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Numerosi sono gli strumenti di tutela del patrimonio personale, che l’ordinamento prevede e disciplina. Scegliere quale sia quello maggiormente conforme alle esigenze individuali, tuttavia, non sembra semplice. Proprio l’ampio novero di fattispecie processuali e istituti extraprocessuali rendono di difficile elaborazione le concrete alternative.
Nella giungla del mercato economico e degli scambi, anche quotidiani, il cittadino sembra, non di rado, sprovvisto degli adeguati strumenti di tutela del patrimonio. Eppure, soprattutto nell’ultimo decennio, l’esigenza di proteggere i propri risparmi è divenuta sempre più sentita. In considerazione anche del rischio crescente di essere esposti a peculiari eventi lesivi, come la crisi di impresa, improvvisa precarietà lavorativa, ma anche inaspettati eventi di natura familiare o personale, si è sviluppata la tendenza a ricercare idonee strumenti cautelativi.
Il codice civile è stato arricchito, grazie anche alle fonti sovranazionali, soprattutto comunitarie, di figure duttili, che hanno offerto un pregevole apporto al privato. Tuttavia, proprio la sovrabbondanza di tecniche e misure, ha finito per ingenerare una rilevante difficoltà nella selezione e nella scelta del “tattica cautelare” più conforme allo scopo perseguito.
L’intento della presente guida è, quindi, quello di individuare ed analizzare i principali strumenti per la tutela del patrimonio personale, che l’ordinamento mette a disposizione al privato cittadino.
1. La tutela del patrimonio: vincolo di destinazione
Con la Legge del 23 febbraio 2019, n. 51, è stato introdotto nel corpo del codice civile l’art. 2645 ter c.c., il quale testualmente recita: ” Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela (…) possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione”.
La norma apparentemente disciplina la trascrizione di atti aventi ad oggetto immobili e mobili registrati. Invero, essa ha introdotto nel nostro ordinamento la figura del vincolo di destinazione, efficace strumento di tutela del patrimonio dall’aggressione dei creditori.
1.1. Cosa è un vincolo di destinazione?
Per quanto la norma di cui all’art. 2645 ter c.c. sembri disciplinare aspetti prettamente pubblicistici, è ormai pacifico che esso abbia carattere anche sostanziale. Le riforme, infatti, ha inteso introdurre un istituto, in uso nella prassi, ma privo, fino ad allora, di fondamento normativo.
L’atto di destinazione del patrimonio è espressione dell’autonomia negoziale, che si adopera al fine di costituire un rapporto di natura patrimoniale. Maggiori incertezze, invero, sussistono sulla natura unilaterale o contrattuale del negozio, che sembrerebbe, infatti, perfezionarsi con l’accettazione del beneficiario dell’atto stesso.
A prescindere dalla natura unilaterale o bilaterale, tale negozio può essere sia oneroso che gratuito. Esso muta la propria veste in considerazione degli interessi che intende perseguire, difatti è considerato in genere un negozio a causa variabile. Tuttavia, il più delle volte, si qualifica come atto a titolo gratuito.
Come suddetto, il destinatario del beneficio realizzato con il negozio può esprimere il proprio dissenso rifiutando il prodursi degli effetti nei suoi confronti. Il negozio potrebbe anche essere risolto tramite mutuo consenso.
La durata massima del vincolo è di novanta anni, o comunque per un periodo non superiore alla durata della vita del beneficiario.
1.2. L’effetto di destinazione
La tutela del patrimonio personale, nel caso degli atti di destinazione, passa attraverso l’effetto di segregazione patrimoniale, prodotto dalla destinazione. I beni oggetto di destinazione costituiscono una massa separata dal resto del patrimonio del beneficiario. Ciò implica che i creditori di quest’ultimo non possono rivalersi su tali beni. Essi potranno essere oggetto di aggressione solo da parte di quei creditori il cui diritto sia collegato alla realizzazione della finalità di destinazione.
Proprio a causa del peculiare effetto che l’atto di destinazione produce, il legislatore ha subordinato la costituzione alla tutela di interessi meritevoli. Il concetto di meritevolezza, che, ivi, viene in evidenza, è di certo più stringente del giudizio di cui all’art. 1322 c.c., sebbene predetta norma sia espressamente richiamata dall’art. 2645 bis c.c..
