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Il risarcimento danni è uno dei principali strumenti che concorre a garantire l’effettività ed efficacia della tutela giurisdizionale. Può darsi che tu sia incappato nella particolare ipotesi di sinistro stradale, ove sorge una peculiare forma di responsabilità civile extracontrattuale, che costituisce la fonte dell’obbligazione di risarcimento danni.
Tuttavia, le forme di responsabilità sono molteplici e le più disparate. Esse, però, si distinguono in due grandi categorie, cioè la responsabilità extracontrattuale o aquiliana, di cui all’art. 2043 c.c., e la responsabilità contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 c.c..
Invero, avrai sentito parlare di frequente anche della c.d. responsabilità precontrattuale. Questa, a differenza delle due tipologie precedenti, non costituisce una terza categoria, ma è riconducibile ad una peculiare figura disciplinata all’art. 1337 c.c., da taluni qualificano come responsabilità aquilina, altri come responsabilità contrattuale.
Un danno può colpire il patrimonio e il soggetto danneggiato ha diritto ad ottenere un risarcimento economico che lo compensi della perdita subita.
Tuttavia, un danno può colpire anche la sfera emotiva o relazionale e, benché sia impossibile ripristinare completamente ciò che la vittima ha perso, è comunque accertabile l’esistenza di una lesione.
Laddove avessi subito un danno, ti invitiamo alla prosecuzione della lettura. Con il presente articolo ci auspichiamo di offrirti un quadro chiaro sulle forme di responsabilità e risarcimento danni contemplate dal nostro ordinamento.
1. Cos’è il risarcimento danni?
Ci sembra, opportuno chiarirti, in partenza, cosa si intende per risarcimento danni e quando è possibile proporre la relativa azione giudiziaria. L’ordinamento conosce due tipologie di responsabilità: la responsabilità contrattuale, ex art. 1218 c.c.: la responsabilità extracontrattuale o aquiliana, ex art. 2043 c.c. Alla prima categoria appartengono tutte le forme di responsabilità che derivano da inadempimento ad un’obbligazione, nascente o meno da contrattato. Si distingue dalla responsabilità aquiliana, dunque, in quanto presuppone un rapporto obbligatorio tra le parti.
La responsabilità aquiliana, invece, è quella posta a carico di colui che pone in essere un illecito civile, arrecando un danno a taluno. Essa è quindi volta a tutelare la pretesa del soggetto danneggiato a non esser leso da qualsiasi consociato. Non presuppone un rapporto pregresso tra le parti, anzi, si ritiene che il primo contatto tra danneggiato e danneggiante sia costitutito proprio dall’illecito.
Tutto ciò che consiste in un danno ingiusto provocato da un comportamento doloso, quindi volontario, o colposo, causato da negligenza, imprudenza o imperizia, fa ricadere in capo al soggetto che l’ha posto in essere l’obbligo di risarcirlo.
Esistono diverse tipologie di danno. Questo può essere un danno patrimoniale o non patrimoniale. E, ancora, può avere un’origine contrattuale o extracontrattuale.
2. Risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale
Per analizzare l’istituto del risarcimento del danno, iniziamo scoprendo il caso più comune che si può verificare nella vita di tutti i giorni: la responsabilità extracontrattuale.
A regolare questo caso è l’art. 2043 del c.c., la norma afferma che:”Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Molto semplicemente stabilisce che qualunque fatto, sia esso doloso o colposo, che cagioni un danno ingiusto a qualcuno, obbliga colui che lo ha commesso a risarcirlo.
La disposizione in esame introduce una delle clausole generali dell’ordinamento, ossia realizzata la c.d. atipicità dell’illecito civile. Sarà, infatti, l’interprete a selezionare le condotta illecite che causano risarcimento.
La norma introduce il generale dovere a carico di tutti i consociati di astenersi da condotte dannose e lesive della sfera giuridica altrui. Quindi, in virtù della predetta disposizione, differentemente da quanto accade nell’ipotesi di responsabilità contrattuale, non si pone in capo al soggetto un dovere di azione positiva, cioè di agire con una condotta volta a far conseguire un determinato beneficio.
Per poter ottenere il risarcimento sono necessari il danno ingiusto, una condotta antigiuridica (che vada contro qualsiasi normativa) e il nesso di causalità che colleghi la condotta al danno.
2.1. Il danno
Preliminarmente, sembra opportuno chiariti il concetto di danno. Quando avrai una precisa idea di cosa esso identifichi, potrai adottare la strategia giudiziaria, che meglio si conforma alle tue esigenze.
L’art. 2043 c.c. cita ben due volte il concetto di danno, in un caso aggettivandolo con il termine ingiusto, nell’altro, invece, privo di qualificazione.
E’, allora, evidente l’intenzione del legislatore di individuare due concetti ben distinti.
Il primo si riferisce al c.d. danno evento, cioè quello qualificato come ingiusto. Esso indica la lesione dell’interesse giuridicamente rilevante e meritevole di tutela.
Il secondo, invece, si identifica con le conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’evento lesivo, che siano a carattere patrimoniale o non patrimoniale, ossia il c.d. danno conseguenza.
La presenza di quest’ultimo ci permette di comprendere la funzione essenziale della responsabilità civile, ossia quella compensativa. Con ciò si suol far riferimento all’esigenza di ricollocare il danneggiato nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato, ove non fosse stato posto in essere l’illecito civile.
Il diritto al risarcimento sorge solo laddove sia possibile in concreto individuare le conseguenze pregiudizievole della condotta, le quali saranno risarcite.
E’ ormai pacifico che il danno si considera ingiusto secondo duplice accezione. Infatti, è tale se la condotta non sia autorizzata o tollerata dall’ordinamento e, con essa, il relativo danno.
Quest’ultimo si dice ingiusto, quando è lesivo di una posizione o di un interesse tutelato dall’ordinamento, quindi in contrasto con un norma di legge, in quanto tale antigiuridico.
In breve, queste due caratteristiche sono espressione di quella valutazione “bifasica”, che ha ad oggetto un giudizio sugli interessi della parte lesa e dell’autore del fatto illecito, che conduce alla identificazione di un danno come ingiusto.
2.2. Il nesso di causalità
Come suddetto, l’art. 2043 c.c. introduce due tipologie di danno: danno evento e danno conseguenza. Ad essi corrispondono altrettante due forme di causalità, ossia la materiale, tra condotta e evento, e la giuridica tra danno evento e danno conseguenza. La prima delle due forme di causalità serve a imputare obiettivamente l’evento lesivo all’autore della condotta. La seconda invece serve a selezionare quelle che sono le conseguenze che possono derivare da un fatto illecito, sono suscettibili di essere addossate al danneggiane mediante il risarcimento del danno.
La prima delle due forme di causalità si individua attraverso a teoria condizionalistica, così come elaborata dalla disciplina penalistica, quindi con il correttivo dell’art. 41, comma 2, c.p.. Allora è necessario un giudizio prognostico, attraverso il quale si elimina idealmente la condotta e si verifica, secondo il canone civilistico del più probabile che non, se l’evento si sarebbe comunque prodotto. A differenza del diritto penale, nel diritto civile la cuasalità materiale si ha per accertata con la logicità del “più probabile che non”.
E’ opportuno precisare che secondo la giurisprudenza, più probabile che non significa semplicemente che un evento si pone come antecedente causale con maggiore probabilità rispetto ad altri possibili cause.
Secondo alcune applicazioni giurisprudenziali può anche trattarsi di una maggiore probabilità in senso solo relativo e non assoluto. In presenza di più possibili e diverse concause di un medesimo fatto, nessuna delle quali appaia né del tutto inverosimile, né risulti con evidenza avere avuto efficacia esclusiva rispetto all’evento è compito del giudice valutare quale di esse appaia più probabile che non, rispetto alle altre nella determinazione dell’evento. Non è dunque possibile negare il nesso per il solo fatto che il danno sia teoricamente ascrivibile a carie alternative ipotesi.
La causalità giuridica, invece, serve a stabilire quali sono i danni conseguenza risarcibili. La causalità giuridica serve a stabilire quali danni conseguenza sono risarcibili. Essa trova il fondamento normativo nel 1223 c.c. che prevede la risarcibilità solo dei danni che siano conseguenza diretta e immediata dell’illecito. La giurisprudenza accoglie, tuttavia, un’interpretazione aletterale della norma. E’ ammesso anche il risarcimento dei danni indiretti e mediati, purché riconducibili all’illecito in base al criterio della c.d. regolarità causale. Ad esempio, si è ammessa la risarcibilità del c.d. danno riflesso o da rimbalzo subito non dalla vittima materiale dell’illecito, ma da un terzo collegato alla vittima da un rapporto qualificato, come in caso di uccisione del genitore reclamato dal figlio.
3. Risarcimento danni per responsabilità contrattuale
In questo caso, invece, il danno deriva da inadempimento. Nonostante si definisca come contrattuale, essa è la responsabilità che sorge ogniqualvolta vi è un’obbligazione, anche laddove essa discenda dalla legge, indipendentemente, quindi dalla sua fonte.
La persona interessata potrebbe non aver adempiuto del tutto a ciò che stabiliva il contratto oppure potrebbe averlo fatto tardivamente.
I requisiti indispensabile, al fine di rintracciare una responsabilità contrattuale, quindi l’inadempimento, sono i seguenti:
- esistenza dell’obbligazione;
- esigibilità ed attualità della prestazione in essa dedotta;
- mancata esecuzione della prestazione;
- nesso causale tra il mancato verificarsi della prestazione ed il comportamento, commissivo od omissivo, tenuto dal debitore.
3.1. La natura della responsabilità contrattuale
Le teorie circa la natura della responsabilità contrattuale sono tre:
- oggettiva, in virtù della quale il debitore è responsabile per il solo fatto oggettivo dell’inadempimento, indipendentemente dall’elemento soggettivo della colpevolezza. Questo, quindi, potrà essere liberato da responsabilità solo in caso di impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile. Quindi deve offrire la prova di un evento imprevedibile ed inevitabile, non risultando sufficiente dimostrare di aver assunto una condotta conforme al dovere di diligenza, di cui art. 1176 c.c.;
- soggettiva per colpa, in questo caso la valutazione che dovrà essere effettuata rispetto alla responsabilità presuppone l’esame della colpa del soggetto. Quindi, in caso di inadempimento bisogna verificare se il soggetto si sia comportato con diligenza;
- soggettiva per colpa presunta, questa terza tesi, che si qualifica come un correttivo della precedente, presuppone che la colpa sia presunta, quindi è il debitore a liberarsi dalla responsabilità fornendo la prova della causa dell’inadempimento, che esclude la colpa.
