementi, la Corte di Giustizia Tributariadichiara inammissibile il ricorso.

4.2. Il contribuito unificato tributario 

All’atto di costituzione in giudizio il ricorrente è tenuto a pagare il cosiddetto Contributo Unificato Tributario il cui valore varia a seconda del valore dell’importo della lite oggetto del processo. 

Da: 

  • Zero euro fino a 2.582, 28 euro: 30 euro;
  • Da 2.582, 28 euro fino a 5.000,00: 60 euro;
  • Da 5.000,01 fino a 25.000,00: 120 euro;
  • Da 25.000,01 fino a 75.000,00: 250 euro; 
  • Da 75.000,01 fino a 200.000,00: 500 euro;
  • Da 200.000,01 in su: 1.500,00 euro. 

4.3. Come si svolge il processo di primo grado dinanzi alla corte di giustizia tributaria 

Dopo aver analizzato, seppur sommariamente, la fase prodromica ed introduttiva del giudizio dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria, è necessari ora analizzare come avviene lo svolgimento del processo di primo grado

Dopo che il contribuente si è correttamente e tempestivamente costituito in giudizio, spetterà alla Agenzia delle Entrate fare altrettanto, nel termine di 60 giorni o di 90 giorni a seconda che sia stato presentato oppure il reclamo nei termini e nei modi analizzati sopra. 

Una volta costituitesi le parti, è possibile effettuare l’integrazione dei motivi di ricorso. Essa è ammessa solo ove necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della Corte e deve essere fatta entro e non oltre il termine di 60 giorni dalla data in cui il soggetto interessato ha avuto notizia del suddetto deposito. 

La fissazione dell’udienza di discussione della causa viene comunicata dalla segreteria della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado alle parti che si sono precedentemente costituite in giudizio entro 30 giorni prima della data stabilita, ai sensi dell’art. 31 del D.lgs. 546/1992

Dopodiché, sia la parte ricorrente che l’Agenzia delle Entrate possono depositare documenti fino a 20 giorni liberi prima della data di trattazione della causa, mentre fino a 10 giorniprima, possono procedere a depositare memorie illustrative. Infine, solamente in caso di trattazione della controversia in camera di consiglio, sono consentite delle vere e proprie deduzioni scritte fino a 5 giorni liberi prima della data della camera di consiglio. 

Infine, la causa viene trattata in camera di consiglio, salvo che almeno una delle parti non abbia chiesto la pubblica udienza, con apposita istanza da depositare presso la segreteria. In caso di pubblica udienza, il giudice relatore espone al Collegio i fatti e le questioni della controversia e, quindi, il Presidente permette alle parti di esporre le proprie argomentazioni difensive. 

Dopo tale udienza, la quale è meramente eventuale beninteso, la Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado, delibera la decisione di merito con apposita sentenza che può accogliere o rigettare il ricorso presentato dal contribuente il cui dispositivo deve essere comunicato, a cura della segreteria, al ricorrente stesso. 

Con la medesima sentenza, la Corte condanna anche la parte soccombente al pagamentodelle cosiddette spese di liti e delle spese di giudizio nonché, ove necessario, al pagamento del risarcimento del danno per responsabilità aggravata in favore di controparte. 

La Corte, ancora, può decidere di compensare le spese di giudizio delle parti in caso di soccombenza parziale reciproca oppure nel caso in cui la soccombenza sia dovuta a causa delle eccezionali e gravi ragioni rilevate nel caso oggetto della controversia. 

Per questo motivo, dunque, il legislatore ha cercato di ridurre i ricorsi strumentali e inutili. Pertanto, nel caso in cui si voglia ricorrere dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria è consigliabile farlo solo ed esclusivamente nel caso in cui le motivazioni siano fondate.  

4.4. La condanna alle spese come regola del contenzioso tributario 

Con la riforma del contenzioso tributario più volte citata, il Giudice tributario ha il dovere di condannare la parte soccombente al pagamento delle spese sostenuto dal Fisco per il processo. Pertanto, solamente in casi eccezionali la Corte di Giustizia Tributaria ha la possibilità di compensare le spese di giudizio, come sopra anticipato, ai sensi dell’art. 15 del D.lgs. 546/1992.

In poche parole, il contribuente che perde, o meglio, che risulta essere soccombente nel merito, si trova a dover sostenere sia le spese per la propria difesa, sia quelle per la difesa del Fisco, oltre a dover pagare le imposte, le sanzioni e gli interessi relativi all’atto oggetto del contendere. 