E’ possibile, infatti, individuare una serie di ambiti che integrano certamente la meritevolezza. Si tratta di ogni settore inciso da interessi di rilievo costituzionale, ad esempio la tutela dei disabili o la crisi coniugale. Maggiormente incerto è il ricorso a tali atti al fine di tutelare l’impresa, sebbene non di rado si ricorre a figura similari che producono effetti di segregazione.
Un altro aspetto da considerare è cosa succede nel caso in cui il bene oggetto del vincolo di destinazione vengano alienati. Nel contesto dottrinale, infatti, ci si è chiesti se in questo caso il bene acquistato con il ricavato della vendita del bene oggetto del vincolo di destinazione entri oppure no nella “massa separata” nata con l’atto di destinazione. La risposta in dottrina ed in giurisprudenza sembra essere positiva. Ciò significa, in parole povere, che nel caso in cui si volesse alienare il bene che è oggetto del vincolo di destinazione, ciò che l’alienante acquista per l’effetto dell’alienazione (ad esempio un altro bene), quest’ultimo automaticamente; quindi, senza dover porre in essere un ulteriore atto di destinazione ai sensi dell’art. 2645 ter c.c., sarà vincolato.
2. Il fondo patrimoniale
Forse uno degli strumenti di protezione patrimoniale più tradizionale è proprio il fondo patrimoniale. Si tratta di un vincolo posto da un coniuge o da entrambi (o addirittura da un terzo) su determinati beni nell’interesse esclusivo della famiglia. Lo scopo è quello di creare un patrimonio separato, ovvero non aggredibile da parte dei creditori, rivolto a soddisfare i bisogni familiari.
Il fondo patrimoniale deve essere costituito per atto pubblico o per testamento. Ciò significa che necessita della forma notarile. Oggetto del fondo patrimoniale può essere la proprietà su un determinato bene o altri diritti reali come, ad esempio, il diritto di usufrutto su un determinato bene immobile. Viceversa, è discusso in dottrina se possano essere oggetto del fondo patrimoniale le quote sociali e le aziende, tuttavia, almeno per queste ultime, sembra prevalere l’orientamento negativo, confermato anche dalla giurisprudenza.
I beni oggetto del fondo patrimoniale diventano “destinati” al soddisfacimento dei bisogni della famiglia. Ciò significa, in parole povere, che i creditori non possono aggredire i beni del fondo se non per debiti contratti per soddisfare i bisogni della famiglia stessa. Conseguentemente, i cosiddetti creditori “commerciali”, o comunque i creditori che vantano un credito che non ha nulla a che fare con il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, rimangono sprovvisti di tutela. Occorre però precisare che, se da un lato il fondo patrimoniale rappresenta un ottimo strumento di tutela al patrimonio familiare, dall’altro è suscettibile di essere messo in discussione da parte dei creditori mediante l’azione revocatoria entro il termine previsto dalla legge (ovvero cinque anni). Ancora, in caso di fallimento o meglio, di apertura della liquidazione giudiziale, il fondo può essere aggredito anche con l’azione revocatoria fallimentaria. E non finisce qui, se il debito è cronologicamente anteriore alla nascita del fondo patrimoniale, colui il quale vanta detto credito viene tutelato dall’art. 2929 bis c.c.
Il fondo patrimoniale rappresenta un ottimo strumento di tutela del patrimonio familiare, tuttavia, per le ragioni sopra esposte, necessita di almeno cinque anni per consolidarsi. Ciò significa che prima di allora non è uno strumento “sicuro” poiché non garantisce tutele nei confronti dei creditori.
3. La tutela del patrimonio: intestazione fiduciaria
Una delle tecniche di tutela del patrimonio personale, e non solo, è l’intestazione fiduciaria. Questa è uno strumento indiretto, tramite il quale determinati beni vengono intestati ad un soggetto, al fine di nascondere la reale identità del proprietario.