3.2. Onere della prova
A seguito di molteplici evoluzioni giurisprudenziali (Cass. Sez. Un. n. 13533/2001), si è giunti ad affermare che il creditore dovesse provare solo ed esclusivamente la fonte del rapporto obbligatorio, come fatto costitutivo del credito, allegando semplicemente l’inadempimento. Mentre, in ossequio al principio di vicinanza della prova, spetta al debitore provare l’adempimento.
Più recentemente, con riferimento alla responsabilità medica (Cass. sez. III, ord. 26/02/2019 n. 5487), è stata tuttavia introdotta la distinzione tra causalità costitutiva ed estintiva. Con la prima, si intende il nesso intercorrente tra il danno e l’inadempimento, che dovrebbe esser provato dal creditore. Mentre, laddove esista tale nesso di causalità, il debitore è chiamato a provare la causalità estintiva, cioè che l’inadempimento non a lui stesso imputabile.
Laddove la responsabilità sia di natura aquiliana, tuttavia, l’onere della prova è posto a carico del danneggiato. Quest’ultimo dovrà provare il danno evento, il danno conseguenza, il rapporto di causalità e l’elemento soggettivo, ossia almeno la colpa del danneggiante.
4. Risarcimento danni Vs indennizzo
Un errore abbastanza comune è quello di confondere il risarcimento danni con l’indennizzo.
Il risarcimento danni è un obbligo imposto dalla legge ad un soggetto che abbia causato un danno ingiusto.
Diversamente, per aversi indennizzo non è necessario un danno ingiusto, ma basta un semplice pregiudizio che, tuttavia, necessita di una riparazione per ristabilire la situazione iniziale.
Quando sussiste un obbligo di indennizzo, spesso si è soliti parlare di responsabilità per fatto lecito, ma pregiudizievole.
Può, infatti, accadere che al fine di consentire un riequilibrio sostanziale nel rapporto tra due parti, il legislatore predisponga un indennizzo. Questo, in genere, è commisurato ad eventuali spese sostenute inutilmente, o comunque al c.d. interesse negativo.
5. Come si chiede il risarcimento danni?
Il primo tentativo che si può provare è quello di inviare una diffida nei confronti di chi ha commesso il danno ingiusto, indicando l’accaduto e quantificando il risarcimento danni.
Nel caso in cui si tratti di una responsabilità contrattuale, è necessario un atto di costituzione in mora per ottenere l’adempimento da parte del soggetto che ha causato il danno.
Esistono diverse tipologie di danno che rientrano in due macro categorie: il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale.
All’interno di queste, si possono identificare diverse voci di danno ingiusto che conferiscono al soggetto leso il diritto di chiedere il risarcimento danni.
5.1. I termini per chiedere il risarcimento
Quando la responsabilità è extracontrattuale il termine, allo scadere del quale il diritto cade in prescrizione, è di 5 anni, che decorre dal fatto illecito.
Diversamente, nel caso di responsabilità contrattuale, la richiesta può essere esperita per 10 anni. La data da cui decorre il termine è differente a seconda della specie del rapporto obbligatorio da cui deriva da risarcimento:
- laddove si tratti di un’obbligazione di dare o di fare, la domanda potrà essere proposta nel momento in cui si chiede l’adempimento della prestazione;
- invece, se nell’obbligazione è dedotta una prestazione di fare, il termine decorre dal giorno in cui si verifica l’inadempimento, il quale quindi identifica anche quello da cui potrà chiedersi la riparazione.
Il termine è di 2 anni nel momento in cui la richiesta di risarcimento danni viene presentata ad una compagnia assicurativa.
5.2. Il danno patrimoniale
Questa tipologia di danno va a colpire il patrimonio materiale della vittima ed esistono due criteri necessari affinché un danno possa considerarsi patrimoniale.
Generalmente, tali elementi del danno vengono identificati a seconda che si intende risarcire il c.d. interesse positivo o il c.d. interesse negativo. Ovviamente non ogni tipo di responsabilità comporta il risarcimento dello stesso tipo di interesse.
Ad esempio, la responsabilità precontrattuale, al di là della qualificazione in termini di responsabilità contrattuale o aquiliana, comporta sempre la reintegrazione dell’interesse negativo.
Con interesse negativo, in genere, si intendono le spese e le chance perse, a seguito delle trattativi inutilmente poste in essere. L’interesse positivo, invece, è la pretesa alla conclusione profittevole di un contratto, che sorge con il nascere di una responsabilità contrattuale.
5.2.1 Il danno emergente
Gli elementi che identificano il danno sono, quindi, molteplici il primo è quello del danno emergente. Significa che deve essere presente un’attuale perdita economica all’interno del patrimonio dovuta all’illecito posto in essere dal responsabile o al mancato adempimento di una disposizione contrattuale.
In genere, il danno emergente è la perdita di utilità già presenti nel patrimonio del danneggiato. Con ciò si intendono le possibili spese sostenute in conseguenza della condotta pregiudizievole, oppure il decremento economico provocato dalla mancata, inesatta o ritardata prestazione del debitore.
In questo caso, la vittima non può temporaneamente disporre di questa parte di patrimonio.
5.2.2. Il lucro cessante
Il secondo elemento è il lucro cessante. In questo caso ci troviamo di fronte al mancato guadagno che è stato provocato dall’illecito o dall’inadempimento di un obbligo contrattuale.
Questa ricchezza non si trovava ancora all’interno del patrimonio della vittima nel momento in cui è stata posta in essere la condotta antigiuridica. Tuttavia, quest’ultima ha impedito che si verificasse un guadagno futuro, il lucro cessante appunto.
Il lucro cessante si rintraccia laddove sussistano fattispecie che comportano l’impossibilità di utilizzare un bene, come ad esempio mancata percezione di frutti da un bene fruttifero. Altra ipotesi frequente si individua nella mancata realizzazione di rapporti contrattuali, nei cd. danni futuri. Un’esemplificazione in tal senso possono essere i danni provocati dalla perdita o diminuzione della capacità lavorativa oppure della capacità di versare prestazioni assistenziali.
5.3. Il danno non patrimoniale
Il danno non patrimoniale è costituito da una lesione legata alla persona della vittima e non al suo patrimonio materiale.
In genere, la lesione che causa danno non patrimoniale è di tipo psico-fisica, come angoscia, ansia, stato depressivo, che costituisce una conseguenza dalla commissione di un illecito.
La sua risarcibilità è ammessa soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge, come stabilito dall’art. 2059 c.c., tra i quali quello derivante dalla commissione di un reato. La norma prevede letteralmente che sono risarcibili i danni non patrimoniali “nei casi previsti dalla legge”. In tal modo, essa subordina la risarcibilità alla condizione che sia leso un interesse particolarmente qualificato. Il catalogo delle situazioni giuridiche che hanno una tutela risarcitoria estesa al danno non patrimoniale è un elenco chiuso, circoscritto e limitato.
Invero, la norma è soggetta ad una lettura costituzionalmente orientata, dalla quale sono stati desunti una serie di principi fondamentali:
- l’art. 2059 c.c. copre l’intera categoria del danno non patrimoniale che è categoria unitaria e onnicomprensiva, all’interno della quale le varie tipologie di pregiudizi non patrimoniali sono soltanto delle sotto voci interne, prive come tali di autonoma dignità normativa;
- la riserva di legge dell’art. 2059 c.c. deve essere interpretata in un’ottica costituzionalmente orientata, secondo cui, anche in mancanza di una norma legislativa che espressamente riconosca la risarcibilità del danno non patrimoniale, tale risarcibilità deve essere riconosciuta ogni volta che tale danno consegue alla lesione di un diritto fondamentale della persona costituzionalmente rilevante, sempre che il pregiudizio superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale;
- i diritti fondamentali protetti dalla Costituzione non sono, però, un numero chiuso, si tratta di una categoria dinamica, in costante aggiornamento alla luce sia del richiamato dell’art. 2 Cost. fa ai diritti inviolabili della persona, sia dell’apertura che la Costituzione opera verso le fonti sovranazionali che, a loro volta, tutelano diritti fondamentali.
Il danno non patrimoniale si identifica in tre categorie differenti.
5.3.1. Il danno biologico
Proprio con riferimento al diritto alla salute, si individua il concetto di danno biologico, esso quindi è riconducibile al diritto costituzionalmente riconosciuto all’integrità fisica.
Questo consiste in una lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica della persona che ha ripercussioni, prima di tutto, sulle attività quotidiane e sulle dinamiche relazionali, ancor prima di rilevare dal punto di vista della sua capacità di produrre reddito.
5.3.2. Il danno esistenziale
Si tratta di un danno che colpisce la sfera personale della vittima, facendola cadere in uno stato che le rende impossibile condurre le abitudini ed uno stile di vita pari a quello avuto prima di subire il danno.
La linea che lo divide dal danno morale è molto sottile e controversa. SI suole, infatti, affermare, che questa voce di danno deriva da mutamento dei rapporti sociali dell’individuo. Esso, quindi, attiene alla sfera esterna del danneggiato e non alla sfera intima.
5.3.4. Il danno morale
Si tratta di un danno alla sfera più intima ed interiore della vittima. Si definisce come un turbamento dell’anima che può essere ricollegato ad una lesione fisica o alla perdita di una persona alla quale il soggetto che ha subito il danno era particolarmente legata.
A differenza del danno esistenziale, esso non si caratterizza per il mutamento delle abitudini e delle capacità relazionali, ma è una sofferenza interiore, per tale ragione difficile da accertare da un punto di vista probatorio.
6. Come viene risarcito il danno?
Possono essere individuate tre modalità con le quali procedere al calcolo del risarcimento danni:
- In via equitativa: in questo caso, ai sensi dell’art. 1226 c.c., il danno è calcolato secondo il prudente apprezzamento del giudice. In genere il criterio opera rispetto al danno non patrimoniale, non sempre liquidabile nel suo ammontare specifico;
- In forma specifica: permette la reintegrazione totale del danno, ove possibile, tramite eliminazione degli effetti del pregiudizio oppure facendo conseguire la prestazione oggetto dell’obbligazione inadempiuta, anche parzialmente se dovesse essere troppo oneroso per il debitore;
- Per equivalente: in tal caso la reintegrazione del patrimonio del danneggiato, si realizza mediante l’attribuzione di una somma di denaro pari al valore della cosa o del servizio oggetto della prestazione non adempiuta.
