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L’art. 2740 c.c. dispone che il debitore risponde delle obbligazioni contratte con tutti i suoi beni, presenti e futuri. Si tratta di uno dei principi cardini su cui si fonda il diritto che regolamenta i rapporti intersoggettivi tra privati, ovvero, il diritto privato.
Se il contenuto dell’art. sopra richiamato può apparire chiaro e semplice, è bene sapere che in realtà importa degli effetti importanti nel sistema giuridico. Infatti, il debitore, in ossequio all’art. 2740 c.c. è tenuto, a prescindere dalla sua volontà, ad adempiere le obbligazioni contratte e se non dovesse farlo il creditore ha a disposizione una serie di strumenti che possiamo definire coattivi.
Rientra nel novero degli strumenti di esecuzione coattiva degli obblighi assunti la cosiddetta vendita forzata di un bene oggetto di garanzia reale, finalizzata a soddisfare i creditori. E’ molto frequente, infatti, che si ricorra ad aste giudiziarie o ad altre pratiche similari, per consentire la liquidazione di beni.
Ti sarà probabilmente capitato di essere o la parte pregiudicata dalla vendita, cioè il debitore che si vede privato del proprio bene, o anche di assumere la veste dell’acquirente.
Ma queste vendite e, quindi, i relativi acquisti? Quando sono stabili?
In qualità di debitore, potresti essere interessato a sapere come ostacolare questa procedura. Tuttavia, ogni eventuale azione conduce ad un relativo e conseguente pregiudizio anche per l’acquirente.
Cosa accade allora in questi casi?
Ove fossi interessato all’argomento, ti invitiamo nella prosecuzione della lettura. Con il presente articolo, intendiamo offrirti una breve descrizione della disciplina della vendita forzata, ed in particolare degli strumenti di difesa da eventuali possibili pregiudizi patiti.
1. Cos’è il processo di esecuzione
Prima di analizzare le caratteristiche e le peculiarità della vendita forzata, è bene conoscere le caratteristiche del processo esecutivo. In estrema sintesi, diversamente da ciò che accade nel processo di cognizione, dove il giudice è chiamato ad accertare la titolarità di un diritto, nel processo di esecuzione, invece, si ha certezza sui diritti e sugli obblighi delle parti in causa, tuttavia, l’obbligo non è stato adempiuto in modo spontaneo.
In estrema sintesi: lo scopo del processo di esecuzione non è quello di accertare una situazione giuridica soggettiva, ma di attuarla concretamente.
Senza anticipare ciò che verrà trattato più ampiamente in prosieguo, è possibile già da ora affermare che la forma più importante di processo esecutivo è quella avente per oggetto l’espropriazione forzata dei beni del debitore. Grazie a questa procedura è possibile vendere all’asta i beni del debitore inadempiente e soddisfare il proprio credito sul ricavato della vendita.
I creditori, infatti, non potrebbero acquistare direttamente la proprietà dei beni espropriati poiché esiste una norma, ovvero l’art. 2744 c.c. che impone il c.d. divieto del patto commissorio. In estrema sintesi, la norma citata prevede la nullità del patto con il quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito, la proprietà del bene ipotecato o dato in pegno passi al soggetto creditore.
Il presupposto fondamentale dell’esecuzione è un valido titolo esecutivo. Senza questo, infatti, non è possibile nemmeno avviare il procedimento in questione. Il titolo esecutivo è essenzialmente un documento (si pensi ad esempio ad una sentenza ormai divenuta irrevocabile o l’atto pubblico redatto da Pubblico Ufficiale) dal quale risulti il diritto dell’attore.
1.1. Quanti tipi di esecuzione forzata esistono?
Come anticipato, l’esecuzione forzata è il procedimento giurisdizionale che ha come fine quello di realizzare il diritto di un soggetto. Il processo di esecuzione può imporre:
- l’esecuzione per espropriazione (ovvero l’esecuzione in forma generica di un diritto) e si ha quando il procedimento esecutivo è volto a sottrarre coattivamente al debitore determinati beni facenti parte del proprio patrimonio e a venderli in modo da ricavarne quanto necessario per soddisfare la pretesa creditoria.