L’intestazione fiduciaria è un istituto piuttosto duttile, infatti può essere utilizzata secondo diverse forme dal mandato fiduciario, alle società fiduciarie, al negozio fiduciario, a secondo dell’esigenza che viene in rilievo. A seconda della forma prescelta seguiranno poi differenti effetti, anche sotto il punto di vista fiscale. Dalla intestazione, potrà, allora, seguire o l’effetto di separazione patrimoniale oppure lo stesso trasferimento di proprietà.
Appare, quindi, che anche laddove si adotti la forma negoziale, l’atto risultante non avrà una causa di scambio o traslativa, non determinando un arricchimento del soggetto destinatario. La causa sarà, invece, individuabile nello scopo fiduciario.
4. Negozio fiduciario
La figura di recente introduzione è definita come l’accordo tra due soggetti, con cui taluno dei due, detto fiduciante, trasferisce in capo all’altro, fiduciario, la titolarità di una situazione giuridica soggettiva, al fine di perseguire uno scopo ulteriore. Il fiduciario assume con tale negozio l’obbligo di utilizzare i beni conferiti, nei tempi e nei modi prescritti.
Secondo l’orientamento prevalente, il negozio fiduciario è un atto unitario con una propria causa fiduciaria (Corte di Cassazione, sentenza del 19 maggio 1969, n. 1261). Esso produce come principale effetto il trasferimento di un diritto di proprietà su di un bene, al fine di amministrarlo e gestirlo secondo le modalità concordate. L’accordo prevede, inoltre, il ritrasferimento della titolarità del predetto diritto a richiesta, al fiduciante o a un soggetto terzo.
Il negozio fiduciario si struttura, all’apparenza, sulla base di due negozi, uno esterno e l’altro, invece, meramente interno. Il primo è a natura reale, con esso è trasferito un diritto su un determinato bene. Il secondo, invece, ha causa fiduciaria con effetti obbligatori, il quale presuppone l’assunzione di una serie di doveri di gestione.
E’, tuttavia, possibile distinguere tra fiducia statica e dinamica. E’ statica quando non c’è un reale trasferimento dal fiduciante al fiduciario di un bene. Ciò accade quando, il secondo è già titolare del diritto reale, tuttavia egli assumerà degli obblighi di amministrazione e gestione in conformità alle condizioni poste dal fiduciante e a trasferirlo a lui su sua richiesta. Si definisce, invece, dinamica la fiducia che si realizza previo atto di trasferimento.
È possibile altresì distinguere tra fiducia romanistica e fiducia germanistica. La prima è quella fin ora analizzata, ovvero, caratterizzata da un trasferimento della proprietà piena dal fiduciante al fiduciario e il primo è sprovvisto di mezzi di tutela, salvo il risarcimento del danno contrattuale. Viceversa, la fiducia germanistica ricorre quando il vincolo di destinazione impresso sul bene è più intenso. In parole povere, nella figura della fiducia germanistica non c’è un trasferimento vero e proprio della proprietà, il fiduciario riceve solamente la legittimazione ad esercitare in nome proprio un diritto che però rimane ancorato nella sfera giuridica del fiduciante. In questo caso, generalmente, le parti predispongono, nei limiti dell’autonomia negoziale garantita dalla legge, dei meccanismi per garantire una forma di tutela al fiduciante. Ad esempio, si pensi ad una condizione risolutiva, la quale stabilisce la permanenza degli effetti del negozio fiduciario fino al momento dell’adempimento degli obblighi assunti dal soggetto fiduciario.
4.1. Inadempimento del fiduciario
Giunti a questo punto potrebbe sorgere spontanea la domanda: cosa succede se il fiduciario non adempie ai propri obblighi, e come può il fiduciante tutelare il proprio patrimonio? La risposta non è semplice e scontata, se si accoglie la tesi secondo cui il patto in questione sarebbe inammissibile, ne consegue che nessun’azione spetterebbe al fiduciante. Viceversa, ove si aderisse alla tesi del collegamento negoziale, o comunque a quella parte della dottrina che ammette l’ammissibilità del patto fiduciario, occorre distinguere. In caso di vendita del bene a terzi da parte del soggetto fiduciario (ad esempio Tizio trasferisce fiduciariamente a Caio la propria villa e quest’ultimo, nonostante sappia che il bene solo formalmente è suo, decide di alienarlo a Mevio), secondo la tesi prevalente in dottrina ed in giurisprudenza è possibile agire solo per ottenere un risarcimento del danno; è possibile farlo anche nei confronti del terzo acquirente ove si dimostri che quest’ultimo sapesse dell’esistenza del patto fiduciario.
