Usufrutto: come rivendicarlo

L’usufrutto è un diritto reale di godimento. Esso ti consente di godere di un bene che resta nella proprietà di altro soggetto. Questo è un diritto che, invero, ha una durata limitata nel tempo, proprio perché comporta la compressione del diritto di proprietà.

Il legislatore, a differenza di quanto ha fatto con il diritto d’uso, non ha però previsto appositamente come procedere a garantire la tutela dell’usufruttuario.

L’usufruttuario, in caso di ingerenza di terzi nel godimento del diritto, è tenuto a darne comunicazione al nudo proprietario. Egli potrà in tal modo agire al fine di conservare e tutelare l’esercizio del diritto. In questo caso agisce in nome proprio e non nell’interesse del nudo proprietario.

Inoltre, la Cassazione ha anche disposto che sono riconoscibili al titolare del diritto in esame anche la facoltà di ricorrere a tutte le azioni a tutela della proprietà e del possesso, quindi anche la principale azione che si garantisce al titolare del diritto di proprietà, ossia l’azione di rivendicazione.

Laddove fossi interessato ti invitiamo nella prosecuzione della lettura. Con il presente intendiamo descriverti brevemente gli strumenti che puoi adottare laddove tu sia un usufruttuario che sia stato leso nel proprio diritto da un terzo.

1. Cos’è l’usufrutto?

L’usufrutto è un diritto reale di godimento. Esso comporta la costituzione di un vincolo su un bene, che ha una durata specifica e che ha una destinazione economica. Dunque, il titolare del diritto di usufrutto acquista una serie di facoltà, mentre la nuda proprietà resta al proprietario ed identifica la condizione nella quale lo stesso si trova. Egli infatti conserva la titolarità formale, ma sostanzialmente i poteri e le facoltà di godimento sono attribuite all’usufruttuario. Infatti, l’usufruttuario ha anche un’autonoma legittimità all’esercizio dell’azione di risarcimento.

L’usufruttuario è tenuto ad una serie di oneri di gestione e controllo del bene. In particolare, egli è tenuto a conservare il bene con la diligenza del buon padre di famiglia.

Tale diritto reale di godimento si connota poi per la necessaria temporaneità, secondo quanto disposto dall’art. 979 c.c.. Infatti prevede la norma che la durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario. Nel caso in cui il beneficiario sia una persona giuridica, tale diritto non può eccedere i trent’anni. La ragione che è alla base di tale previsione è che il diritto in esame comporta una limitazione del diritto di proprietà, che l’ordinamento non ammette a tempo indeterminato, essendo un diritto assoluto e pieno. Si ricorda, in tal senso, che il diritto di proprietà ha riconoscimento costituzionale all’art 42 della Costituzione.

Ovviamente ciò comporta una limitazione delle facoltà che concernono il diritto reale. In particolare, esso non potrà essere trasmesso agli eredi, né possibile il legato di usufrutto successivo, che approfondiremo nei paragrafi successivi.

2. Oggetto dell’usufrutto

Passiamo ora ad esaminare quello che è il possibile oggetto dell’usufrutto. Tale diritto reale può avere ad oggetto sia beni mobili che immobili, crediti, titoli di credito, aziende, universalità di beni e anche beni immateriali. In genere, si afferma che possono essere oggetto di usufrutto beni che siano infungibili e inconsumabili, in modo tale da garantire la restituibilità del bene in questione.

L’art. 995 c.c. poi disciplina un caso particolare di usufrutto, ossia il quasi-usufrutto. In particolare la disposizione prevede la possibilità che l’usufrutto abbia ad oggetto cose consumabili, a differenza di quanto abbiamo appena affermato. In questa ipotesi i beni diventano di proprietà dell’usufruttuario stesso, allo scopo di consentire il godimento della res. Ovviamente la disciplina deve necessariamente divergere dall’usufrutto tradizionale.