Si tratta, in poche parole, della vendita forzata di un bene immobile ovvero dell’assegnazione coattiva del bene al creditore stesso al fine di soddisfare le sue pretese.
- esecuzione forzata in forma specifica: la quale consente il soddisfacimento del diritto in modo esatto. L’esecuzione forzata in forma specifica a sua volta si suddivide in esecuzione forzata per consegna di cose mobili o per il rilascio di beni immobili. In questo modo il soggetto creditore mira al conseguimento della disponibilità materiale di quel determinato bene, mobile o immobile, oggetto del diritto mediante la consegna o il rilascio del bene da parte del debitore. Si pensi, ad esempio, al rilascio di un bene immobile che è stato occupato in modo abusivo da un soggetto che non ha alcun titolo.
- esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare: il creditore di una prestazione di non fare o di fare intende ottenere la medesima prestazione di fare o l’eliminazione di quanto fatto in violazione dell’obbligo di non fare, il tutto a spese del soggetto inadempiente.
1.2. Che cos’è la vendita forzata?
Preliminarmente, ci sembra opportuno offrirti alcune nozioni introduttive sulla vendita forzata, per poi passare ad individuare quelle che sono le modalità di difesa, avverso ad essa.
Ai sensi dell’art. 2920 c.c.:” se oggetto della vendita è una cosa mobile, coloro che avevano la proprietà o altri diritti reali su di essa, ma non hanno fatto valere le loro ragioni sulla somma ricavata dall’esecuzione, non possono farle valere nei confronti dell’acquirente di buona fede, né possono ripetere dai creditori la somma distribuita; resta ferma la responsabilità del creditore procedente di malafede per i danni e le spese subite”.
La vendita forzata è, quindi, una modalità tramite la quale si pone in essere il processo di esecuzione forzata o espropriazione forzata attraverso il quale si liquida un determinato bene materiale, al fine di consentire il soddisfacimento dei creditori.
La procedura è avviata su istanza del creditore procedente, purché munito di titolo. La domanda per la vendita deve essere presentata presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione, dopo che siano decorsi almeno dieci giorni dalla notifica del pignoramento, ma non oltre novanta, ad eccezione che per i beni deteriorabili.
Il giudice seguirà, poi, a fissare un’udienza, durante la quale le parti potranno fare osservazioni sulle modalità di vendita, ed eventualmente presentare opposizione.
1.3. Le tipologie di vendita forzata
Il nostro ordinamento, invero, prevede specifiche modalità di vendita forzata, differenti a seconda del bene che ne costituisce effetto. Con ciò facciamo riferimento alla disciplina prevista per i beni:
- mobili, in questo caso la vendita può esser posta in essere con pubblico incanto, ossia l’asta, o senza. Si ricorre alla prima delle due ipotesi quando il giudice ritiene che possa, in tal modo, conseguire un prezzo superiore alla metà del valore determinato, ai sensi dell’art. 568 c.c.;
- mobili registrati, in questa ipotesi è possibile delegare le operazioni di vendita all’istituto vendite giudiziarie o a un professionista, purché iscritto ad apposito elenco presso il tribunale;
- immobili registrati, ivi si procederà prima alla vendita senza incanto, ove non dia esito positivo, si procederà all’asta, secondo quanto disposto dall’art. 567 c.c.
1.4. I titoli esecutivi per la vendita forzata
Come sopra anticipato, uno dei presupposti cardini per poter incardinare l’esecuzione forzata (ovviamente lo stesso vale anche per la vendita coattiva dei beni) è essere in possesso di un valido titolo esecutivo. Sul tema, infatti, esiste un brocardo latino il quale riassume l’essenzialità del titolo esecutivo in nulla executio sine titulo (ovvero non ci può essere esecuzione senza titolo esecutivo).