Nel caso in cui l’inadempimento consista nell’omissione del fiduciario di ritrasferire il bene al legittimo proprietario (si pensi al caso in cui Tizio, per i motivi più disparati, trasferisca fiduciariamente a Caio la sua villa, e quest’ultimo, dopo aver ricevuto apposita richiesta da Tizio, si rifiuti di restituirlo) secondo la Cassazione è possibile per il fiduciante agire in giudizio ex art. 2932 c.c. Ciò significa, in parole semplici, che il fiduciante, al fine di tutelare il proprio patrimonio, potrà agire in giudizio con l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre. Tra l’altro, come più volte ha precisato la giurisprudenza, l’art. 2932 c.c. si applica in tutti i casi in cui c’è un obbligo di contrarre, ergo, anche nei casi in cui l’obbligo di trasferimento del bene derivi da un patto collegato (o magari aggiunto) ad un negozio con causa traslativa (di trasferimento).
5. La tutela del patrimonio: il trust
Nel nostro ordinamento la figura del trust, come strumento di tutela del patrimonio personale, è stata a lungo discussa. Invero, era piuttosto incerta la sua ricostruzione, ma, ben prima, la sua stessa ammissibilità.
Invero, lo scopo della Convenzione era proprio quello di armonizzare la disciplina degli Stati aderenti sulla materia, individuando la normativa che meglio si applicava alla fattispecie.
L’istituto del trust è stato riconosciuto in Italia solo con la Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985. Nonostante però tale ratifica, ancora non fu pacifica la sua legittima affermazione nell’ordinamento nazionale. Infatti, si continuò a dibattere sul mero riconoscimento del Trust internazionale, piuttosto che dell’effettiva consacrazione del trust interno.
Proprio in quanto il dibattito non era affatto sopito, si sono susseguiti una serie di interventi legislativi, che si ponevano l’obiettivo di offrire una base legale di riferimento adeguatamente solida. Da ultimo l’art. 73 del D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986 (detto “TUIR”), il quale ha introdotto la normativa fiscale da applicare al suddetto istituto, differenziandone il trattamento fiscale a seconda che trattasi di trust “trasparenti” (ovvero con beneficiari individuati) oppure “opachi” (vale a dire con beneficiari non individuati). Tuttavia, il legislatore, in realtà, non è mai intervenuto al fine di disciplinare le caratteristiche salienti del trust. La sua struttura, quindi, è individuabile sulla base della Convenzione dell’Aja.
5.1. Elementi costitutivi del trust
La struttura del rapporto trilatero costituente il trust può essere rintracciata all’art. 2 della Convenzione dell’Aja. La norma individua tre soggetti che ricorrono alla fattispecie del trust, per gestire dei beni, questi sono:
- il disponente (o “settlor“)che stabilisce il regolamento del trust e, in genere, è anche l’originario titolare del patrimonio oggetto della gestione;
- il gestore (o “trustee“) del patrimonio;
- beneficiario (o “beneficiary“) della gestione, cioè colui a favore del quale viene amministrato il patrimonio in questione.
A questi soggetti, può poi aggiungersene un quarto, che svolge un’attività di controllo sull’operato del gestore. Nel caso di trust di scopo, inoltre, manca la figura del beneficiario. Infatti, in tal caso la gestione è attribuita per perseguire una specifica finalità, non per favorire un soggetto terzo. Ove, invece, si adotti la figura del trust discrezionale, il beneficiario potrebbe non essere individuato alla costituzione del trust, ma in un secondo momento.