6.1. Come dimostrare il danno ricevuto?
Infine, ti starai sicuramente chiedendo come dimostrare il danno, al fine di ottenere il risarcimento. Chi ha subito un danno e vuole ottenere un risarcimento deve, prima di tutto, dimostrare che questo sia avvenuto e che il soggetto che lo ha posto in essere sia effettivamente il responsabile
Perciò, la vittima del danno deve riuscire a dimostrare l’esistenza del suo diritto e la conseguente lesione.
Inoltre, come abbiamo già accennato prima, deve dimostrare che si è trattato di una conseguenza causata da un comportamento altrui, che sia stato posto in essere da persona fisica o giuridica.
Dopodiché, deve dimostrare il nesso di causalità per collegare quella condotta al danno ingiusto.
Alla fine, verrà poi quantificato il danno per stabilire la somma da risarcire alla vittima, secondo i criteri sopra esposi.
Il danno conseguenza si accerta adottando il c.d. criterio differenziale: differenza tra la situazione che si sarebbe avuta senza l’illecito e la situazione che si ha in presenza e a causa dell’illecito.
Questo implica che, in linea di principio, si dovrebbe tenere conto anche dei vantaggi che sono conseguenza diretta e immediata dell’illecito, ancorché conseguenti a una fattispecie che non si identifica con l’illecito.
Il principio di compensazione del lucro con il danno, stabilisce che nella determinazione del danno risarcibile si devono computare, in negativo, gli effetti vantaggiosi che hanno causa nel fatto dannoso. La formula in questione è richiamata in una pluralità di casi aventi caratteristiche molto diverse tra loro e frequentemente riferibili a contesti eterogenei, così da porre in dubbio se essa abbia effettiva capacità di denotare un fenomeno unitario.
6.2. Quantificazione del danno alla salute
Con le ormai celebri sentenze di San Martino (nn. 28985-28994 del 2019), le Sezioni Unite hanno stilato il seguente decalogo per la liquidazione del danno non patrimoniale.
Il risarcimento deve essere integrale, ma occorre evitare duplicazioni risarcitorie, e dunque ingiustificati automatismi forfettari nella quantificazione del danno. Il danno non patrimoniale, come evidenziato nei paragrafi precedenti, è tendenzialmente considerato unitario. Non hanno quindi autonomia giuridica le categorie del danno biologico, del danno esistenziale e del danno morale. Sono soltanto poste risarcitorie che confluiscono all’interno dell’unica categoria unitaria che l’ordinamento conosce, ossia il danno non patrimoniale.
I danni esistenziali o morali non sono altri danni rispetto a quello bilogico.
La stessa denominazione danno biologico è impropria, perhcé il danno biologico altro non è se non il danno non patrimoniale dervante dalla lesione del diritto alla salute. Ma anche pe ril danno biologico vale il principio dell’onnicomprensività, cioè comprende al suo interno sia il danno morale che esistenziale.
6.2.1. Il sistema tabellare
Il danno biologico viene tradizionalmente risarcito mediante un sistema tabellare di origine giudiziale, alla luce di una importante sentenza della Corte di Cassazione ha per altro assunto una valenza paranormativa, perché la Cassazione ha affermato che liquidare il danno biologico prescindendo dalle c.d. tabelle milanesi significa violare la regola dell’equità e, quindi, incorre in una violazione di legge.
Le tabelle milanesi si fondano sul punto variabile di invalidità permanente. A ogni punto di invalidità viene dato un valore economico, variabile in dipendenza di due fattori, l’età della vittima e l’entità della lesione subita.
Il valore economico del punto di invalidità decresce con l’età e cresce con l’entità della menomazione. Decresce con l’età, perché il danno biologico è il danno alla vita che continua con la salute permanentemente menomata. Cresce con l’aumentare dei punti di invalidità fondata a sua volta sull’esperienza secondo cui il rapporto tra invalidità e sofferenza è geometrico, più che proporzionale, non lineare. Al raddoppiarsi dell’invalidità, la sofferenza aumenta più del doppio.
Il valore economico del punto di invalidità è stimato in base alle tabelle giudiziali, già include tutte le conseguenze normali e tipiche derivanti dalla lesione del diritto alla salute sia sotto il profilo esistenziale, sia sotto il profilo morale soggettivo. Non si può quindi automaticamente aggiungere al danno biologico liquidato in via tabellare, il danno esistenziale e danno morale soggettivo, perché ciò darebbe luogo a una duplicazione risarcitoria.
Le Sezioni Unite hanno, quindi, censurato il metodo di liquidazione del danno morale, come percentuale forfettaria e automatica della somma già liquidata a titolo di danno biologico.
Ciò che secondo le Sezioni Unite può e deve essere fatto è la c.d. personalizzazione del danno. Ciò significa che, se nel caso concreto, le conseguenze che la lesione della salute ha avuto, in termini di pregiudizio alla vita di relazione o di sofferenza soggettiva, sono amplificate rispetto al normale. Le tabelle, infatti, fanno riferimento ad un danneggiamento medio o tipo, si fondano su una presunzione socialmente tipica, ma può accadere che dall’analisi del caso concreto tale presunzione sia smentita, evidenziando un maggior danno.
Recentemente la Corte di Cassazione (Cassazione civile, sez. III, sentenza 17/01/2018, n. 901) ha infranto la c.d. unitarietà del danno biologico, sostenendo che a differenza del danno biologico, il danno morale non ha fondamento medico legale. Esso quindi non può essere valutato mediante il sistema tabellare e deve essere calcolato autonomamente.
7. Come chiedere il risarcimento danni all’assicurazione
Esaminata la disciplina generale in tema di risarcimento del danno, possiamo ora procedere ad illustrarti una delle situazioni più comuni in cui ti troverai a dover procedere a chiedere il risarcimento. In particolare ci riferiamo all’ipotesi in cui tu sia coinvolto in un sinistro stradale. In tal caso, potresti esser in dovere di chiedere il risarcimento del danno all’assicurazione. Ma cosa devi fare?
Dobbiamo, in primo luogo, evidenziare che potrai adottare due procedure.
La prima procedura che puoi attivare è quella del risarcimento diretto (o indennizzo diretto). In questo caso, tu, in qualità di danneggiato, sarai chiamato ad inviare la un’istanza con la quale richiederai il c.d. rimborso del danno alla tua Compagnia assicurativa. Tale procedura è subordinata al ricorrere di alcune specifiche condizioni:
- il sinistro deve aver coinvolto esclusivamente due veicoli, i quali dovranno essere immatricolati in Italia, oltre che regolarmente assicurati;
- a causa del sinistro, non devono esser stati arrecati danni gravi ad una persona, ossia siano, al più, arrecati danni che non superiori o pari al 9% di invalidità;
- il sinistro deve essere avvenuto in territorio italiano;
- le modalità di realizzazione dello stesso devono implicare un avvenuto impatto.
Laddove una della predette condizioni non sia rispettata, si può agire per il risarcimento ordinario. In questo secondo caso la richiesta di risarcimento dev’essere presentata alla Compagnia della parte autrice del danno, se:
- ci sono più di due veicoli coinvolti;
- le lesioni personali dei trasportati sono sopra al 9% di invalidità permanente;
- ci sono danni fisici a persone che non sono configurabili come terzi trasportati.
7.1. Quali dati devono essere contenuti nella richiesta di risarcimento del danno?
Nella richiesta di risarcimento del danno, sia ove si segua il primo, che il secondo procedimento devono essere indicati specifici dati, essenziali al fine di ottenere il risarcimento. In particolare, dovranno essere indicate le seguenti informazioni:
- età, attività e reddito indicativo del ferito;
- i dati dei veicoli coinvolti;
- la descrizione dei fatti;
- i dati degli eventuali testimoni;
- il luogo in cui le cose danneggiate sono disponibili per le perizie;
- tipo ed entità delle lesioni;
- dichiarazione di cui all’art. 142 CdA circa la spettanza o meno di prestazioni da parte di assicurazioni sociali obbligatorie (INPS, INAIL);
- certificazioni mediche.
Oltre alle parti obbligatorie, potrebbe risultarti conveniente indicare anche gli estremi dell’IBAN. In tal modo, non dovrai eventualmente comunicarlo in un secondo momento, così facilitando e accelerando la procedura di pagamento. Tuttavia, la maggior parte delle assicurazioni, ove tu dovessi inoltrare una domanda incompleta, ti comunicheranno, entro 30 giorni dal ricevimento, l’onere di indicare le informazioni mancanti che dovrai inviare per integrare la richiesta.
7.2. I tempi e l’offerta della compagnia assicuratrice
Quando avrai comunicato tutte le informazioni, che abbiamo individuato nel paragrafo precedente, dovrai attendere i tempi tecnici della compagnia di assicurazione. Questa provvederà ad esaminare la richiesta e poi provvederà a darti una risposta.
Nella risposta, la compagnia provvede a formulare un’offerta al danneggiato. Laddove invece ritiene di non dover accogliere la richiesta, provvederà ad adottare una decisione motivata che comunicherà al soggetto danneggiato. Questa procedura deve essere completata entro un termine che sia certo, che decorre dalla data di ricezione della documentazione indicata:
- entro 60 giorni se sono contestati solo danni alle cose;
- entro 90 giorni se vi sono stati danni anche alle persone.
Invero, i termini sono più brevi, ridotti a 30 giorni, laddove le parti decidano di adottare il sistema mediante il modulo blu (o CAI, Constatazione Amichevole di Incidente).
Il danneggiato può poi valutare l’offerta e decidere di accettarla o meno. Laddove l’accetti, la Compagnia ha un termine di 15 giorni di tempo per procedere al pagamento della somma.
Come evidenziato, il danneggiato potrebbe anche ritenere che l’offerta non sia idonea a compensare il danno. In tal caso, invero, l’impresa assicuratrice comunque fa recapitare l’assegno, il quale verrà incassato come acconto. Tuttavia, se il danneggiato ha intenzione di richiedere il maggior danno, in questo caso gli risulterà conveniente procedere ad una perizia, nominando un perito terzo e avvalendosi di un legale per contestare l’offerta risultata non congrua.