In estrema sintesi, i titoli esecutivi sono le sentenze, ovvero i provvedimenti e gli altri atti che a cui la legge riconosce espressamente efficacia esecutiva (si pensi ad esempio al decreto ingiuntivo non opposto). Rientrano nel novero dei titoli esecutivi le scritture private autenticate dal Notaio, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali e gli altri titoli di credito cui la legge attribuisce la medesima efficacia.
Infine, sono titoli esecutivi gli atti ricevuti dal Notaio o da altro Pubblico Ufficiale autorizzato a riceverli.
1.5. Effetti della vendita
La disciplina in tema di effetti della vendita forzata è prevista all’art. 2919 c.c. :”La vendita forzata trasferisce all’acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subìto l’espropriazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede. Non sono però opponibili all’acquirente i diritti acquistati da terzi sulla cosa, se i diritti stessi non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell’esecuzione”.
Secondo quanto disposto, allora, dalla predetta norma, la vendita forzata determina a favore del terzo acquirente, un acquisto a titolo derivativo. Benché connotato dall’assenza dell’elemento della volontarietà, dell’accordo quale composizione degli interessi delle parti, questo atto comunque non si causa un acquisto a titolo originario.
L’aggiudicatario, allora, sarà titolare del diritto reale solo ove anche il debitore fosse proprietario del bene oggetto di pignoramento. Come suddetto, tuttavia tale aggiudicazione si connota per alcune rilevanti peculiarità.
All’aggiudicatario, infatti, non sono opponibili i diritti acquistati da terzi sul bene. L’inopponibilità non si produce laddove i diritti stessi producano un effetto pregiudizievole in danno del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell’esecuzione.
Inoltre, la vendita forzata determina l’estinzione dei diritti di prelazione, come disposto dall’art. 586 c.c., nonché del diritto di seguito, che gravavano sul bene pignorato. A tal proposito si è soliti parlare di effetto purgativo della vendita forzata.
Quest’ultimo risponde ad una duplice esigenza. Da un lato, consente di ricavare un prezzo più alto dall’alienazione coattiva, poiché il bene sarà alienato privo di vincoli. Dall’altro, permette di immettere nella circolazione diritti, che siano sottratti ad eventuale garanzia, quindi esposti a procedure esecutive.
Questa disciplina pone, come potrebbe esser evidente, problemi di tutela del terzo, sia esso aggiudicatario, sia un suo avente causa. Tuttavia, prima di analizzare i mezzi di tutela predisposti in favore del debitore e dei terzi che potrebbero essere lesi dalla vendita coattiva, è bene analizzare l’iter dell’intera procedura.
1.6. La procedura della vendita forzata
Dopo aver effettuato il pignoramento del bene, il soggetto creditore può presentare al giudice dell’esecuzione o l’istanza di vendita forzata dei beni pignorati, al fine di ottenere la loro trasformazione in denaro (liquidazione) o l’istanza di assegnazione dei beni pignorati.
L’istanza attraverso la quale la parte chiede la vendita o l’assegnazione del bene ipotecato, può essere depositata presso la cancelleria del tribunale solo dopo che siano trascorsi 10 giorni dalla notifica del pignoramento al debitore ed entro 45 giorni (termine perentorio).
A tutto ciò fa eccezione il caso in cui i beni pignorati siano deteriorabili. In tal caso, infatti, è possibile chiedere la vendita o l’assegnazione immediata dei beni.
Dopo l’istanza di vendita dei beni pignorati, il giudice è tenuto a fissare una ulteriore udienza per l’autorizzazione della vendita (salvo il caso di espropriazione presso terzi nella quale l’udienza è indicata nell’atto di citazione notificato al terzo debitore).
Alla suddetta udienza il giudice dispone mediante ordinanza la vendita che può essere eseguita ai pubblici incanti (ovvero con offerte successive in aumento) o senza incanto.
Ad essere precisi, il giudice prevede la vendita all’asta dei beni solo ove ritenga che, in questo modo, la vendita possa avvenire ad un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene stesso.
In ogni caso, ove la vendita del bene sia effettuata in più volte o in più lotti, allora deve cessare allorquando viene incassata una cifra pari all’importo dovuto al creditore pignorante ed ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese generali di esecuzione.