5.2. Come si costituisce un trust?
Il trust può essere costituito sia mediante atto inter vivos (ovvero tra vivi)sia mediante atto mortis causa (ovvero con il testamento). Come anticipato, si tratta di un negozio che affonda le proprie radici nei paesi di Common Law ed ha trovato terreno fertile anche nel nostro ordinamento. In genere, il trust viene stipulato dinanzi al Notaio dal disponente, il quale adotta il regolamento ed individua anche la disciplina normativa da applicare. Tramite l’atto istitutivo dovranno essere altrettanto individuate le competenze e le funzioni del gestore, limitando, in tal modo, l’esercizio dell’attività stessa di amministrazione.
Funzione principale dell’atto costitutivo, è la realizzazione di un patrimonio separato. Il trust, infatti, nonostante i molteplici tentativi di ricondurlo ad un contratto fiduciario o ad altre figura, costituisce nella sostanza un patrimonio separato ai sensi dell’art. 2645 ter c.c. Ciò significa che i beni oggetto del trust non confluiranno nel patrimonio del gestore, ma, appunto, sarà del tutto autonomo da esso. L’implicazione principale di questo effetto di segregazione è che i creditori del gestore non potranno rivalersi su questi beni.
Al predetto gestore, saranno poi devoluti specifici compiti. Egli sarà chiamato o ad un’attività di amministrazione del patrimonio in favore del beneficiario, oppure al perseguimento di un’altra specifica finalità.
5.3. Finalità del trust
La figura del trust esiste sotto molteplici vesti, a seconda della finalità che si intende perseguire. Possiamo, quindi, distinguere:
- liberali o di tipo fiduciario: con il quale si può disporre del patrimonio con finalità di tutela del patrimonio familiare o meno. Si pensi ad esempio a chi, magari per sfuggire alla pretesa dei creditori e per tutelare il proprio patrimonio, decide di stipulare un trust a favore di un amico o di un parente in modo da creare “un’isola felice”, dove i creditori non possono soddisfare le proprie pretese;
- commerciali: con finalità di garanzia e tutela per l’attività di impresa. Il trust, infatti, può essere utile anche per creare delle vere e proprie garanzie finalizzate ad agevolare l’accesso al credito;
- con finalità di pubblico interesse: che possono assumere a loro volta svariate forme, ad esempio si distinguono i trust fissi, dove i beneficiari sono determinati sin dalla costituzione dai trust discrezionali, dove possono essere individuati successivamente. Inoltre, queste tipologie di trust, proprio perché perseguono interessi pubblici, possono essere revocabili, differentemente dall’istituto generale, che, invece, ha carattere irrevocabile.
Si tratta, dunque, di un istituto giuridico estremamente versatile utile per perseguire le finalità più disparate e nel pieno rispetto della legge.
5.4. Il trust autodichiarato
Quando si parla di strumenti utili alla tutela del proprio patrimonio non è possibile non fare cenno al cosiddetto trust autodichiarato. In estrema sintesi con tale trust il disponente non trasferisce alcunché al terzo gestore ma si limita ad imporre un vincolo di destinazione sui beni oggetto del trust stesso. In questo modo, quindi, è possibile creare un vero e proprio vincolo di destinazione sui beni interessati, non più aggredibili dai creditori personali del disponente. Non a caso, il principale vantaggio che ruota attorno a questo particolare trust sta proprio nel fatto che il disponente è libero di gestire i propri beni destinati e, al tempo stesso, approfittare del meccanismo di protezione dei beni stessi derivanti dal trust.
Occorre precisare però che, nonostante i beni rimangono nella sfera di disponibilità del disponente, è necessario che egli dovrà pur sempre gestirli in piena conformità a quanto previsto nell’atto istitutivo del trust. In ogni caso, al fine di garantire un minimo di tutela anche ai terzi, è fortemente consigliabile nominare un “guardiano”, che abbia dei seri poteri di controllo sull’attività del disponente.
Un esempio di trust autodichiarato lecito potrebbe essere il seguente: tizio, genitore di tizietto affetto da una grave disabilità, istituisce un trust avente per oggetto una pluralità di beni che gestirà nel modo che ritiene migliore nell’interesse del figlio, ma con la possibilità di proiettare la gestione anche nel futuro e proteggere, al tempo stesso, i suddetti beni dalle sue vicende personali.