Egli, per tutelare la propria posizione, può anche procedere a richiedere l’accesso agli atti ufficiali, in base ai quali è stata formulata l’offerta. All’esito di predetta verifica, egli poi assumerà la decisione definitiva, sull’accettazione dell’offerta presentata dalla compagnia assicuratrice.
Laddove, invece, la Compagnia non risponda entro i termini sopra, oppure laddove non si trovi un accordo con il danneggiato relativamente all’offerta, comunque sarà possibile dare inizio al procedimento giudiziario per il risarcimento del danno nei confronti della stessa Compagnia assicuratrice.
8. La prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di risarcimento danni
Cass. civ. Sez. III Sent., 31/03/2011, n. 7441. (RESPONSABILITA’ CIVILE)
Quando il danneggiato da condotte illecite imputabili a più soggetti esercita l’azione di risarcimento dei danni sofferti cumulativamente nei confronti di tutti, postulandone la responsabilità solidale ai sensi dell’art. 2055 cod. civ., in mancanza di un’espressa richiesta di accertamento della comune corresponsabilità nella causazione dell’evento e, quindi, del vincolo di solidarietà, la domanda deve essere intesa soltanto come volta a conseguire il risarcimento da ognuno per l’intero in ragione del contributo causale alla determinazione del danno, mentre l’accertamento del rapporto di concausazione di esso non ne costituisce l’oggetto. Tale accertamento può divenire oggetto della decisione, con efficacia di giudicato, soltanto se uno dei convenuti chieda l’accertamento della concausazione del danno e, quindi, della responsabilità solidale, senza, peraltro, che rilevi la circostanza che sia contestualmente richiesto l’accertamento del diverso grado di responsabilità di ciascun condebitore ai fini del regresso. Ne consegue che, ove la sentenza di primo grado, in mancanza di proposizione di una simile domanda, abbia accertato la responsabilità soltanto di alcuno tra i pretesi corresponsabili, deve considerarsi nuova la domanda con cui il soggetto di cui sia stata riconosciuta la responsabilità chieda l’accertamento della solidarietà e, quindi, della responsabilità comune degli altri.
Cass. civ. Sez. III Sent., 11/11/2011, n. 23577. (RESPONSABILITÀ CIVILE)
La mancata trasposizione, nel termine prescritto, della direttiva 82/76/CEE, riassuntiva della direttive 75/362/CEE e 75/363/CEE, ha determinato in capo allo Stato – e in favore dei soggetti che abbiano seguito corsi di specializzazione medica dal 1° gennaio 1983 sino all’anno accademico 1990-1991 – una responsabilità per inadempimento di obbligazione “ex lege”, per non aver assicurato, in relazione alle specializzazioni contemplate negli elenchi degli artt. 5, n. 2, e 7, n. 2, della direttiva 75/362/CEE, le modalità di svolgimento di detti corsi secondo quanto stabilito dagli artt. 2, n. 1, 3 e relativo Allegato (ai punti 1 e 2, concernenti, rispettivamente, la formazione a tempo pieno e quella a tempo parziale) della direttiva 82/76/CEE, in condizioni tali che, se quest’ultima fosse stata tempestivamente e correttamente adempiuta, i frequentanti avrebbero acquisito il diritto all’adeguata remunerazione. Ne consegue che lo specializzando che faccia valere la pretesa risarcitoria per siffatto inadempimento è tenuto a dimostrare, quale fatto costitutivo del danno evento costituito dalla perdita dell’adeguata remunerazione, solo la mera frequenza di un corso ricadente negli elenchi predetti, potendo le concrete modalità di svolgimento del corso stesso venire in rilievo, al più, quali circostanze incidenti sulla quantificazione del pregiudizio, ove la scelta dell’una o dell’altra opzione (tempo pieno o parziale) sia dipesa dalla scelta dello specializzando, ma non già ove il corso medesimo sia stato organizzato soltanto con modalità in fatto corrispondenti al tempo parziale, in ragione di quanto deciso dalla singola università in base alla legislazione statale irrispettosa della disciplina dettata dal diritto comunitario.
Cass. civ. Sez. lavoro, 05/10/1994, n. 8090 (RESPONSABILITA’ CIVILE)
In ipotesi di concorso di responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale o aquiliana (in relazione, nella specie, ad ipoacusia contratta da lavoratore subordinato adibito a macchinari rumorosi), la duplicità del titolo risarcitorio (violazione, rispettivamente, del preesistente vincolo obbligatorio e del generale precetto del neminem laedere) comporta un distinto regime per ciascuna delle due relative azioni quanto alla distribuzione dell’onere della prova, al danno risarcibile ed alla prescrizione, ferma, peraltro, l’identità della causa petendi, ossia degli elementi di fatto soggettivi (dolo o colpa) ed oggettivi (condotta antigiuridica e conseguente danno) determinativi delle due azioni di responsabilità, la prescrizione di una delle quali non esclude che il danneggiato possa conseguire il risarcimento in base all’altra. Pertanto, attesa l’unicità della causa petendi, il riferimento alle norme codicistiche relative alle due azioni risarcitorie – contrattuale ed aquiliana – è sufficiente ad evitare che l’oggetto del giudizio resti limitato ad una sola delle due forme di responsabilità; con l’ulteriore conseguenza che, respinta in primo grado per prescrizione l’azione di responsabilità contrattuale, la persistente invocazione (da parte del lavoratore appellante) dell’art. 2947 c.c. altro non può significare se non specifica censura dell’esclusione giudiziale della responsabilità extracontrattuale.
Cass. civ. Sez. III, 14/11/2019, n. 29506. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
L’azione risarcitoria esperita dal comproprietario di un bene pro indiviso per il minor godimento del bene derivante dalla violazione della normativa edilizia da parte del proprietario confinante, dovendosi presumere che egli abbia agito nell’interesse degli altri comunisti rimasti inerti, dà diritto ad ottenere la liquidazione del danno nella misura necessaria a compensare tutte le disutilità derivanti dalla compromissione delle facoltà dominicali concretizzatesi nel deprezzamento del bene comune.
Cass. civ. Sez. III, 11/11/2019, n. 28985. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
Il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, pur necessario ed anche se eseguito “secundum legem artis”, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, dovrà conseguire alla allegazione del relativo pregiudizio ad opera del paziente, riverberando il rifiuto del consenso alla pratica terapeutica sul piano della causalità giuridica ex art. 1223 c.c. e, cioè, della relazione tra evento lesivo del diritto alla autodeterminazione – perfezionatosi con la condotta omissiva violativa dell’obbligo informativo preventivo – e conseguenze pregiudizievoli che da quello derivano secondo un nesso di regolarità causale. Il paziente che alleghi l’altrui inadempimento sarà dunque onerato della prova del nesso causale tra inadempimento e danno, posto che: a) il fatto positivo da provare è il rifiuto che sarebbe stato opposto dal paziente al medico; b) il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla scelta soggettiva del paziente, sicché la distribuzione del relativo onere va individuato in base al criterio della cd. “vicinanza della prova’; c) il discostamento della scelta del paziente dalla valutazione di necessità/opportunità dell’intervento operata dal medico costituisce eventualità non corrispondente all'”id quod plerumque accidit”. Tale prova potrà essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni, queste ultime fondate, in un rapporto di proporzionalità diretta, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione, non potendosi configurare, “ipso facto”, un danno risarcibile con riferimento alla sola omessa informazione, attesa l’impredicabilità di danni “in re ipsa” nell’attuale sistema della responsabilità civile.
Cass. civ. Sez. III Sent., 15/06/2016, n. 12284. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
L’obbligo di risarcimento del danno da fatto illecito contrattuale o extracontrattuale ha per oggetto l’integrale reintegrazione del patrimonio del danneggiato, sicché in caso di distruzione e danneggiamento di alcuni alberi di ulivo a causa di un incendio va riconosciuto non solo il danno (lucro cessante) per la perdita del reddito prodotto dagli ulivi, protratta per la loro prevedibile vita residua, ma anche quello (danno emergente) per la perdita degli stessi alberi e consistente nel valore in sé dei beni.
Cass. civ. Sez. III Sent., 18/07/2011, n. 15709. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
Il risarcimento del danno da fatto illecito costituisce debito di valore e, in caso di ritardato pagamento di esso, gli interessi e la svalutazione non costituiscono un autonomo diritto del creditore, ma svolgono una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato, qual era all’epoca del prodursi del danno, e la loro attribuzione costituisce una mera modalità o tecnica liquidatoria. Ne consegue che, impugnato il capo della sentenza contenente la liquidazione del danno, non può invocarsi il giudicato in ordine alla misura legale degli interessi precedentemente attribuiti e il giudice dell’impugnazione (o del rinvio), anche in difetto di uno specifico rilievo sulla modalità di liquidazione degli interessi prescelta dal giudice precedente, può procedere alla riliquidazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell’ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore, restando irrilevante che vi sia stata impugnazione o meno in relazione agli interessi già conseguiti e alla misura degli stessi.
Cass. civ. Sez. I Sent., 08/07/2009, n. 16086. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
In tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, secondo la giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, «a condizione che le decisioni pertinenti» siano «coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato», e purché detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito. Pertanto, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della legge 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata.
