Cause di risoluzione del contratto di locazione

Giungere alla risoluzione di un contratto di locazione significa sciogliere un vincolo contrattuale prima del termine fissato nel contratto.

Tale operazione richiede alcuni passaggi importanti e si differenzia dal recesso anticipato dal contratto di locazione.

Mentre, infatti, quest’ultimo può sempre essere esercitato dal conduttore qualora ricorrano gravi motivi, la risoluzione può avvenire per determinate cause.

In questa guida verrà sinteticamente illustrata la disciplina del contratto di locazione rivolgendo l’attenzione alle cause di risoluzione del contratto di locazione e quali sono le operazioni da svolgere.

1. Contratto di locazione

Il contratto di locazione è disciplinato all’art. 1571 del Codice Civile.

“La locazione è il contratto col quale una parte si obbliga a far godere all’altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo”.

Si tratta di un contratto consensuale a effetti obbligatori e a titolo oneroso e se ha ad oggetto beni immobili deve essere stipulato per iscritto.

Con tale contratto il conduttore può godere della cosa a un prezzo più basso di quello previsto da un contratto di compravendita e può percepire i frutti del bene.

La durata del contratto di locazione, in particolare a uso abitativo, può essere di vari tipi a seconda della sua durata.

È la legge, infatti, a fissare la durata minima della locazione, in altri la durata massima, in altri ancora la durata effettiva che non può essere modificata.

1.1. Durata del contratto di locazione

Distinguiamo, innanzitutto, gli affitti a canone libero della durata di 4 anni e 4 di rinnovo automatico.

Gli affitti a canone concordato ordinari sono di 3 anni + 2 di rinnovo automatico (o 3 in caso di accordi tra le parti).

Per studenti universitari la durata del contratto può variare da 6 mesi a 3 anni (36 mesi) con rinnovo automatico dello stesso periodo alla prima scadenza.

Infine, nel contratto di locazione transitorio la durata può variare da 1 a 18 mesi.

Risolvere un contratto significa liberarsi da quel vincolo facendo venire meno gli effetti dell’accordo,  dunque diritti ed gli obblighi da esso discendenti.

Per il conduttore vuol dire smettere di godere del bene mobile o immobile concessogli e di conseguenza cessare il pagamento dei canoni.

Per il locatore significa riacquistare la materiale disponibilità del bene perdendo il reddito dato dal canone di locazione.

2. Cause di risoluzione del contratto di locazione

Nel nostro ordinamento è possibile risolvere un contratto per inadempimento, per vizi della cosa, per impossibilità sopravvenuta, risoluzione per eccessiva onerosità e per mutuo consenso.

2.1. Risoluzione del contratto di locazione per inadempimento

Risolvere un contratto di locazione per inadempimento significa che uno dei due contraenti non adempie le proprie obbligazioni. Ad esempio, se il conduttore non versa i canoni di locazione oppure il locatore non effettua la manutenzione l’immobile dato in locazione richiede.

Infatti, tale tipo di risoluzione è possibile nei contratti a prestazioni corrispettive, quale è il contratto di locazione.

Alla parte inadempiente, l’altra può intimare per iscritto di adempiere in un congruo termine che non può essere inferiore di 15 giorni. Decorso tale termine, il contratto è risolto di diritto, ai sensi dell’art. 1454 del codice civile. L’inadempimento deve rivestire una certa importanza.

La gravità dell’inadempimento deve essere valutata in ordine a due presupposti oggettivi.

Il primo,  di tipo quantitativo, consistente nel mancato pagamento di una rata del canone o di oneri accessori per un importo superiore a due mensilità di canone.

Il secondo,  di ordine temporale, è dato dal protrarsi dell’inadempimento per oltre venti giorni dalla scadenza del termine convenuto o di due mesi in caso di oneri accessori.

Un contratto di locazione può essere risolto, altresì, per vizi della cosa.

2.2. Vizi della cosa

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 13594/2019).

In tema di risoluzione del contratto di locazione per vizi della cosa ex art. 1578 c.c., e non per inadempimento, la data alla quale può ricondursi la legittima interruzione del pagamento del canone convenzionalmente stabilito coincide con quella della spedizione della raccomandata con cui il conduttore comunica il recesso, documentando la circostanza che rende l’intero bene inidoneo all’uso per il quale il contratto è stato stipulato.