Infatti, in questo caso non è possibile la restituzione del bene in natura, perché è consumabile. Il legislatore quindi ha previsto che l’usufruttuario sia tenuto al pagamento di una somma equivalente al valore dei beni oggetto di diritto. Laddove non proceda in tal senso, l’usufruttuario è tenuto alla restituzione di altrettanti beni della stessa specie. Inoltre, è necessario procedere al passaggio di proprietà del bene, non essendo sufficiente provvedere al passaggio del possesso dei beni.

Tale disciplina si differenzia tuttavia dall’ipotesi dell’usufrutto su cose deteriorabili, cioè quei beni che per subendo una diminuzione del valore economico sono utilizzabili più volte. In questo caso si applica l’art. 996 c.c., il quale prevede che l’usufruttuario, al termine previsto per il godimento del bene, è tenuto a restituire il bene in questione.

3. Usufrutto successivo

Con la nozione di usufrutto successivo si intende quell’istituto giuridico in forza del quale il diritto di usufrutto viene attribuito a più soggetti, con godimento del bene non congiunto ma successivo tra essi. In altri termini, si configura tale istituto laddove l’usufrutto sia riservato a più soggetti uno dopo l’altro, con passaggio del diritto al momento della morte del titolare antecedente.

Le norme che si occupano di usufrutto successivo, ponendo un divieto sono due:

  • la prima all’art. 698 c.c. in materia successoria sancisce che “la disposizione con la quale è lasciato a più persone successivamente l’usufrutto, una rendita o un’annualità, ha valore soltanto a favore di quelli che alla morte del testatore si trovano primi chiamati a goderne“;
  • la seconda all’art. 796 c.c., compresa all’interno della disciplina del contratto di donazione, dispone che “è permesso al donante di riservare l’usufrutto dei beni donati a proprio vantaggio e dopo di lui a vantaggio di un’altra persona o anche di più persona, ma non successivamente“.

L’art. 796 c.c. potrebbe apparire un’eccezione al divieto di usufrutto successivo. Tuttavia, come si può notare in entrambe le norme si evince che è considerato lecito e ammissibile il diritto di usufrutto in favore di una e una sola persona successiva al proprietario del bene.

Rispettivamente, in sede di redazione del testamento, si potrà legare tale diritto a un solo soggetto, non potendosi ai sensi dell’art. 698 c.c. attribuire validità al passaggio dell’usufrutto a un ulteriore e successivo beneficiario al momento della morte del primo. Parimenti, in sede di donazione, il proprietario del bene, che trasferisca la nuda proprietà riservandosi l’usufrutto, potrà prevedere che, alla sua morte, tale diritto nasca direttamente in capo a un altro soggetto, ma non a più d’uno successivamente tra loro.

4. Rivendica dell’usufrutto

A differenza di quanto accade per il diritto di proprietà, il legislatore non si è occupato di definire quali sono gli strumenti che possono esser adottati al fine di ottenere la rivendicazione del diritto di usufrutto, laddove il titolare ne sia stato privato.
Proprio per tale ragione è intervenuta la giurisprudenza.

Quest’ultima è giunta quindi ad affermare che l’usufruttuario, in caso di ingerenza di terzi nel godimento del diritto, è tenuto a darne comunicazione al nudo proprietario. Egli potrà in tal modo agire al fine di conservare e tutelare l’esercizio del diritto. Tuttavia, ciò non esclude la possibilità di agire da solo per la tutela del suo diritto. In questo caso agisce in nome proprio e non nell’interesse del nudo proprietario.

Dunque, come evidenziato dall’interprete, l’usufruttuario può agire giudizialmente contro coloro che effettuano ingerenze nel godimento del diritto. L’usufruttuario però potrà agire tramite rivendica, oltre alle altre azioni possessorie e petitorie volte a conservare il possesso o a recuperarlo.

Quindi, la giurisprudenza, come già in precedenza aveva fatto con il titolare del diritto d’uso, ha la facoltà di agire giudizialmente contro il terzo che ha turbato il diritto di usufrutto. Ciò comporta la legittimità sia per azioni possessorie che per le petitorie, volte alla tutela dell’uso e del diritto di godimento della res.