A seguito della vendita, il bene pignorato viene trasferito in modo definitivo all’aggiudicatario e, in conseguenza di ciò, il giudice ordina la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle formalità pregiudizievoli.
1.7. Come avviene la distribuzione del ricavato della vendita
Il processo di esecuzione, come più volte precisato, ha come scopo quello di garantire il soddisfacimento dei creditori, pertanto, si conclude con la distribuzione della somma ricavata dalla vendita dei beni pignorati. Nel caso in cui sia solo uno il creditore pignorante, la somma ricavata gli viene attribuita fino al pieno soddisfacimento della sua pretesa creditoria, degli interessi e delle spese, con restituzione dell’eventuale eccedenza.
Nel caso in cui dovessero esserci più creditori, il giudice dell’esecuzione effettua una sorta di riparto proporzionale secondo modalità proprie di ciascun tipo di espropriazione, tenendo conto ovviamente delle cause legittime di prelazione e previo accantonamento delle somme che spetterebbero ai creditori sequestratari, ipotecari o pignoratizi, privi di tioli esecutivo.
1.8. Le novità introdotte dalla riforma “Cartabia”: l’arrivo della vendita diretta dei beni
Con la Legge n. 206/2021 è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico un interessante istituto processuale completamente nuovo. Si tratta, in estrema sintesi, dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione al debitore esecutato di procedere direttamente alla vendita del bene pignorato.
Si tratta in poche parole di una vendita diretta del bene esecutato, la quale però deve essere effettuata ad un prezzo non inferiore del prezzo base indicato nella relazione di stima.
Il legislatore italiano, dunque, si è ispirato alla vente privée francese e ha colto l’occasione per disciplinare una prassi piuttosto diffusa. La vendita in questione si pone come un modello di vendita alternativo rispetto a quelli già presenti nel nostro ordinamento, come esito dell’udienza di cui all’art. 569 c.p.c.
In estrema sintesi, i vantaggi che ruotano attorno alla vendita diretta dei beni pignorati è la possibilità, per il soggetto debitore, di trovare lui stesso un possibile acquirente del bene (il quale potrebbe essere lo stesso creditore procedente) al fine di concludere nel minor tempo possibile l’iter esecutivo.
Ciò perché, si badi bene, con il passare degli anni i beni pignorati potrebbero perdere il loro valore, di conseguenza, il debitore potrebbe correre il rischio di non riuscire a soddisfare la pretesa del creditore nemmeno dopo aver venduto il bene ai pubblici incanti. Al fine di evitare ciò, il legislatore ha dato la possibilità al debitore di trovare lui stesso, nei limiti e nei modi previsti dalla legge, un possibile acquirente, al fine di soddisfare il creditore nel minor tempo possibile.
2. Rimedi del debitore contro la vendita forzata
Premessi questi cenni sulla vendita forzata, sembra ora opportuno individuare i rimedi posti a tutela del debitore, avverso alla eventuale vendita forzata.
A tal proposito, invero, egli potrà esperire due tipologie di azioni, volte ad ostacolare la procedura esecutiva. Queste sono le seguenti forme di opposizione:
- opposizione all’esecuzione, ai sensi degli artt. 615 e 616 c.p.c.;
- opposizione agli atti esecutivi ai sensi degli artt. 617 e 618 c.p.c..
2.1. Opposizione all’esecuzione
Con opposizione all’esecuzione, disciplinata agli artt. 615 e 616 c.p.c., si intende l’atto con il quale il debitore contesta l’esistenza del diritto del creditore a procedere all’esecuzione, l’inesistenza o la modificazione del diritto attribuito dal titolo esecutivo, oppure ancora l’ammissibilità della pretesa coattiva.
I soggetti legittimati a proporre opposizione all’esecuzione sono coloro che hanno interesse a contestare il diritto del creditore, al fine di prevenire la procedura di esecuzione forzata mediante vendita forzata.
Quindi sono legittimati sia il debitore esecutato, prima che abbia proceduto all’alienazione, poiché in tal caso avrebbe perso l’interesse all’azione, e il terzo possessore o detentore del bene, oggetto della procedura.