2.3. Inadempimento per impossibilità sopravvenuta

L’inadempimento per impossibilità sopravvenuta è disciplinata a partire dagli art. 1463 e seguenti del codice civile distinguendo tra un’impossibilità totale e parziale.

In questo secondo caso la parte che deve ricevere la prestazione può anche recedere dal contratto se non abbia un interesse all’adempimento.

La risoluzione del contratto di locazione per eccessiva onerosità, in questo tempo di Covid-19 è un problema importante nelle locazioni commerciali.

In questo caso ci si chiede cosa accade se le parti non raggiungono un accordo per la riduzione temporanea del canone.

In particolare, se il conduttore possa risolvere immediatamente il contratto, liberando contestualmente il locale affinchè rientri nel possesso del proprietario.

Se ricorrono i presupposti previsti dalla legge, è possibile.

Infatti, nel caso di contratti a prestazione corrispettiva e ad esecuzione continuata (come i contratti di locazione) se la prestazione di una delle parti diviene eccessivamente onerosa per verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, è possibile richiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta.

L’epidemia Covid-19 è qualificabile come evento straordinario e imprevedibile.

Infatti, si è verificato indipendente dalla volontà del conduttore e certamente non poteva essere immaginabile al momento della conclusione del contratto.

3. Risoluzione consensuale del contratto di locazione

La risoluzione per mutuo consenso si ha quando il conduttore e il locatore hanno la comune volontà di porre fine al rapporto contrattuale in essere tra di loro.

Tale volontà, più nel dettaglio, deriva da quella specifica del locatore di tornare ad avere la disponibilità materiale del proprio bene (pur perdendo il corrispettivo) e da quella specifica del conduttore di cessare il godimento del bene concessogli e di liberarsi dall’onere di pagamento del canone concordato.

La risoluzione consensuale del contratto di locazione non è sottoposta dalla legge a particolari vincoli formali.

Tuttavia, con specifico riferimento alle locazioni ad uso abitativo, la necessaria forma scritta del contratto con il quale esse vengono stipulate è richiesta anche al contratto di risoluzione.

È inoltre consigliabile regolamentare con quest’ultimo tutte le situazioni che sono ancora pendenti tra le parti. Si pensi, ad esempio, alle spese di registrazione della risoluzione o alle sorti della caparra versata dal conduttore al locatore o, ancora, al pagamento degli oneri accessori.

Così come previsto in generale per il contratto di locazione, anche la risoluzione consensuale dello stesso va registrata.

3.1. Registrazione della risoluzione consensuale

Il mancato adempimento di tale onere, infatti, lascia le parti assoggettate al pagamento delle imposte sui redditi strettamente connesse al rapporto di locazione.

Per la registrazione è necessario versare entro 30 giorni dalla stipula della risoluzione anticipata l’imposta di registro fissata in 67 euro. Il versamento va fatto tramite modello F24, utilizzando il codice tributo 1503.

Tuttavia, nel caso in cui si sia optato per il regime della cedolare secca (da parte di tutti i locatori, se sono più di uno) l’imposta di registro non è dovuta.

Nel caso di contratti di locazione a uso abitativo, il locatore può decidere, come accennato, di avvalersi dell’opzione per la cedolare secca (Art. 3 del D.lgs. 14 marzo 2011, n. 23). L’opzione per l’applicazione della cedolare secca deve essere esercitata in sede di registrazione del contratto di locazione, con effetti per l’intera durata del contratto, salvo revoca.

In entrambi casi, la risoluzione va comunicata al medesimo ufficio presso il quale è stato registrato il contratto di locazione, compilando l’apposito modello RLI scaricabile (così come il modello F24) dal sito dell’Agenzia delle entrate.

4. La giurisprudenza rilevante della Corte di Cassazione in materia di risoluzione del contratto di locazione

Cass. civ. Sez. III Sent., 08/09/2022, n. 26493.