Per quanto riguarda la partecipazione del nudo proprietario al procedimento, si ritiene che non sussiste litisconsorzio necessario tra questo successo e l’usufruttuario. Tale norma trova applicazione solo ove si tratti di tutelare delle servitù, sia attive che passive, costituite su iniziativa dell’usufruttuario. In tal modo si evita che si formino dei giudicati aventi efficacia temporanea.

La disciplina che abbiamo ora esposto trova applicazione anche in materia di diritto d’uso, anche perché è espressamente effettuato un rinvio all’art. 1026 c.c.. La norma quindi trova applicazione sia in materia di usufrutto che di diritto d’uso (Cass., civ. sez. II, del 31 marzo 2016, n. 6293).

5. Azione di rivendicazione

L’azione di rivendicazione è la principale azione petitoria posta a tutela del diritto di proprietà. Essa è diretta a far conseguire la restituzione della cosa la proprietario non possessore, in base al riconoscimento del suo diritto di proprietà.

La principale azione espressione della tutela restitutoria è l’azione di rivendicazione di cui all’art. 948 c.c.. Essa si distingue da altre tipologie di azioni che hanno principale funzione di accertamento, in quanto volta, non solo ad affermare il diritto, ma anche a ripristinare il possesso del proprietario.

L’azione di accertamento, benché non espressamente contemplata dal codice, è ritenuta ammissibile, come evidenzia la normativa sulla trascrizione della domanda giudiziale, di cui all’art. 2653 c.c.. 

A tale categoria, d’altra parte, è astrattamente riconducibile l’azione negatoria, ex art. 949 c.c., la quale ha la funzione di accertare negativamente diritti reali minori vantati da colui che turba, senza spossessare, il godimento dell’altrui diritto di proprietà.

L’azione vede come parti del conflitto il proprietario, ossia il titolare del diritto reale pieno, e il possessore, quale soggetto che esercita un potere di fatto, tutelato dall’ordinamento. In questo caso, tuttavia, l’azione avrà principalmente come attore l’usufruttuario stesso.

Invero, l’art. 948 c.c. richiama tra i legittimati passivi dell’azione anche il detentore. Quest’ultimo è colui che ha la materiale disponibilità della res, esercitando un diritto personale, riconosciutogli tramite titolo, in genere un contratto, come nel caso della locazione o deposito.

5.1. Detentore come legittimato passivo

Il proprietario o l’usufruttuario potrebbe non trarre utilità dall’eventuale azione nei confronti del detentore, non essendo posto al riparo da eventuali pregiudizi. Infatti, il giudizio nei confronto di tale soggetto non comporta l’interruzione del possesso valido ai fini dell’usucapione del possessore.

Anche il detentore, d’altro canto, potrebbe essere ingiustamente pregiudicato a causa di una doppia soccombenza. 

Da un lato nel giudizio petitorio, è, infatti, chiamato alla restituzione della res al proprietario, mentre nel giudizio risarcitorio, provvederà a riparare il danno  nei confronti del possessore, per inadempimento all’obbligo di restituzione, sorto in base al titolo. 

Per tale ragione, il legislatore, con riferimento alla detenzione e alla locazione, ha introdotto, in due norme, il rimedio della laudatio actoris.

All’art. 1777 c.c. prevede che il depositario può esser estromesso ove provveda a denunciare al possessore il giudizio. Similmente prevede l’art. 1586 c.c. in materia di locazione prevede tale diritto ad esser estromesso del conduttore.

Tale istituto, nell’interpretazione corrente della giurisprudenza, integra la previsione dell’art. 948 c.c., garantendo, anche al di là delle ipotesi legislativamente previste, il diritto del detentore all’estromissione mediante denuncia.