Le spese di liti per il Fisco sono calcolate con apposite tariffe concernenti i compensi degli avvocati previste dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 ridotte del 20%. Ad esempio, per una causa dal valore di euro 18 mila, il contribuente può essere condannato a pagare fino a 6 mila euro di spese legali dovute dal Fisco. Inoltre, il suddetto importo va aumentato del 50% (arrivando alla bellezza di 9 mila euro) trattandosi di controversia introdotta con reclamo ai sensi e per gli effetti dell’art. 17 del D.lgs. 546/92. 

4.4.1. La lite temeraria

Come se non bastasse, il legislatore ha previsto una ulteriore possibilità di condanna per la cosiddetta “lite temeraria”. In estrema sintesi, le parti in giudizio possono essere condannate, oltre che al pagamento delle spese di liti, anche al risarcimento del danno per la loro responsabilità aggravata derivante dalla lite temeraria ai sensi dell’art. 96 C.p.c. e art. 15 del D.lgs. 546/1992. 

Ciò significa, ad esempio, che l’Agenzia delle Entrate può richiedere al Giudice di condannare il contribuente al pagamento delle spese di giudizio nonché il risarcimento del danno subito in quanto il contribuente ha agito in giudizio in mala fede (ovvero ben sapendo che non avrebbe dovuto impugnare l’atto poiché pienamente legittimo) o in colpa grave (ovvero avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza del buon padre di famiglia, che l’atto che ha impugnato era in realtà pienamente legittimo). 

È bene precisare che il legislatore, proprio in sede di riforma, ha escluso la responsabilitàaggravata del Fisco, dunque, la possibilità di condannarlo al risarcimento del danno per lite temeraria (magari a causa di una pretesa impositiva che è stata successivamente dichiarata inesistente).  

5. Impugnazioni

Al fine di rimuovere gli effetti pregiudizievoli derivanti dal provvedimento emesso dal giudice di primo grado, la parte soccombente può utilizzare le impugnazioni previste dalla legge al fine di ottenere una revisione ad opera di altro giudice. 

Le impugnazioni sono disciplinate dalle disposizioni del Codice di procedura civile, salvo quanto espressamente previsto dal D.lgs. 546/1992. I mezzi di impugnazione per le sentenze delle Corti tributarie sono espressamente disciplinati dall’art. 50 del D.lgs. 546/1992 e sono: 

  • L’appello contro le sentenze emesse dalla Corte di primo grado; 
  • Il ricorso per Cassazione avverso le sentenze emesse dalla Corte di secondo grado; 
  • La Revocazione, per le sentenze di appello e per le sentenze pronunciate in un unico grado o, per specifici motivi, per le sentenze non più appellabili. 

Ma non finisce qui, si segnala, infatti, che per i giudizi pendenti dal 1° gennaio 2023 dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione è prevista la possibilità di una definizione in via transattiva della controversia con l’Agenzia delle Entrate, avente ad oggetto atti impositivi, da perfezionare entro 30 giugno 2023. 

5.1. Quando è possibile effettuare l’impugnazione 

Per poter effettuare l’impugnazione di una sentenza è necessario il c.d. interesse ad impugnare, il quale sussiste solo se la parte che propone l’impugnazione sia stata soccombente (anche parzialmente) nonché la legittimazione ad impugnare, ovvero, essa sussiste solo nei confronti di chi ha assunto la qualità di parte nel processo in cui la sentenza oggetto dell’impugnazione è stata pronunciata, anche in caso di mancata costituzione in giudizio. 

Con riferimento ai termini, invece, ai sensi dell’art. 51 del D.lgs. 546/1992 la parte che vi ha interesse deve notificare l’atto di impugnazione entro il termine breve di 60 giorni dalla notifica, se la sentenza gli è stata notificata su iniziativa di controparte, oppure, nel termine lungo di sei mesi, dalla data di deposito della sentenza, se la sentenza non gli è stata notificata. 

6. Assistenza e difesa in giudizio contro l’avviso di accertamento

Come avrai potuto notare, il processo tributario è tutt’altro che semplice. Per poter affrontare un contenzioso così complesso e tecnico è fondamentale avere al proprio fianco esperti che si sono specializzati in questo particolare settore del diritto. 

Se vuoi conoscere più nello specifico la disciplina del ricorso, o se vuoi ottenere una consulenza in materia, scrivi ai nostri esperti tramite il Modulo di contatto che trovi in questa pagina.  

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