Le cause di risoluzione di un contratto di locazione per inadempimento del conduttore debbono preesistere al momento in cui la controparte propone la domanda giudiziale, con la conseguenza che – per quanto sia consentito al giudice, in una considerazione unitaria della condotta della parte, trarre elementi circa la colpevolezza e la gravità dell’inadempimento dalla morosità che si sia protratta nel corso del giudizio – egli non può mai prescindere dall’indagine primaria sulla sussistenza dell’inadempimento al momento della domanda. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione che aveva confermato la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore – il quale, fino all’intimazione dello sfratto per morosità, aveva corrisposto il canone in misura ridotta ex art. 3, commi 8 e 9, d.lgs. n. 23 del 2011, poi dichiarati costituzionalmente illegittimi – attribuendo rilievo, ai fini della richiesta risoluzione, alla complessiva morosità determinatasi anche successivamente alla proposizione della domanda, senza esaminare i profili di imputabilità del pregresso inadempimento).

Cass. civ. Sez. III Ord., 20/12/2019, n. 34158.

Nell’ipotesi in cui, nel corso del giudizio instaurato dal locatore per ottenere la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, intervenga la restituzione dell’immobile per finita locazione, non vengono meno l’interesse ed il diritto del locatore ad ottenere l’accertamento dell’operatività di una pregressa causa di risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore, potendo da tale accertamento derivare effetti a lui favorevoli. Del pari, il giudicato formatosi sulla cessazione, per intervenuta scadenza, della locazione non preclude alla parte che ne ha interesse attuale l’esame della domanda di accertamento, con valore di giudicato, dell’operatività di una pregressa causa di risoluzione del contratto per inadempimento grave del conduttore, atteso che, qualora più fatti diano diritto, ciascuno in maniera autonoma, alla cessazione di un contratto, sussistono altrettante “causae petendi” e, quindi, azioni, sicché la pronuncia sull’una, passata in giudicato, non preclude l’esame delle altre.

Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 27/09/2017, n. 22647.

Il contratto di locazione ad uso abitativo, soggetto all’obbligo di forma scritta ai sensi dell’art. 1, comma 4, della l. n. 431 del 1998, deve essere risolto con comunicazione scritta, non potendo, in questo caso, trovare applicazione il principio di libertà delle forme, che vale solamente per i contratti in forma scritta per volontà delle parti e non per quelli per i quali la forma scritta sia prescritta dalla legge “ad substantiam”.

Cass. civ. Sez. III Sent., 20/01/2017, n. 1428.

Nel regime ordinario delle locazioni urbane fissato dalla l. n. 392 del 1978, la concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento, ex art. 55, non è contemplata relativamente ai contratti aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, giacché il legislatore, nel disciplinare la sanatoria in questione, non si è limitato a prevedere – in genere – che il conduttore, convenuto per la risoluzione del contratto, possa evitare tale effetto pagando, nell’ultimo termine consentitogli, tutto quanto da lui dovuto per canoni, oneri ed accessori, ma ne ha limitato la portata alle sole ipotesi di inadempimento da morosità contemplate dall’art. 5 della stessa legge, sicchè è lo stesso art. 55 – disposizione di natura processuale e, dunque, di per sé, inidonea a dilatare l’ambito di applicazione di una norma di natura sostanziale – a limitare la propria operatività alle sole locazioni abitative.

Cass. civ. Sez. III Sent., 10/11/2016, n. 22905.

Nel regime delle locazioni urbane fissato dalla l. n. 392 del 1978, la disciplina di cui all’art. 55, relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento, non opera in tema di contratti aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, poiché il legislatore non si è limitato a prevedere che il conduttore convenuto per la risoluzione del contratto possa evitare tal effetto pagando, nell’ultimo termine consentitogli, tutto quanto da lui dovuto per canoni oneri ed accessori, ma ha limitato la portata della previsione al solo ambito delle ipotesi di morosità prese in considerazione dall’art. 5 della stessa legge, concernente le locazioni ad uso abitativo.

Cass. civ. Sez. III Sent., 22/12/2015, n. 25740.