5.2. Onere della prova

Sia il proprietario che l’usufruttuario sono poi tenuti a offrire la prova della proprietà. Esso è un onere particolarmente gravoso, in quanto è richiesta la prova assoluta del diritto di proprietà. Ciò implica, il gravoso onere di provare non solo la validità del proprio titolo, ma di ogni proprio dante causa, quindi di ogni precedente proprietario.

La ratio di tale previsione è quella di garantire la tutela del possessore,il quale esercitando un potere di fatto, in assenza di titolo, risulterebbe necessariamente soccombente ove si procedesse ad un confronto tra titoli.

Tuttavia, l’onere della prova, così delineato, comporta una considerevole aggravio della posizione attorea. In conseguenza di ciò, la giurisprudenza ha individuato due correttivi.

In primo luogo, può trovare applicazione l’istituto della accessione, o successione, nel possesso, in virtù del quale il possesso del proprietario è unito al possesso dei precedenti danti causa, fino a raggiungere il tempo necessario per l’usucapione. Trattandosi del diritto di proprietà quale diritto autodeterminato, rispetto ai quali non rileva il fatto costitutivo, egli fornisce la prova dell’acquisto a titolo originario della proprietà.

Inoltre, si ritiene che ove lo stesso convenuto resista in giudizio sostenendo la propria qualità di proprietario, l’onere della prova muta. In tal caso, si applica il criterio del titolo migliore, ossia si provvede al confronto tra i titoli vantati da attore e convenuto.

Tale secondo correttivo, invero, è stato oggetto di obiezioni in dottrina, ove si è evidenziata l’irragionevolezza del far dipendere la disciplina dell’onere della prova dalla difesa del convenuto. 

Il delineato regime dell’onere della prova, come sostenuto in dottrina, è finalizzato a garantire la tutela del possesso, quale situazione di fatto, non titolata. Le ragioni per le quali l’ordinamento prevede tale disciplina sono principalmente due.

6. La giurisprudenza rilevante in materia di usufrutto

Cass. civ. Sez. V, 05/07/2022, n. 21311.

In tema di imposte sui redditi, l’operazione di stock lendinq, ossia di prestito di azioni, che preveda, a favore del mutuatario, il diritto all’incasso dei dividendi dietro versamento al mutuante di una commissione (corrispondente, o meno, all’ammontare dei dividendi riscossi) realizza il medesimo fenomeno economico dell’usufrutto di azioni, senza che rilevi, ai fini tributari, che in un caso si verta su un diritto reale e, nell’altro, su un diritto di credito, sicché è soggetta ai limiti previsti dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 8, restando il versamento della commissione costo indeducibile.

Cass. civ. Sez. VI – 2 Ord., 27/08/2020, n. 17861.

In tema di legato in sostituzione di legittima, ove questo abbia ad oggetto il diritto di usufrutto ed il beneficiario muoia prima di averlo accettato, la facoltà di rinunziarvi, quale potere inerente al rapporto successorio in atto, non esauritosi con il definitivo conseguimento del legato, si trasmette all’erede del legatario, divenuto titolare “iure hereditatis” dell’azione di riduzione; né rileva, in senso contrario, che l’erede medesimo non possa subentrare nel diritto già acquistato dal proprio dante causa, potendo egli comunque scegliere se renderlo definitivo, assumendo su di sé obblighi ed eventuali diritti nascenti dall’estinzione dell’usufrutto ovvero rinunciarvi, in tal modo assolvendo all’onere cui è subordinata l’azione di riduzione.

Cass. civ. Sez. II Sent., 24/07/2019, n. 20040.