Cass. civ. Sez. Unite Sent., 08/07/2008, n. 18623. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
Ove il pubblico dipendente proponga, nei confronti dell’amministrazione datrice di lavoro, domanda di risarcimento danni per lesione dell’integrità psico-fisica, non rileva, ai fini dell’accertamento della natura giuridica dell’azione di responsabilità proposta, la qualificazione formale data dal danneggiato in termini di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, ovvero mediante il richiamo di norme di legge (artt. 2043 e ss., 2087 c.c.), indizi di per se non decisivi, essendo necessario considerare i tratti propri dell’elemento materiale dell’illecito posto a base della pretesa risarcitoria, onde stabilire se sia stata denunciata una condotta dell’amministrazione la cui idoneità lesiva possa esplicarsi, indifferentemente, nei confronti della generalità dei cittadini e nei confronti dei propri dipendenti, costituendo, in tal caso, il rapporto di lavoro mera occasione dell’evento dannoso; oppure se la condotta lesiva dell’amministrazione presenti caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto d’impiego e le sia imputata la violazione di specifici obblighi di protezione dei lavoratori (art. 2087 c.c.), nel qual caso la responsabilità ha natura contrattuale conseguendo l’ingiustizia del danno alle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto di lavoro si articola e sostanziandosi la condotta lesiva nelle specifiche modalità di gestione del rapporto di lavoro. Soltanto nel caso in cui, all’esito dell’indagine condotta secondo gli indicati criteri, non possa pervenirsi all’identificazione dell’azione proposta dal danneggiato, si deve qualificare l’azione come di responsabilità extracontrattuale. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inerente al rapporto di lavoro la domanda di risarcimento del danno, per lesione dell’integrità psico-fisica, proposta dal pubblico dipendente infortunatosi nell’uso di arredo di ufficio difettoso (cattivo funzionamento di una sedia a rotelle impiegata nella postazione per l’uso del computer), e ha risolto la questione di giurisdizione alla stregua della collocazione temporale dell’inadempimento produttivo del danno – illecito istantaneo nel periodo di rapporto di lavoro anteriore al 1° luglio 1998 – a favore della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo).
Cass. civ. Sez. I Sent., 12/10/2007, n. 21428. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
La pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno per fatto illecito integra un accertamento di potenziale idoneità lesiva di quel fatto, sicchè la prova dell’esistenza concreta del danno, della reale entità e del rapporto di causalità è riservata alla successiva fase di liquidazione; conseguentemente il giudicato formatosi su detta pronuncia non osta a che nel giudizio di liquidazione, venga negato il fondamento concreto della domanda risarcitoria, previo accertamento del fatto che il danno non si sia in concreto verificato. (La S.C. ha enunciato il principio in una fattispecie riguardante l’accertamento della responsabilità di una banca per l’ingiustificata segnalazione di un credito “in sofferenza” alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia, allorchè la Corte di merito, pronunciata sentenza non definitiva sulla sussistenza della responsabilità, aveva riservato alla statuizione definitiva la valutazione del danno subito dall’impresa debitrice).
Cass. civ. Sez. III Sent., 13/03/2007, n. 5844. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
L’art. 844 cod. civ. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione, l’obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l’esercizio. Viceversa, l’accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all’articolo 844 cod.civ., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente in “re ipsa”, l’esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell’uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’articolo 2043 del codice civile e specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, nello schema del danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’articolo 2059 cod. civ..
Cass. civ. Sez. lavoro, 08/03/2006, n. 4980. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
Qualora, con riferimento ad un’azione risarcitoria proposta dai congiunti di un lavoratore deceduto in conseguenza di un infortunio sul lavoro, venga proposta per la prima volta in appello, in assenza di autorizzazione alla “emendatio” nel corso del giudizio di primo grado ai sensi dell’art. 420, comma primo, cod. proc. civ., la domanda di risarcimento del danno biologico “jure hereditario”, la stessa deve essere dichiarata inammissibile, escludendosi, altresì, che la medesima possa considerarsi ricompresa nella generica domanda di risarcimento di tutti i danni subiti a causa dell’infortunio, attesa la diversa natura delle due azioni, una – quella “jure proprio” – avente la sua fonte nella responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 2043 cod. civ. e l’altra – quella “jure hereditario” – derivante invece dalla responsabilità contrattuale del datore di lavoro nei confronti del loro dante causa.
Cass. civ. Sez. III, 02/04/2004, n. 6519. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
In tema di risarcimento del danno per fatto illecito, la liquidazione del danno non patrimoniale, consistente nell’ingiusto turbamento dello stato d’animo del danneggiato in conseguenza dell’illecito, sfugge necessariamente ad una precisa valutazione analitica e resta affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice del merito, come tali non sindacabili in sede di legittimità.
Cass. civ. Sez. I, 05/07/2001, n. 9090. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
In tema di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, non è legittimamente estensibile alla richiesta di liquidazione del danno biologico il principio secondo cui ricorre la fattispecie processuale della mera “emendatio libelli” (e non della – non consentita – “mutatio”) nella ipotesi di originaria specificazione del danno in determinate voci e di successiva deduzione, nel corso del medesimo grado di giudizio, di voci ulteriori, con correlativo ampliamento del “petitum” mediato, ma all’esito di una variazione nella sola estensione del “petitum” immediato, ferma restandone l’identità e l’individualità ontologica. Infatti, mentre le varie voci di danno non integrano una pluralità e diversità strutturale di “petitum”, ma ne costituiscono soltanto delle articolazioni (o “categorie” interne) quanto alla sua specificazione quantitativa, il danno biologico costituisce, per converso, un vero e proprio “tertium genus” rispetto alle tradizionali categorie del danno civile, sicchè la relativa richiesta introduce un nuovo tema di indagine e di decisione in qualunque grado del giudizio intervenga, concretando, per l’effetto, una vera e propria “”mutatio libelli””, anche se formulata nel corso del giudizio di primo grado.
Cass. civ. Sez. III, 06/08/1997, n. 7275. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
In tema di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, ricorre la fattispecie processuale della “emendatio libelli”, e non anche della (non consentita) “mutatio”, nella ipotesi di originaria specificazione del danno in determinate voci, e di successiva deduzione, nel corso del medesimo grado di giudizio, di voci ulteriori, con correlativo ampliamento del “petitum mediato”, ma all’esito di una variazione nella sola estensione del “petitum” immediato, ferma restandone l’identità e l’individualità ontologica. Le varie voci di danno non integrano, pertanto, una pluralità e diversità strutturale di “petitum”, ma ne costituiscono soltanto delle articolazioni (o “categorie” interne) quanto alla sua specificazione quantitativa.
Cass. civ. Sez. III, 22/02/1995, n. 1959. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
In tema di risarcimento del danno per fatto illecito, la liquidazione del danno non patrimoniale, consistente nell’ingiusto turbamento dello stato d’animo del danneggiato in conseguenza dell’illecito, sfugge necessariamente ad una precisa valutazione analitica e resta affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice del merito, come tali non sindacabili in sede di legittimità.
Cass. civ. Sez. III, 04/03/1988, n. 2278. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
L’obbligo del risarcimento del danno derivante da fatto illecito, ha natura di debito di valore e, pertanto, l’adeguamento della reintegrazione patrimoniale all’effettivo valore monetario al momento della decisione non costituendo una modificazione della domanda, può essere compiuto anche d’ufficio, in grado d’appello, tranne nell’ipotesi che il danneggiato, domandando espressamente la conferma della determinazione del danno effettuata in prime cure, abbia manifestato una volontà non equivoca incompatibile con una richiesta di rivalutazione; ne consegue che, in applicazione dei principi generali in tema di rinuncia, tale volontà non può desumersi soltanto dalla richiesta del danneggiato di rigetto dell’appello proposto dal danneggiante con riguardo al preteso concorso di colpa del danneggiato.
Cass. civ. Sez. III, 18/12/1987, n. 9430. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
In tema di risarcimento del danno per fatto illecito, la liquidazione del danno non patrimoniale sfuggendo ad una precisa valutazione analitica resta affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice del merito, il quale nell’effettuare la relativa quantificazione deve tener conto delle effettive sofferenze patite dall’offeso, della gravità dell’illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi peculiari della fattispecie concreta, in modo da rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare caso concreto ed evitare che la stessa rappresenti un simulacro di risarcimento.
Cass. civ., 06/04/1983, n. 2396. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
In tema di risarcimento del danno per fatto illecito, la liquidazione del danno non patrimoniale, consistente nel turbamento determinatosi entro la psiche del soggetto in conseguenza dell’illecito, è rimessa all’apprezzamento discrezionale ed equitativo del giudice del merito, ma essa deve pur sempre rispettare l’esigenza di una razionale correlazione tra entità oggettiva del danno, specie se ripetuto nel tempo, ed equivalente pecuniario, di modo che questo, tenuto conto del valore d’acquisto della moneta, non rappresenti soltanto un simbolo o un simulacro di risarcimento, senza connessione con la natura e l’entità del danno da risarcire.
Cass. civ., 18/03/1982, n. 1785. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
In tema di risarcimento da fatto illecito, allorquando la liquidazione del danno viene adeguata al mutato valore della moneta per rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato, la maggior somma attribuita non rappresenta il risarcimento di un maggior danno, ma soltanto una diversa espressione monetaria del danno medesimo, donde la produttività di interessi con decorrenza dall’epoca in cui il pregiudizio economico è stato arrecato.
Cass. civ., 18/11/1982, n. 6234. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
La valutazione del danno patrimoniale sofferto per invalidità personale da una persona dedita ad una attività lavorativa, una volta provato il pregiudizio e la sua dipendenza dal fatto dannoso, deve sempre basarsi su di una situazione reale da prendere come punto di riferimento, trovando il risarcimento del danno da fatto illecito, che ha la funzione di reintegrare il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l’evento lesivo, il suo presupposto e limite nell’effettiva perdita subita, da determinare sulla base di un dato certo; conseguentemente, il giudice del merito deve considerare la concreta misura del guadagno goduto dal danneggiato, senza potere sostituire tale dato con quello del salario spettante in astratto ai lavoratori della categoria cui il danneggiato stesso appartenga.
Cass. civ., 03/03/1981, n. 1228. (DANNI IN AMBITO CIVILE E PENALE)
In tema di risarcimento del danno per fatto illecito, la liquidazione del danno non patrimoniale, consistente nell’ingiusto turbamento dello stato d’animo del danneggiato in conseguenza dell’illecito, sfugge necessariamente ad una precisa valutazione analitica e resta affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice del merito, come tali non sindacabili in sede di legittimità.
Cass. civ. Sez. III Sent., 16/01/2013, n. 924. (ESECUZIONE FORZATA)
Nell’ipotesi di detenzione di un immobile pignorato in forza di titolo non opponibile alla procedura esecutiva ai sensi dell’art. 2913 cod. civ. (nella specie, preliminare di vendita successivo alla trascrizione del pignoramento del bene), è configurabile, in favore del custode giudiziario autorizzato ad agire in giudizio, – quale organo pubblico della procedura esecutiva, ausiliare del giudice – un danno risarcibile che deriva dall’impossibilità di una proficua utilizzazione del bene pignorato e dalla difficoltà a che il bene sia venduto, quanto prima, al suo effettivo valore di mercato; risarcimento sul quale si estende il pignoramento, quale frutto, ex art. 2912 cod. civ..