Nell’ipotesi in cui, nel corso del procedimento instaurato dal locatore per ottenere la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, intervenga la restituzione dell’immobile per finita locazione, non vengono meno l’interesse ed il diritto del locatore ad ottenere l’accertamento dell’operatività di una pregressa causa di risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore, potendo da tale accertamento derivare effetti a lui favorevoli. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha annullato la decisione di merito che aveva dichiarato cessata la materia del contendere, sul presupposto dell’avvenuta cessazione del contratto di locazione ad uso non abitativo nelle more tra il giudizio di primo e secondo grado, rilevando, per contro, la persistenza dell’interesse all’accertamento dell’avvenuta risoluzione del contratto, in forza dell’operatività di una clausola risolutiva espressa, giacché essa avrebbe comportato, ai sensi dell’art. 1458 c.c., la condanna alla restituzione delle prestazioni adempiute).

Cass. civ. Sez. III Sent., 09/06/2015, n. 11864.

La risoluzione del contratto di locazione di immobili sulla base di una clausola risolutiva espressa non può essere pronunciata di ufficio, ma postula la corrispondente e specifica domanda giudiziale della parte nel cui interesse quella clausola è stata prevista, sicchè, una volta proposta l’ordinaria domanda ex art. 1453 cod. civ., con l’intimazione di sfratto per morosità, non è possibile mutarla in richiesta di accertamento dell’avvenuta risoluzione “ope legis” di cui all’art. 1456 cod. civ., atteso che quest’ultima è radicalmente diversa dalla prima, sia quanto al “petitum”, perchè invocando la risoluzione ai sensi dell’articolo 1453 cod. civ. si chiede una sentenza costitutiva mentre la domanda di cui all’articolo 1456 cod. civ. ne postula una dichiarativa, sia relativamente alla “causa petendi”, perchè nella ordinaria domanda di risoluzione, ai sensi dell’articolo 1453 cod. civ., il fatto costitutivo è l’inadempimento grave e colpevole, nell’altra, viceversa, la violazione della clausola risolutiva espressa.

Cass. civ. Sez. III Sent., 11/07/2014, n. 15904.

In tema di intimazione di sfratto per morosità, la sentenza che pronunci la risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, ex art. 1453 cod. civ. non incorre in vizio di ultrapetizione se non siano state proposte domande e eccezioni nuove rispetto a quelle introdotte dalle parti con l’intimazione di sfratto o comunque oggetto del giudizio di opposizione, ossia se il tema d’indagine sia stato fin dall’origine esteso all’accertamento di inadempimenti diversi da quelli fatti valere dal locatore con l’intimazione di sfratto e dal conduttore con l’atto di opposizione alla convalida. (Nella specie, il locatore non aveva proposto domande diverse dall’accertamento della morosità del conduttore nel pagamento dei canoni, mentre il conduttore aveva, fin dall’origine, eccepito altri inadempimenti del locatore, che a suo avviso ne paralizzavano il diritto al pagamento del canone e gli attribuivano il diritto al risarcimento dei danni).

Cass. civ. Sez. III Sent., 14/02/2012, n. 2082.

Nell’ipotesi in cui, nel corso del procedimento instaurato dal locatore per ottenere la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, intervenga la restituzione dell’immobile per finita locazione, non vengono meno l’interesse ed il diritto del locatore ad ottenere l’accertamento dell’operatività di una pregressa causa di risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore, potendo da tale accertamento derivare effetti a lui favorevoli come, in caso di immobile non abitativo, la non debenza dell’indennità di avviamento.

Cass. civ. Sez. III Sent., 09/06/2010, n. 13840.

Nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, il giudice di merito è tenuto a formulare un giudizio – incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato – di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti (tenuto conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto), si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale. In difetto di prova sulla causa effettiva e determinante della risoluzione, il giudice non potrà dichiarare risolto il vincolo contrattuale per inadempienze equivalenti delle parti, ma dovrà limitarsi al rigetto di entrambe le domande per l’insussistenza dei fatti giustificativi posti a sostegno di esse. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato risolto per inadempienze reciproche, reputate equivalenti, il contratto di locazione di un bar, con annesso laboratorio di pasticceria, rispetto al quale, nello svolgimento del relativo rapporto, il conduttore lamentava l’inidoneità dei locali e delle macchine all’uso pattuito ed il locatore la morosità nel pagamento dei canoni, chiedendo entrambe le parti la risoluzione del contratto medesimo).

Cass. civ. Sez. III Sent., 31/05/2010, n. 13248.