Nell’ipotesi di comunione impropria sul fondo interessato, caratterizzata dalla coesistenza di diritti non omogenei, nuda proprietà e usufrutto, allorquando l’azione confessoria o negatoria a tutela del fondo gravato dall’usufrutto sia promossa dal (o contro il) nudo proprietario, non è necessaria la partecipazione al giudizio dell’usufruttuario del fondo passivamente o attivamente gravato dalla servitù, non sussistendo i presupposti per l’applicazione analogica dell’art. 1012, comma 2, c.c. L’onere di chiamare in giudizio il nudo proprietario, posto dall’art 1012 c.c. a carico dell’usufruttuario che intenda esercitare l’azione confessoria o negatoria a tutela del fondo gravato dall’usufrutto, trae la sua giustificazione dal particolare contenuto, assai ristretto nel tempo e nelle facoltà, che caratterizza l’estensione di tale diritto nei confronti della proprietà e dalla correlativa esigenza di evitare la formazione di giudicati la cui inopponibilità al nudo proprietario, derivante dalla sua mancata partecipazione al giudizio, contrasterebbe con la finalità di accertare una “conditio” o “qualitas fundi” cui i giudicati stessi sono preordinati, esigenza che non ricorre, invece, nella diversa ipotesi in cui le suddette azioni siano promosse dal (o contro il) nudo proprietario.

Cass. civ. Sez. II Sent., 22/02/2019, n. 5336.

Nel caso di contratto preliminare di vendita di bene gravato da usufrutto, qualora nel termine pattuito il promittente venditore non sia stato in grado di procurare l’acquisto della piena proprietà del detto bene, il promittente compratore, che non abbia avuto conoscenza, al momento della conclusione del contratto, che la cosa era gravata di uno “ius in re”, può ex art. 1489 c.c. domandare, oltre alla riduzione del prezzo, la risoluzione del contratto, la quale può essere pronunciata, anche se il titolare del diritto di godimento o il beneficiario dell’onere o della limitazione non abbiano ancora fatto valere alcuna pretesa sulla “res”, ove si accerti, ai sensi dell’art. 1480 c.c., che il compratore non avrebbe acquistato la cosa gravata dall’onere. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che aveva accordato al promissario acquirente la risoluzione del contratto preliminare di vendita quale conseguenza automatica del mancato consenso dell’usufruttuario, senza verificare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 1489 c.c.).

Cass. civ. Sez. II Ord., 21/02/2019, n. 5147.

In tema di riduzione in pristino di opere illegittime per violazione delle distanze legali, la domanda di arretramento della costruzione realizzata dall’usufruttuario dell’immobile deve essere proposta nei soli confronti del nudo proprietario, potendo il titolare del diritto reale di godimento, al più, intervenire in giudizio, in via adesiva, ai sensi dell’art. 105, comma 2, c.p.c. Pertanto, l’attore, rimasto soccombente per avere agito contro l’usufruttuario, non può dolersi della mancata chiamata in causa del nudo proprietario da parte del giudice, poiché, da un lato, non sussiste litisconsorzio necessario tra l’usufruttuario e il nudo proprietario e, dall’altro, l’ordine di intervento ex art. 107 c.p.c. è espressione di un potere discrezionale, incensurabile sia in appello sia in sede di legittimità.

Cass. civ. Sez. I Ord., 19/02/2018, n. 3951.

In tema di cessione della nuda proprietà delle azioni della S.p.A. il diritto di voto nell’assemblea della società, per le quote che sono state date in usufrutto, compete unicamente all’usufruttuario, il quale esercita al riguardo un diritto suo proprio e perciò non è obbligato ad attenersi alle eventuali istruzioni di voto che gli abbia impartito il nudo proprietario.

Cass. civ. Sez. II Sent., 05/02/2018, n. 2754.

La sentenza che accoglie l’azione di annullamento di un contratto di vendita della nuda proprietà di una quota di un bene immobile fa venir meno l’estinzione dell’usufrutto su di essa gravante a seguito di riunione, verificatasi in epoca successiva al negozio annullato, dell’usufrutto medesimo e della proprietà in capo alla medesima persona, non quale effetto dell’estensione dell’efficacia della pronuncia di annullamento al successivo contratto traslativo del diritto di usufrutto, né della reviviscenza del diritto di usufrutto, bensì quale conseguenza, discendente dalla natura costitutiva e dal valore retroattivo della sentenza di annullamento, della negazione dell’effetto della consolidazione ex art. 1014, n. 2, c.c.