6. La tutela del patrimonio: polizze assicurative
Le polizze assicurative costituiscono un ulteriore valido strumento di tutela del patrimonio personale, che altrettanto producono anche esse un effetto di segregazione.
I contratti con cui si stipulano le polizze assicurative rientrano nella particolare categoria di contratti aleatori. Con tale espressione si richiamano gli atti negoziali connotati, oltre che dalla necessaria alea economica, anche da un’alea giuridica.
Al rischio concernente l’entità della prestazione, che può subire alterazioni a causa di fattori economici e di mercato, si associa un secondo rischio circa la stessa integrazione dei presupposti che fanno sorgere l’obbligo di rendere la prestazione. Quest’ultima può, infatti, essere subordinata al verificarsi di specifici eventi, come la morte o la malattia di uno degli stipulanti.
6.1. La polizza sulla vita
L’esempio più consueto di polizza assicurativa è l‘assicurazione sulla vita, disciplinata all’art. 1882 c.c.. Ivi è introdotta una figura contrattuale con cui l’assicuratore si obbliga a pagare un capitale o una rendita, al verificarsi di un evento attinente la vita umana.
Si qualifica, quindi, come un contratto a prestazioni corrispettive, ove queste si sostanziano nei premi assicurativi versati dall’assicurato, e dalla rendita resa dall’impresa assicurativa, al verificarsi della condizione. Il contratto di assicurazione si presente come a carattere consensuale, oneroso e ad esecuzione continuata.
Il carattere aleatorio si identifica nel c.d. rischio demografico, quale evento futuro ed incerto, come la morte o una malattia, di cui non si conosce il momento esatto della sua realizzazione. Tale rischio graverà sull’impresa, ove l’evento si realizzi in un arco di tempo piuttosto contenuto, dimodochè i premi assicurativi versati sono proporzionalmente di molto inferiori al capitale. Graverà, invece, sul contraente, se l’evento si realizza in un arco di tempo molto ampio; quindi, il bilanciamento tra premi e capitali può essere a suo sfavore.
I motivi del contratto possono essere i più disparati. Si può ricorrere alla polizza sia per assicurare ai propri familiari un capitale, in conseguenza dell’evento morte del contraente, oppure per garantirsi una rendita con finalità previdenziali, per l’età avanzata. Tuttavia il contratto assicurativo sicuramente può essere inteso come uno strumento ditutela del patrimonio personale. La polizza, come è evidente, consente di accantonare parte del patrimonio.
7. Patto di famiglia
Rientra sicuramente nel novero degli strumenti utili per poter tutelare il proprio patrimonio (e quello della famiglia) il cosiddetto Patto di famiglia. L’istituto in questione, introdotto nel nostro tessuto ordinamentale sulla scorta della normativa europea, è finalizzato a garantire una adeguata programmazione del passaggio generazionale aziendale. La sua disciplina è racchiusa negli art. 768 bis e seguenti c.c. ed è lo strumento mediante il quale il titolare di un’azienda trasferisce al figlio, o ai figli, nipoti, una parte della propria azienda, tramite quote, o l’intera organizzazione azienda. In estrema sintesi, tale strumento permette non solo di tutelare il patrimonio personale dell’imprenditore ma anche quello aziendale, il quale viene sottratto, nei limiti e nelle forme stabilite dalla legge, dalle pretese creditorie relative all’imprenditore cedente.
Da un punto di vista tecnico giuridico, il patto di famiglia permette all’imprenditore, nel pieno rispetto della normativa in materia di successioni e di impresa familiare, di trasferire la propria azienda o le proprie partecipazioni sociali ad uno o più discendenti. Lo scopo della normativa è quello di agevolare il passaggio generazionale dell’azienda ed evitare che, una volta uscito di scena l’imprenditore, possa venir meno anche l’azienda con conseguenti disagi sia per il mercato che per tutti coloro che hanno rapporti con l’azienda stessa (si pensi ad esempio ai lavoratori, fornitori etc).