Nel regime ordinario delle locazioni urbane fissato dalla legge n. 392 del 1978, la disciplina di cui all’art. 55, relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento, non opera in tema di contratti aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo. Il legislatore, difatti, nel dettare la disciplina della sanatoria in questione, non si è limitato a prevedere – in genere – che il conduttore convenuto per la risoluzione del contratto possa evitare tal effetto pagando, nell’ultimo termine consentitogli, tutto quanto da lui dovuto per canoni, oneri ed accessori, ma ha limitato la portata della sua previsione al solo ambito delle ipotesi di inadempimento da morosità descritte e prese in considerazione dall’art. 5 della stessa legge, di tal che è la stessa disposizione di cui all’art. 55 – la quale risulta inclusa tra quelle di natura processuale, di per sé inidonee a dilatare l’ambito di applicazione di una norma di natura sostanziale – a limitare il proprio ambito di applicazione alle sole locazioni abitative.

Cass. civ. Sez. III Sent., 10/03/2010, n. 5767.

In tema di locazioni abitative, la norma dell’art. 80 della legge 27 luglio 1978 n. 392 – che, nel caso di unilaterale mutamento d’uso dell’immobile locato da parte del conduttore, prevede l’applicabilità del regime giuridico corrispondente all’uso effettivo – essendo diretta ad evitare che venga elusa la disciplina fissata per le diverse tipologie locative, va riferita a tutti i casi in cui la variazione comporti l’applicazione di una diversa disciplina e, quindi, anche nel caso di mutamento dall’uno all’altro sottotipo di locazione abitativa di cui all’art. 26, lett. a), della citata legge n. 392 e finanche in quello in cui il mutamento di destinazione produca effetti più sfavorevoli per il conduttore, restando estranei alla norma in questione solo quei cambiamenti d’uso dai quali non derivi innovazione nella disciplina giuridica del rapporto ed in relazione ai quali è configurabile solo un inadempimento contrattuale legittimante il ricorso alla ordinaria azione di risoluzione prevista dall’art. 1453 cod. civ. (Nella specie, la S.C. ha cassato, con rinvio, la sentenza di merito che, in fattispecie relativa a contratto di locazione stipulato per esigenze transitorie generiche, con destinazione d’uso effettiva dell’immobile locato da parte del conduttore per esigenze transitorie determinate da motivi di lavoro, aveva dichiarato risolto il contratto di locazione, senza considerare adeguatamente la possibilità di applicare una diversa disciplina giuridica della locazione).

Cass. civ. Sez. III Sent., 28/11/2008, n. 28416.

Nell’ipotesi in cui, nel corso del procedimento instaurato dal locatore per ottenere la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, intervenga la restituzione dell’immobile per finita locazione, non viene meno l’interesse (e il diritto) del locatore ad ottenere l’accertamento dell’operatività di una pregressa causa di risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore, potendo da tale accertamento derivare effetti a lui favorevoli. Peraltro, il giudicato formatosi sulla cessazione, per intervenuta scadenza, della locazione non preclude alla parte che ne ha interesse attuale l’esame della domanda di accertamento, con valore di giudicato, dell’operatività di una pregressa causa di risoluzione del contratto per inadempimento grave del conduttore, atteso che qualora più fatti diano diritto, ciascuno come causa autonoma, alla cessazione di un contratto, sussistono altrettante “causae petendi” e, quindi, azioni, sicché la pronuncia sull’una, passata in cosa giudicata, non preclude l’esame delle altre. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva dichiarato cessata la materia del contendere sulla domanda di risoluzione di un contratto di locazione per uso non abitativo a seguito dell’intervenuta convalida della licenza per finita locazione).

Cass. civ. Sez. III Sent., 28/03/2008, n. 8071.

In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, una volta introdotta – sia con le forme speciali del procedimento per convalida sia con quelle ordinarie – l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento dell’obbligazione di pagamento del canone, retroagendo l’effetto risolutivo del rapporto contrattuale al momento della litispendenza, il diritto potestativo di recedere dal contratto può essere esercitato da parte del conduttore anche durante la pendenza del giudizio ma, essendo il recesso destinato a produrre, ove legittimo, l’effetto di cessazione del contratto al momento in cui é per convenzione o per legge efficace e, quindi, in un momento successivo a quello in cui dovrebbero prodursi gli effetti dell’azione di risoluzione proposta, la sua concreta idoneità a determinare la cessazione del rapporto dipende dall’eventuale rigetto della domanda di risoluzione ma non può produrre alcun effetto sulla fondatezza di essa e sulla prosecuzione del relativo giudizio.