Cass. civ. Sez. I Sent., 16/12/2010, n. 25510 (PROCEDIMENTO CIVILE)
Con riguardo alle azioni di risarcimento del danno (sia in materia contrattuale che extracontrattuale), è ammissibile la domanda dell’attore originariamente rivolta unicamente ad una condanna generica, senza che sia necessario il consenso (espresso o tacito) del convenuto, costituendo essa espressione del principio di autonoma disponibilità delle forme di tutela offerte dall’ordinamento. Pertanto, in caso di domande “ab origine” alternative, al convenuto è riconosciuta la sola facoltà di opposizione alla richiesta di condanna generica, con conseguente onere dell’attore, in tal caso, di dare dimostrazione della esistenza del danno e conseguente divieto, per il giudice, di rimessione ad un separato giudizio la determinazione del “quantum”. (Rigetta, App. Venezia, 28/10/2004)
Cass. civ. Sez. III Sent., 26/06/2007, n. 14751. (PROCEDIMENTO CIVILE)
L’interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata, avendo riguardo all’intero contesto dell’atto, senza che ne risulti alterato il senso letterale e tenendo conto della sua formulazione letterale nonché del contenuto sostanziale, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire, senza essere condizionato al riguardo dalla formula adottata dalla parte stessa. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha rigettato il ricorso e confermato l’impugnata sentenza, con la quale il giudice del merito aveva interpretato la domanda contenuta nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado come diretta a conseguire il risarcimento dei soli danni all’immagine dell’azienda con sviamento della clientela in conseguenza della condotta molestatrice del convenuto proprietario del locale e denunziata anche con querela in sede penale, indicando puntualmente e analiticamente le ragioni in virtù delle quali era pervenuto a tale qualificazione).
Cass. civ. Sez. I, 23/07/1999, n. 7971. (DIRITTI D’AUTORE)
Con riferimento all’azione promossa per ottenere il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 158 l. 22 aprile 1941 n. 633 sulla protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, per configurare i presupposti per l’applicazione di tale norma ed in particolare il danno da essa previsto, non occorre l’esistenza di un rapporto concorrenziale fra l’attività del soggetto che si assume danneggiante e l’attività del soggetto che si assume danneggiato, ancorchè tali soggetti rivestano la qualità di imprenditori, poichè la lesione del diritto tutelato dalla suddetta norma giustifica di per sè l’azione risarcitoria, prescindendo dall’eventuale integrazione di una fattispecie di concorrenza sleale, costituendo l’illecito di cui al suddetto art. 158 una specificazione della norma generale dell’art. 2043 c.c. La concreta sussistenza di un danno risarcibile va accertata secondo i criteri che governano la responsabilità aquiliana e, quindi, con l’impiego anche di presunzioni ed il ricorso, in ordine alla quantificazione del danno, alla valutazione equitativa, qualora di essa si ravvisino i presupposti.
Cass. civ. Sez. I, 16/11/2006, n. 24435. (ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’)
Il danno liquidato a seguito di occupazione acquisitiva parziale, al pari dell’indennità di espropriazione, comprende anche il deprezzamento che abbiano subito le parti residue del fondo parzialmente acquisito, in quanto riguarda l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo, ivi compresa la perdita di valore della porzione residua derivata dalla parziale ablazione del fondo, non essendo concepibili, in presenza di un’unica vicenda, due distinte somme, corrisposte l’una per l’acquisizione di una parte del fondo e l’altra a titolo di risarcimento danni per la parte residua (nella specie, il giudice del merito aveva correttamente affermato che, in sede di liquidazione, la perdita della volumetria originariamente realizzabile aveva determinato il valore del danno risarcito per l’estensione occupata, considerata per la sua destinazione edificatoria; la parte residua aveva conservato intatta tale sua destinazione, sebbene con la riduzione derivatane – secondo il rapporto volumetrico stabilito nello strumento urbanistico – e già compensata dal danno liquidato).
Cass. civ. Sez. I, 27/02/2004, n. 3966. (ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’)
Il comma 7 bis dell’art. 5 bis D.L. n. 333 del 1992 (conv., con modif., in legge n. 359 del 1992), introdotto dall’art. 3, comma 65, legge n. 662 del 1996, stabilisce, per la liquidazione del danno da occupazione appropriativa, regole di portata generale (rivolte a contenere la spesa pubblica), le quali operano indipendentemente dalla circostanza che il procedimento espropriativo sia stato promosso in base alla legge n. 865 del 1971 od in base ad altre leggi speciali (nella fattispecie, la legge n. 219 del 1981; relativa agli eventi sismici del 1980), e quindi – salva restando l’operatività di dette leggi al diverso fine della liquidazione dell’indennità espropriativa – si applica a tutti i casi in cui l’illecito acquisitivo riguardi fondi da qualificarsi come edificabili secondo le previsioni dei precedenti commi del medesimo art. 5 bis, vale a dire sulla scorta del prioritario parametro della classificazione urbanistica (cosiddetta edificabilità legale); nel difetto di tale edificabilità, si deve invece fare riferimento ai comuni canoni che operano in tema di risarcimento da fatto illecito, con quantificazione del danno correlata al valore di mercato del suolo.
Cass. civ. Sez. I, 17/12/1998, n. 12631 (ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’)
I criteri per la liquidazione del danno da occupazione appropriativa, stabiliti dall’art. 3, comma 65, l. 23 dicembre 1996 n. 662, sono applicabili ai giudizi in corso, anche in cassazione, purchè sia in contestazione l’ammontare del risarcimento: non anche qualora non sia più in discussione la determinazione del danno, in particolare allorchè oggetto del ricorso sia soltanto la legittimazione passiva riguardo all’esperita azione di risarcimento.
Cass. civ. Sez. lavoro, 29/12/1999, n. 14680. (PREVIDENZA SOCIALE)
In caso di prescrizione del credito dell’Inps nei confronti del datore di lavoro per contributi previdenziali e di successiva costituzione di rendita vitalizia a norma dell’art. 13 l. n. 1338 del 1962 con versamento della relativa riserva matematica all’Inps da parte del lavoratore interessato, compete a quest’ultimo – nel termine prescrizionale decorrente dalla perdita (totale o parziale) del trattamento previdenziale – l’ordinaria azione risarcitoria prevista dall’art. 2116 comma 2 c.c., anche nel caso in cui non sia più esercitabile l’azione per la restituzione di quanto versato per la costituzione della rendita vitalizia, mancando il necessario presupposto della perdurante azionabilità (sotto il profilo della prescrizione) della pretesa del lavoratore nei confronti del datore di lavoro di vedersi costituire, a spese di quest’ultimo, la suddetta rendita vitalizia, il cui termine prescrizionale decorre già a partire dalla data di prescrizione del credito contributivo dell’Inps. Nè alla qualificazione quale risarcitoria dell’azione proposta dal lavoratore contro il datore di lavoro, e quindi alla decorrenza della prescrizione solo dalla perdita del trattamento previdenziale, osta la circostanza che ai fini della quantificazione del danno si faccia riferimento alla riserva matematica ex art. 13 cit.
Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 26/01/2021, n. 1699. (CIRCOLAZIONE STRADALE)
In tema di risarcimento del danno da sinistro stradale, in ipotesi di sentenza definitiva sull'”an debeatur”, la successiva fase di liquidazione del “quantum debeatur” (che non integra l’esercizio di una nuova azione risarcitoria) non deve essere preceduta dall’adempimento delle formalità previste nell’art.148 c.ass., dal momento che tale adempimento è diretto a consentire all’assicuratore di valutare l’opportunità di un accordo con il danneggiato prima dell’introduzione del giudizio e postula pertanto necessariamente che la domanda giudiziale non sia stata utilmente proposta nei confronti dell’assicuratore medesimo o del responsabile del danno.
Cass. civ. Sez. III Sent., 22/04/2008, n. 10371. (CIRCOLAZIONE STRADALE)
In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, la norma contenuta nell’art. 22 della legge n. 990 del 1969 (applicabile ratione temporis), nel subordinare l’esercizio dell’azione risarcitoria alla preventiva richiesta del danno all’assicuratore ed al decorso del termine di sessanta giorni dalla medesima, pone una condizione di proponibilità dell’azione stessa. L’onere imposto al danneggiato dalla suddetta norma può essere soddisfatto anche con atti equipollenti a quello dalla stessa previsto, purché egualmente idonei al soddisfacimento dello scopo perseguito di consentire all’assicuratore di valutare l’opportunità di un accordo con il danneggiato e prevenire premature domande giudiziali, con conseguente dispendio economico, (come quando sia intercorsa corrispondenza fra le parti o siano state condotte trattative per la liquidazione del danno e risulti rispettato il predetto termine); occorre, tuttavia, che la richiesta di risarcimento sia formulata dal danneggiato ovvero dal legale dello stesso. (Nella specie la S.C. ha ritenuto improponibile la domanda e, quindi, rigettato il ricorso proposto, risultando la richiesta del risarcimento dei danni alla compagnia assicuratrice inviata non dal danneggiato, proprietario dell’auto, ma dal figlio di questi, conducente della stessa il quale, peraltro, non aveva riportato danni nel sinistro).
Cass. civ. Sez. III, 23/04/1991, n. 4377. (CIRCOLAZIONE STRADALE)
In tema di azioni di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli a motore, non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario quando vi siano più persone danneggiate nello stesso sinistro, pur avendo facoltà l’assicuratore di attivarsi anche con la loro congiunta chiamata in causa per procedere alla liquidazione del danno nella misura proporzionalmente ridotta ai sensi del 1° comma dell’art. 27 della legge sull’assicurazione obbligatoria.