Cass. civ. Sez. VI – 3 Ord., 10/11/2017, n. 26670.

L’erede non convivente del conduttore di immobile adibito ad abitazione non gli succede nella detenzione qualificata e, poiché il titolo si estingue con la morte del titolare del rapporto (analogamente al caso di morte del titolare dei diritti di usufrutto, uso o abitazione), quegli è un detentore precario della “res locata” al “de cuius”, sì che nei suoi confronti sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo e di responsabilità extracontrattuale.

Cass. civ. Sez. II Sent., 31/03/2016, n. 6293.

L’usufruttuario, così come l’usuario, è legittimato, in forza del rinvio ex art. 1026 c.c., all’esercizio in nome proprio delle azioni petitorie e possessorie volte a difendere ed a realizzare il proprio uso e godimento della cosa rispetto alle ingerenze di terzi, sicché in tal caso non sussiste litisconsorzio necessario con il nudo proprietario.

Cass. civ. Sez. II Sent., 06/11/2015, n. 22703.

L’art. 1006 c.c., stabilendo che l’usufruttuario può ripetere solo alla fine dell’usufrutto le spese fatte in luogo del nudo proprietario, implica che, prima di tale momento, l’usufruttuario è carente di azione; quale mancanza di una condizione dell’azione, l’improponibilità della domanda di rimborso in pendenza dell’usufrutto può essere rilevata d’ufficio dal giudice.

Cass. civ. Sez. II, 23/06/2015, n. 12948.

Nel caso di azione negatoria, la sentenza d’accoglimento della domanda proposta contro il solo nudo proprietario e di condanna di quest’ultimo alla rimozione delle opere illegittimamente realizzate, non è, ove resa contro il solo nudo proprietario e non anche contro l’usufruttuario, inutiliter data. Essa è eseguibile nei confronti del primo (o dei suoi eredi o aventi causa: art. 2909 c.c.) una volta che, estintosi l’usufrutto, la nuda proprietà si consolidi divenendo piena.

Cass. civ. Sez. II Sent., 17/05/2010, n. 12045.

In tema di azione revocatoria ordinaria, una volta che in sede di separazione personale sia stato attribuito ad uno dei coniugi, tenendo conto dell’interesse dei figli, il diritto personale di godimento sulla casa familiare, la successiva costituzione per donazione, in favore dello stesso coniuge affidatario, del diritto di usufrutto vita natural durante sul medesimo immobile, compiuta dall’altro coniuge, costituisce atto avente funzione dispositiva e contenuto patrimoniale, soggetto ad azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 cod. civ.

Cass. civ. Sez. II, 11/03/2010, n. 5900.

La legittimazione passiva in ordine all’azione di riduzione in pristino conseguente all’esecuzione, su immobile concesso in usufrutto, di opere edilizie illegittime, perché realizzate in violazione delle distante legali, spetta al nudo proprietario, potendosi riconoscere all’usufruttuario il solo interesse a spiegare nel giudizio intervento volontario “ad adiuvandum”, ai sensi dell’art. 105, secondo comma, cod. proc. civ., volto a sostenere le ragioni del nudo proprietario alla conservazione del suo immobile, anche quando le opere realizzate a distanza illegittima abbiano riguardato sopravvenute accessioni sulle quali si sia esteso il godimento spettante all’usufruttuario in conformità dell’art. 983 cod. civ.

Cass. civ. Sez. II Sent., 21/10/2009, n. 22348.

In tema di limitazioni legali della proprietà, l’azione per denunciare la violazione da parte del vicino delle distanze nelle costruzioni ha natura di “negatoria servitutis”, essendo diretta a far valere l’inesistenza di “iura in re” a carico della proprietà suscettibili di dar luogo ad una servitù, e pertanto al suo esercizio è legittimato, a norma dell’art. 1012, secondo comma, cod. civ., anche il titolare del diritto di usufrutto sul fondo.

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