Cass. civ. Sez. III, 03/09/2007, n. 18510.

Oltre al danno per il mancato reimpiego dell’immobile (lucro cessante), il proprietario dell’immobile concesso in locazione avrebbe diritto al risarcimento del danno conseguente alla mancata riscossione dei canoni fino al termine fisiologico del rapporto, a causa dell’anticipata risoluzione per inadempimento del conduttore (danno emergente), qualora la domanda di risoluzione venga accolta.

Cass. civ. Sez. III, 14/11/2006, n. 24207.

In tema di risoluzione del contratto di locazione di immobili, perchè la risoluzione stessa possa essere dichiarata sulla base di una clausola risolutiva espressa, è richiesta la specifica domanda, con la conseguenza che, una volta proposta l’ordinaria domanda ai sensi dell’articolo 1453 cod. civ., con l’intimazione di sfratto per morosità, non è possibile mutarla in domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione “ope legis” di cui all’articolo 1456 cod. civ., in quanto quest’ultima è autologicamente diversa dalla prima, sia per quanto concerne il “petitum”, – perchè con la domanda di risoluzione ai sensi dell’articolo 1453 si chiede una sentenza costitutiva mentre quella di cui all’articolo 1456 postula una sentenza dichiarativa – sia per quanto concerne la “causa petendi” – perchè nella ordinaria domanda di risoluzione, ai sensi dell’articolo 1453, il fatto costitutivo è l’inadempimento grave e colpevole, nell’altra, viceversa, la violazione della clausola risolutiva espressa -.

Cass. civ. Sez. III, 14/03/2006, n. 5468.

La cessione di azienda operante in immobile condotto in locazione, e del relativo contratto di locazione,secondo le previsioni di cui all’articolo 36 della legge 27 luglio 1978 n.392, qualora avvenga nel corso del giudizio che abbia ad oggetto la risoluzione del contratto di locazione, dà luogo ad una successione nel diritto controverso ai sensi dell’articolo 111 del cod. proc. civ.. Ne consegue che il cessionario, in quanto successore a titolo particolare, può intervenire in appello senza che operino i limiti risultanti dall’articolo 344 cod. proc.civ..(Nella fattispecie, relativa al giudizio di opposizione a convalida di sfratto per morosità relativamente ad un immobile condotto in locazione ad uso commerciale, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza della corte di merito che, nel rigettare il gravame del locatario alla sentenza di primo grado di risoluzione del contratto, aveva altresì dichiarato inammissibile, in applicazione dell’art. 344 cod. proc. civ., l’intervento in appello della società nelle more cessionaria dell’azienda operante nell’immobile locato, sul presupposto, ritenuto in sentenza, che l’intervenuta doveva considerarsi terzo rispetto al giudizio, con conseguente limitazione dei poteri processuali a quanto prevede l’art. 404 cod. proc. civ.).

Cass. civ. Sez. III, 26/07/2005, n. 15620.

I gravi motivi in presenza dei quali l’art. 27, ultimo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, consente in qualsiasi momento il recesso del conduttore dal contratto di locazione devono collegarsi a fatti estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto. Viceversa, la non conseguita disponibilità dell’immobile locato e, più in generale, la violazione di obblighi contrattuali, non è riconducibile a motivo di recesso, vertendosi in tema di inadempimento dell’obbligazione del locatore di consegnare il bene locato, da far valere mediante domanda di risoluzione del contratto. Ne consegue che è resa in violazione di legge la sentenza che – nel caso in cui il locatore abbia chiesto la condanna del conduttore, previo accertamento della inefficacia del suo recesso, al pagamento dei canoni di locazione ed il conduttore abbia a sua volta chiesto dichiararsi risolto il contratto per grave inadempimento del locatore – dichiari, nel contempo, risolto il contratto ed efficace il recesso per i medesimi motivi.