Cass. civ., 22/11/1985, n. 5784 (CIRCOLAZIONE STRADALE)
Nell’ipotesi di dubbio, nella sentenza penale, circa l’esistenza dell’elemento soggettivo della responsabilità penale, mentre è preclusa al danneggiato l’azione ordinaria di risarcimento dei danni, gli è consentita tuttavia l’azione risarcitoria di cui all’art. 2054 c. c., stante il perdurare, a carico del danneggiante, dell’onere di fornire la prova che lo liberi dalla presunzione di colpa stabilita dalla legge, dimostrando di avere fatto tutto il possibile per impedire il danno, con la conseguenza che non è precluso al giudice civile di valutare, al limitato fine predetto, i medesimi fatti materiali precedentemente accertati dal giudice penale; pertanto, nel caso di collisione tra veicoli, può essere esperita l’azione civile per danni fondata sulla particolare presunzione di colpa di cui all’art. 2054 cpv. c. c. e, se i rispettivi conducenti non riescono a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il sinistro, resta ferma la presunzione di pari concorso nella determinazione del danno subito dai singoli.
Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 30/04/2021, n. 11481. (CONDOMINIO)
In materia di comunione nei diritti reali, l’azione risarcitoria esperita dal comproprietario di un bene “pro indiviso” per il minor godimento del bene dà diritto ad ottenere la liquidazione del danno nella misura necessaria a compensare tutte le disutilità derivanti dalla compromissione delle facoltà dominicali, consistenti nel deprezzamento del bene comune.
Cass. civ. Sez. III Sent., 14/11/2019, n. 29506. (CONDOMINIO)
In materia di comunione nei diritti reali, l’azione risarcitoria esperita dal comproprietario di un bene “pro indiviso” per il minor godimento del bene (nella specie, per violazione della normativa edilizia da parte del proprietario confinante) dà diritto ad ottenere la liquidazione del danno nella misura necessaria a compensare tutte le disutilità derivanti dalla compromissione delle facoltà dominicali, consistenti nel deprezzamento del bene comune, dovendosi presumere che l’attore abbia agito nell’interesse degli altri comunisti rimasti inerti in virtù del principio della “rappresentanza reciproca”, fondata sulla comunione di interessi ed attributiva a ciascuno d’una “legittimazione sostitutiva”.
Cass. civ. Sez. III, 29/08/2011, n. 17699. (CONCORRENZA E PUBBLICITA’)
L’azione risarcitoria, proposta dall’assicurato, ai sensi del comma 2 dell’art. 33 della L. n. 287 del 1990, nei confronti dell’assicuratore, sanzionato dall’Autorità garante per aver partecipato ad un’intesa anticoncorrenziale, persegue lo scopo di tutelare l’interesse giuridicamente protetto a godere dei benefici della libera competizione commerciale e alla riparazione del danno ingiusto, consistente nell’aver pagato un premio di polizza superiore a quello che l’assicurato stesso avrebbe pagato in condizioni di libero mercato. In siffatta azione l’assicurato ha l’onere di allegare la polizza assicurativa contratta, quale condotta finale del preteso danneggiante e l’accertamento, in sede amministrativa, dell’intesa anticoncorrenziale, quale condotta preparatoria e il giudice potrà desumere l’esistenza del nesso causale tra quest’ultima ed il danno lamentato anche attraverso criteri di alta probabilità logica o per il tramite di presunzioni, senza però omettere di valutare gli elementi di prova offerti dall’assicuratore che tenda a provare contro le presunzioni o a dimostrare l’intervento di fattori causali diversi, che siano stati da soli idonei a produrre il danno, o che abbiano, comunque, concorso a produrlo. Accertata, dunque, l’esistenza di un danno risarcibile, il giudice potrà procedere alla liquidazione del danno in via equitativa.
Cass. civ. Sez. III Sent., 03/03/2010, n. 5067. (ISTRUZIONE PUBBLICA E PRIVATA)
In tema di responsabilità degli insegnanti di scuole statali, l’art. 61, secondo comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312 – nel prevedere la sostituzione dell’Amministrazione, salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi – esclude in radice la possibilità che gli insegnanti statali siano direttamente convenuti da terzi nelle azioni di risarcimento danni da “culpa in vigilando”, quale che sia il titolo – contrattuale o extracontrattuale – dell’azione. Ne deriva, pertanto, che l’insegnante è privo di legittimazione passiva non solo nel caso di azione per danni arrecati da un alunno ad altro alunno (nella quale sia invocata, nell’ambito di un’azione di responsabilità extracontrattuale, la presunzione di cui all’art. 2048, secondo comma, cod. civ.), ma anche nell’ipotesi di danni arrecati dall’allievo a se stesso (ipotesi da far valere secondo i principi della responsabilità contrattuale ex art. 1218 cod. civ.), fermo restando che in entrambi i casi, qualora l’Amministrazione sia condannata a risarcire il danno al terzo o all’alunno autodanneggiatosi, l’insegnante è successivamente obbligato in via di rivalsa soltanto ove sia dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa grave, limite, quest’ultimo, operante verso l’Amministrazione ma non verso i terzi.
Cass. civ. Sez. III Sent., 17/04/2013, n. 9240. (GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA)
Ove il pubblico dipendente proponga, nei confronti dell’amministrazione datrice di lavoro, domanda di risarcimento danni per lesione dell’integrità psico-fisica, non rileva, ai fini dell’accertamento della natura giuridica dell’azione di responsabilità proposta, la qualificazione formale data dal danneggiato in termini di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, ovvero mediante il richiamo di norme di legge (artt. 2043 e ss., 2087 cod. civ.), in quanto invece è necessario considerare i tratti propri dell’elemento materiale dell’illecito posto a base della pretesa risarcitoria, onde stabilire se sia stata denunciata una condotta dell’amministrazione la cui idoneità lesiva possa esplicarsi, indifferentemente, nei confronti della generalità dei cittadini e nei confronti dei propri dipendenti, costituendo, in tal caso, il rapporto di lavoro mera occasione dell’evento dannoso; oppure se la condotta lesiva dell’amministrazione presenti caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto d’impiego e le sia imputata la violazione di specifici obblighi di protezione dei lavoratori (art. 2087 cod. civ.), nel qual caso la responsabilità ha natura contrattuale.
Cass. civ. Sez. lavoro, 03/03/1999, n. 1800. (LAVORO E PREVIDENZA)
La domanda dell’assicurato diretta alla condanna dell’Inps al risarcimento del danno cagionatogli per avere l’Istituto determinato, con errate comunicazioni circa la misura della contribuzione volontaria necessaria per la pensione di anzianità, una meno favorevole decorrenza di tale trattamento pensionistico appartiene alla competenza per materia del giudice del lavoro a norma dell’art. 442 c.p.c. Essa, infatti, fondandosi sulla violazione di obblighi di comportamento (ivi compresi quelli derivanti dalle ordinarie regole di correttezza e diligenza ex art. 1175 e 1176 c.c.) cui l’Istituto è tenuto nell’ambito del rapporto giuridico con l’assicurato, dà vita ad una tipica azione di responsabilità contrattuale dell’Istituto stesso (come tale rientrante nell’ampia formulazione del citato art. 442) e non ad una ordinaria azione di risarcimento del danno extracontrattuale.
Cass. civ. Sez. II, 16/01/1986, n. 250. (SERVITU’)
La violazione di una servitù, anche quando tale diritto reale sia stato costituito per contratto, dà luogo non a responsabilità contrattuale ma, per la natura (reale) del diritto leso, a responsabilità extra contrattuale; pertanto, l’azione risarcitoria, concessa, ex art. 1079 c. c., in aggiunta a quella tendente alla riduzione in pristino, si prescrive nel termine di cinque anni, che, versandosi in tema di illecito permanente, decorre dall’inizio del fatto illecito generatore del danno, rinnovandosi di momento in momento.
Cass. civ. Sez. Unite, 14/12/1999, n. 900 (IMPIEGO PUBBLICO)
In ordine all’azione risarcitoria per la lesione della propria integrità fisica, esercitata da un soggetto legato da un rapporto di pubblico impiego attribuito, anche dopo il d.lg. n. 29 del 1993, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la qualificazione dell’azione in funzione del riparto della giurisdizione (secondo il criterio per cui la giurisdizione compete al giudice amministrativo se l’azione è contrattuale ed al giudice ordinario se è extracontrattuale), stante il carattere autonomo e prioritario della tutela del diritto assoluto alla vita ed all’integrità fisica, deve avvenire nel senso della extracontrattualità, oltre che nel caso dell’espressa invocazione della cosiddetta responsabilità aquiliana, tutte le volte che non emerga una precisa scelta del danneggiato in favore della responsabilità contrattuale, come quando la richiesta risarcitoria sia genericamente riferita all’integrità fisica, senza deduzione della violazione dell’inosservanza di una specifica obbligazione contrattuale, dovendosi, peraltro, considerare che la semplice prospettazione dell’inosservanza dell’art. 2087 c.c. o di altre disposizioni legislative strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro, non è di per sè sola sufficiente a giustificare la qualificazione dell’azione come contrattuale, potendo essere stata effettuata in funzione esclusiva della dimostrazione della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di lesioni colpose e della configurabilità dell’illecito come extracontrattuale. (Nella specie le Sezioni Unite hanno ritenuto inidoneo a giustificare la qualificazione in senso contrattuale dell’azione – esercitata da un professore ordinario di una facoltà universitaria contro la propria università – il richiamo nell’atto introduttivo all’art. 2087, dando rilievo alla sua genericità ed alla circostanza che si era fatta espressa riserva dell’azione per il cosiddetto equo indennizzo “ex” d.P.R. n. 349 del 1994).
Cass. civ. Sez. II, 30/08/2002, n. 12704. (APPALTO PRIVATO)
In tema di appalto, il committente si trova, rispetto ai materiali acquistati dall’appaltatore presso terzi e messi in opera in esecuzione del contratto, in una posizione analoga a quella dell’acquirente successivo nell’ipotesi della c.d. “vendita a catena”, potendosi, conseguentemente, configurare, in suo favore, due distinte fattispecie di azioni risarcitorie: quella contrattuale (esperibile soltanto nei confronti del “venditore immediato”, e cioè dell’appaltatore), in quanto, nonostante l’identità dell’oggetto e del contenuto delle rispettive obbligazioni, ciascuna vendita conserva la propria autonomia strutturale, sicchè non è consentito trasferire nei confronti dei precedenti venditori l’azione risarcitoria dell’acquirente danneggiato (ciò che legittima, poi, l’appaltatore, in quanto rivenditore ultimo, ed ogni rivenditore precedente, a rivolgersi al proprio venditore per essere tenuto indenne di quanto versato al subacquirente ove quanto dovuto a quest’ultimo debba considerarsi parte integrante del danno subito per la violazione degli obblighi contrattuali assunti dal precedente venditore nei confronti di esso venditore successivo); quella extracontrattuale, con la quale il committente – destinatario finale dei materiali è legittimato a far valere, anzichè la responsabilità contrattuale dell’appaltatore (in quanto proprio venditore, o in concorso con essa, relativa ai danni propriamente connessi all’inadempimento in ragione del vincolo negoziale, e deducibili con l’azione contrattuale ex art. 1668 – corrispondente, per l’appalto, a quella ex art. 1494, comma 2, relativa alla compravendita), quella aquiliana del fabbricante in ragione dei danni sofferti per i vizi dei materiali posti in opera in relazione a propri interessi sorti, e svolgentesi al di fuori del contratto di appalto (ed aventi, perciò, natura di diritti assoluti).