Nonostante sia stato introdotto da anni nel nostro ordinamento giuridico, ancora oggi in dottrina è ampiamente discussa la sua natura giuridica. A prescindere dalla teoria sposata (le quali possono essere brevemente riassunte in: divisione, donazione modale, contratto con causa tipica previsto dal legislatore) si tratta pur sempre di una successione ereditaria anticipata, di conseguenza, è fondamentale che tutti gli aventi diritto, ovvero i figli ed il coniuge, siano presenti nel momento del passaggio dell’azienda tra l’imprenditore ed il beneficiario.
8. Holding di famiglia
Un’altra possibile soluzione per garantire una protezione al patrimonio proprio e di tutta la famiglia è quella di creare una vera e propria holding familiare. Una holding, in parole semplici, è una società che potremmo definire “principale” la quale controlla altre società ed è costituita dai componenti del medesimo nucleo familiare. Conseguentemente, il controllo dell’intera società viene affidata in mano ai soci fondatori, ovvero, alla famiglia stessa.
Tra i vari vantaggi che ruotano attorno a questa possibile soluzione è quello di limitare al minimo possibili conflitti tra i componenti della famiglia grazie alla gestione centrale della società. Più precisamente, i conflitti non si riflettono sul patrimonio complessivo della famiglia e della società, tenendo così fuori le diverse società del gruppo. In pratica la holding garantisce un coordinamento centrale di diverse società e può essere decisamente utile nel caso in cui si volesse proteggere il patrimonio di una singola società. I creditori, infatti, difficilmente possono attaccare la holding, tramite questo strumento è possibile anche garantire, ove si voglia, il passaggio generazionale e una centralizzazione di tutti i doveri di natura fiscale, con conseguente semplificazione e snellimento degli oneri che ruotano attorno alle società. Ma non finisce qui, nel caso in cui dovesse manifestarsi una crisi economica all’interno del gruppo, la holding può, sempre in modo “centralizzato”, aiutare le società e garantire così un supporto economico alle società che si trovano in difficoltà.
9. Società immobiliari
Un’altra tipologia di società che può tornare utile alle famiglie che possiedono un cospicuo patrimonio immobiliare potrebbe essere quella immobiliare. Più precisamente, si potrebbe costituire una società di capitale (come, ad esempio, una S.p.a, S.r.l. S.a.p.a) e conferire all’interno delle stesse il patrimonio immobiliare. In questo modo è possibile evitare che i creditori dei singoli membri della famiglia possano attaccare gli immobili. Ciò è possibile perché le società in questione possiedono non solo una soggettività giuridica (ovvero sono centri di imputazione di diritti e doveri giuridici) ma possiedono anche una autonomia patrimoniale perfetta. Ciò significa, in parole povere, che il patrimonio della società e i patrimoni dei singoli soci sono reciprocamente insensibili. I creditori della società non possono soddisfare le proprie pretese sui patrimoni dei soci (salvo alcune ipotesi espressamente previste dalla legge) e, viceversa, i creditori dei singoli soci non possono in alcun modo aggredire il patrimonio sociale.
Se lo scopo della società è solo quello di gestire gli immobili familiari è possibile optare per la costituzione di una S.r.l., società decisamente più semplice da creare rispetto ad una S.p.a e più semplice da gestire, anche da un punto di vista strettamente economico. Tuttavia, è bene precisare che, al fine di evitare di creare società cosiddette di “comodo” è necessario che la società costituita svolga pur sempre un’attività d’impresa, come ad esempio la gestione immobiliare (ad esempio dando in locazione gli immobili etc). Nel caso in cui non si voglia svolgere alcuna attività d’impresa, invece, si potrebbe optare per una comunione di beni, tuttavia, la comunione non è un soggetto di diritto e non offre tutti i vantaggi sopra richiamati.
10. Consulenza e assistenza legale per il tuo caso
Come avrai notato, la disciplina prevista per la tutela del patrimonio personale è decisamente complessa perché occorre valutare molti elementi e ponderare diverse opzioni per addivenire ad una scelta adeguata.
Proprio per questo motivo, al fine di Pianificare e Difendere al meglio il tuo Patrimonio, ti consiglio di completare il Modulo di contatto che trovi in questa pagina.
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