Cass. civ. Sez. III, 10/06/2005, n. 12321.

Anche all’esito dell’introduzione della nuova disciplina delle locazioni abitative ad opera della legge n. 341 del 1998, la disposizione contenuta nell’art. 5 della legge n. 392 del 1978, che ha predeterminato la gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione del contratto, trova applicazione esclusivamente per le locazioni ad uso di abitazione, e non è estensibile al tipo contrattuale della locazione per uso diverso dall’abitazione, come si desume: a) dalla collocazione testuale della norma nell’ambito del capo I (“Locazione di immobili adibiti ad uso di abitazione”) del Titolo I (“Del contratto di locazione”) della suindicata legge n. 392 di 1978, mentre le locazioni ad uso diverso da abitazione sono disciplinate al Capo II del medesimo Titolo I; b) dall’essere i due diversi tipi contrattuali a loro volta distinti in sottotipi, con differente disciplina in ragione dei differenti interessi tutelati; c) dal non risultare il suindicato art. 5 indicato nell’art. 41 tra quelli applicabili alle locazioni ad uso diverso da abitazione; d) dal non essere stata la norma in questione, diversamente da numerose altre, espressamente abrogata dalla citata legge n. 431 del 1998; e) dal non potersi l’applicazione estensiva dell’art. 5 farsi discendere dalla parziale liberalizzazione del canone di locazione introdotta dalla detta legge n. 431 del 1998 per le locazioni ad uso abitativo.

Cass. civ. Sez. III, 18/05/2005, n. 10389.

Il giudice che, in presenza di reciproche domande di risoluzione fondate da ciascuna parte sugli inadempimenti dell’altra, accerti l’inesistenza di singoli specifici addebiti, non potendo pronunciare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell’impossibilità dell’esecuzione del contratto per effetto della scelta , ex art. 1453, comma secondo, cod. civ., di entrambi i contraenti e decidere di conseguenza quanto agli effetti risolutori di cui all’art. 1458 dello stesso codice. (Fattispecie relativa a contratto di locazione; la Corte Cass. ha confermato, correggendone la motivazione, la sentenza di merito che aveva escluso tanto la colpa del locatore nel difetto di manutenzione della cosa locata, perchè i danni alla cosa provenivano da proprietà di terzi , quanto la colpa del conduttore, che aveva sospeso il pagamento dei canoni a causa dell'”inidoneità sopravvenuta” dell’immobile).

Cass. civ. Sez. III, 11/05/2005, n. 9878.

Nel regime ordinario delle locazioni urbane fissato dalla legge n. 392 del 1978, la disciplina di cui all’art. 55 relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento non opera in tema di contratti aventi ad oggetto immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo. Il legislatore, difatti, nel dettare la disciplina della sanatoria in questione, non si è limitato a prevedere – in genere – che il conduttore convenuto per la risoluzione del contratto possa evitare tal effetto pagando, nell’ultimo termine consentitogli, tutto quanto da lui dovuto per canoni, oneri ed accessori, ma ha limitato la portata della sua previsione al solo ambito delle ipotesi di inadempimento da morosità descritte e prese in considerazione dall’art. 5 della stessa legge n. 392 del 1978, di tal che è la stessa disposizione di cui all’art. 55 legge n. 392 del 1978- la quale risulta inclusa tra quelle di natura processuale, di per sé inidonee a dilatare l’ambito di applicazione di una norma di natura sostanziale – a delineare la limitazione del suo ambito di applicazione alle sole locazioni abitative.

5. Consulenza e assistenza legale per il tuo caso

Come avrai notato, la disciplina prevista in relazione alla risoluzione del contratto di locazione è decisamente complessa poiché occorre valutare molti elementi e ponderare diverse opzioni per addivenire ad una scelta adeguata.

Proprio per questo motivo, al fine di proteggere e difendere al meglio il tuo Patrimonio, ti consiglio di completare il Modulo di contatto che trovi in questa pagina.

Un Professionista di ObiettivoProfitto.it saprà aiutarti nel migliore dei modi.

CHIEDI UNA CONSULENZA
CONTATTACI

per richiedere la nostra assistenza







    Ho letto e accetto la Privacy Policy