Cass. civ. Sez. II, 29/08/2002, n. 12678. (APPALTO PRIVATO)
In tema di appalto, il committente si trova, rispetto ai materiali acquistati dall’appaltatore presso terzi e messi in opera in esecuzione del contratto, in una posizione analoga a quella dell’acquirente successivo nell’ipotesi della cd. «vendita a catena», potendosi, conseguentemente, configurare, in suo favore, due distinte fattispecie di azioni risarcitorie: quella contrattuale (esperibile soltanto nei confronti del «venditore immediato», e cioè dell’appaltatore), in quanto, nonostante l’identità dell’oggetto e del contenuto delle rispettive obbligazioni, ciascuna vendita conserva la propria autonomia strutturale, sicché non è consentito trasferire nei confronti dei precedenti venditori l’azione risarcitoria dell’acquirente danneggiato (ciò che legittima, poi, l’appaltatore, in quanto rivenditore ultimo, ed ogni rivenditore precedente, a rivolgersi al proprio venditore per essere tenuto indenne di quanto versato al subacquirente ove quanto dovuto a quest’ultimo debba considerarsi parte integrante del danno subito per la violazione degli obblighi contrattuali assunti dal precedente venditore nei confronti di esso venditore successivo); quella extracontrattuale, con la quale il committente-destinatario finale dei materiali è legittimato a far valere, anziché la responsabilità contrattuale dell’appaltatore (in quanto proprio venditore, o in concorso con essa, relativa ai danni propriamente connessi all’inadempimento in ragione del vincolo negoziale, e deducibili con l’azione contrattuale ex art. 1668 – corrispondente, per l’appalto, a quella ex art. 1494, comma 2 relativa alla compravendita -), quella aquiliana del fabbricante in ragione dei danni sofferti per i vizi dei materiali posti in opera in relazione a propri interessi sorti, e svolgentesi al di fuori del contratto di appalto (ed aventi, perciò, natura di diritti assoluti).
Cass. civ. Sez. III, 16/04/2003, n. 6099. (TRASPORTO)
Ai sensi dell’articolo 1689 del c.c. nel trasporto di cose la sostituzione del destinatario al mittente, nei diritti nascenti dal contratto ha luogo, nel caso di perdita delle cose consegnate al vettore, solo dal momento in cui, scaduto il termine della consegna, il destinatario sia venuto a conoscenza di tale evento a seguito della richiesta di riconsegna della mercé, con la conseguenza che la legittimazione all’azione di risarcimento del danno contro il vettore permane in capo al mittente solo in assenza di tale richiesta. Deriva, da quanto precede, pertanto, che una volta accertato che il destinatario abbia chiesto la riconsegna della mercé deve essere cassata la sentenza del giudice del merito che abbia ritenuto la legittimazione del mittente sul rilievo che la pure e semplice istanza di rifusione o risarcimento del danno (per le cose andate distrutte) di per sé sola non autorizza affatto la conclusione che l’azione esperita sia non già una azione contrattuale, quanto piuttosto una azione extracontrattuale o aquiliana. Ancorché, infatti, è ammissibile, in caso di trasporto di cose, il concorso tra responsabilità contrattuale e extracontrattuale, occorre pur sempre che la causa petendi extracontrattuale, rappresentando una eccezione rispetto alla regola dell’azione contrattuale, venga resa esplicita con espressioni inequivoche, tali da non ingenerare dubbi sulla reale volontà della parte.
Cass. civ., 10/06/2003, n. 9219. (PENSIONI)
L’azione risarcitoria per la lesione del diritto al trattamento di quiescenza promossa nei confronti della pubblica amministrazione da parte di un soggetto che sia legato alla stessa da un rapporto di pubblico impiego, deve essere qualificata come extracontrattuale, sia nel caso in cui l’attore ponga a fondamento della propria domanda, in modo espresso, la c.d. responsabilità aquiliana, sia qualora non emerga una precisa e chiara scelta del danneggiato in favore della responsabilità contrattuale, sia comunque nel caso in cui la lesione del diritto del lavoratore non sia correlata a poteri della pubblica amministrazione che si estrinsecano in atti amministrativi di cui si contesti la legittimità, ma venga dedotto un quid pluris rispetto al provvedimento amministrativo e ai suoi effetti, naturali ed inevitabili, sufficiente ad integrare un’attività illecita della p.a.
Cass. civ. Sez. Unite, 10/06/2003, n. 9219. (COMPETENZA E GIURISDIZIONE CIVILE)
Poiché il diritto alla pensione – da intendersi come il diritto avente ad oggetto il trattamento pensionistico e come tale distinto da quello ai singoli ratei -, trovando il proprio fondamento nella rilevanza degli interessi che ne sono a base e che ricevono tutela dall’art. 38 Cost., deve essere considerato alla stregua di un bene primario, come tale non soggetto a prescrizione né ad atti di disposizione, e poiché di fronte ad un medesimo fatto che integri, contemporaneamente, la violazione di diritti soggettivi primari spettanti alla persona offesa indipendentemente dalla esistenza di un preesistente rapporto giuridico e la violazione di diritti derivanti a una delle parti da un contratto validamente concluso o comunque da un rapporto giuridico già venuto in essere può ipotizzarsi sia l’esistenza della responsabilità extracontrattuale che di quella contrattuale a carico dell’agente, l’azione risarcitoria per la lesione del diritto al trattamento di quiescenza promossa nei confronti della Pubblica Amministrazione da parte di un soggetto che sia legato alla stessa da un rapporto di pubblico impiego, attribuita in ipotesi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, deve essere qualificata come extracontrattuale, sia nel caso in cui l’attore ponga a fondamento della propria domanda, in modo espresso, la cosiddetta responsabilità aquiliana, sia qualora non emerga una precisa e chiara scelta del danneggiato in favore della responsabilità contrattuale, sia comunque nel caso in cui la lesione del diritto del lavoratore non sia correlata a poteri della Pubblica Amministrazione che si estrinsecano in atti amministrativi di cui si contesti la legittimità, ma venga dedotto un “quid pluris” rispetto al provvedimento amministrativo e ai suoi effetti indiretti, naturali ed inevitabili, sufficiente ad integrare un’attività illecita della Pubblica Amministrazione. (Nella specie, in relazione alla domanda proposta da un dipendente di un Comune, che, sulla base delle informazioni fornite dall’ente in ordine alla sua anzianità lavorativa, aveva rassegnato le dimissioni, conseguendo il trattamento di quiescenza provvisorio, poi revocato dal Ministero del tesoro per carenza del requisito dell’anzianità utile per conseguire il trattamento di pensione, e che, deducendo sia la negligenza dell’ente, che aveva agito al di fuori dei canoni della diligenza che deve richiedersi al datore di lavoro, sia la violazione delle norme contenute negli artt. 2043 e 2049 c.c., aveva chiesto la condanna del Comune al pagamento delle somme trattenute sullo stipendio e sulla pensione e al risarcimento del danno, le Sezioni Unite hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario).
Cass. civ. Sez. III, 03/10/1996, n. 8656. (PROCESSO CIVILE)
In tema di trasporto di persone, l’azione di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale e quella da responsabilità extracontrattuale, fondata la prima sull’inadempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto di trasporto e la seconda sulla violazione del principio generale del neminem laedere, sono del tutto distinte, essendo diversi i diritti in relazione ai quali sono accordate e richiedendo indagini su elementi di fatto differenti. La scelta fra le due azioni ed anche il loro esercizio cumulativo nel processo rientra nel potere dispositivo della parte. Ne deriva che ove la parte opti per una di esse, non è consentito al giudice, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sostituirsi alla parte nella scelta che questa avrebbe potuto operare ed accogliere la domanda per un titolo diverso.
Cass. civ. Sez. III Sent., 10/10/2008, n. 24996. (PROCESSO CIVILE)
È domanda nuova quella che alteri anche uno soltanto dei presupposti della domanda inizialmente proposta, introducendo un “petitum” diverso e più ampio, oppure una diversa “causa petendi”, fondata su situazioni giuridiche in precedenza non prospettate ed in particolare su un fatto giuridico radicalmente diverso, tale da integrare una pretesa nuova e da inserire nel processo un nuovo tema d’indagine. Tale eventualità si verifica anche se i fatti dedotti siano stati esposti nell’atto di citazione al mero scopo di descrivere ed inquadrare altre circostanze e soltanto successivamente, per la prima volta, siano stati richiamati a sostegno di una nuova pretesa, determinando in tal modo l’introduzione di un nuovo tema d’indagine. (Nella specie, la S.C., ritenendo che le azioni di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale avevano “causa petendi” e “petitum” diversi, ha confermato la sentenza impugnata con cui la corte di merito aveva ritenuto nuova e, pertanto, inammissibile la domanda – fondata sulla responsabilità extracontrattuale del proprietario ai sensi dell’art. 2053 cod.civ. – di risarcimento dei danni determinati dal crollo del tetto di un immobile di proprietà della convenuta e già condotto in locazione dagli attori, avanzata per la prima volta nella comparsa conclusionale in primo grado, a fronte della diversa prospettazione originaria di un titolo di responsabilità contrattuale e, comunque, di un diverso titolo di responsabilità aquiliana ricondotto all’art. 2051 cod. civ).
9. Consulenza e assistenza legale per il tuo caso
Come avrai notato, la disciplina prevista in materia di Risarcimento del danno è decisamente complessa poiché occorre valutare molti elementi.
Proprio per questo motivo, al fine di proteggere e difendere al meglio la tua sfera giuridica, ti consiglio di completare il Modulo di contatto che trovi in questa pagina.
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