L’opposizione può essere promossa, ove si concretizzino determinate ipotesi:
- inesistenza del titolo esecutivo: ciò accade ad esempio se la sentenza è stata soggetta a revoca della provvisoria esecutività, a seguito di modifiche, e in tal caso non è più titolo esecutivo. Ciò accade anche se la stessa non è ancora passata in giudicato. Situazione similare si realizza ove il decreto ingiuntivo non sia munito di formula esecutiva o non è provvisoriamente esecutivo;
- l’azione esecutiva è stata promossa da soggetto diverso da colui a favore del quale era stato emesso il titolo, oppure contro un soggetto sbagliato;
- l’azione esecutiva è stata esercitata per un diritto diverso da quello richiamato dal titolo esecutivo.
L’opposizione si distingue tra preventiva e successiva. La prima può essere proposta dalla data di esecuzione del precetto fino al primo atto di esecuzione.
Mentre la successiva è proposta, tramite ricorso, dopo l’inizio dell’esecuzione. Non solo serve a contestare il diritto di credito, ma anche la pignorabilità del bene stesso. Tuttavia, tale strumento si potrà adottare ove già attuata la vendita forzata solo ove ricorrano le seguenti due circostanze:
- l’opposizione sia fondata su fatti sopravvenuti;
- impossibilità di proposizione tempestiva, per cause non imputabili all’opponente.
2.2. Opposizione agli atti esecutivi
Tramite l‘opposizione agli atti esecutivi, il debitore o il terzo proprietario o il destinatario di un atto dell’esecuzione, può far valere i vizi relativi alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto. Con esso, inoltre, vengono fatti valere anche i vizi degli atti del processo esecutivo. Tuttavia, questo è preventivo alla vendita stessa, cioè esso ha la funzione di prevenirla, se sussistono irregolarità.
La disciplina dell’opposizione agli atti esecutivi è contenuta agli artt. 617 e 618 c.c.. Possono proporre l’azione tutti coloro che siano eventualmente danneggiati dall’atto esecutivo, quindi:
- debitore;
- proprietario del bene;
- perfino dal creditore.
Quindi, l’opposizione agli atti esecutivi può essere proposta quando lo stesso può arrecare un danno, in quanto affetto da irregolarità. Sono considerati atti esecutivi tutti quelli prodotti su impulso di parte e del giudice, non solo quindi titolo e precetto.
Gli atti esecutivi possono essere oggetto di opposizione ai sensi art. 617 c.p.c. anche nei casi di inopportunità dell’atto o di illegittimità dello stesso, oltre che nei casi di irregolarità formale.
L’opposizione in esame, quindi, si distingue dalla precedente. In questo caso non si contesta l’esistenza del diritto, ma le modalità di realizzazione dell’esecuzione stessa.
Laddove venga in evidenza un’ipotesi di irregolarità del titolo esecutivo e del precetto, l’opposizione viene fatta valere con atto di citazione, entro il termine di venti giorni dalla notifica dei suddetti atti.
Mentre, le irregolarità degli altri atti dell’esecuzione e quelle della notificazione del titolo esecutivo o del precetto sono rilevabili mediante ricorso al Giudice dell’Esecuzione. Ivi il termine è sempre di 20 giorni, che decorre:
- dal primo atto di esecuzione, se riguardano la notificazione del titolo esecutivo o del precetto;
- dal giorno in cui è stato compiuto il diverso atto esecutivo che si intende opporre.
3. I rimedi del terzo
Anche ai terzi, eventualmente pregiudicato dall’esecuzione forzata sono garantiti dalla previsione di alcune azioni.
In particolare, l’art. 619 c.c. prevede che: “Il terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati può proporre opposizione con ricorso al giudice dell’esecuzione, prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni”.
La norma si riferisce ad una particolare tipologia di opposizione che ha ad oggetto i beni sottoposti a pignoramento da parte del creditore procedente, i quali siano di proprietà del terzo, non già del debitore.
Mentre, se la vendita è posta in essere, si ritiene che il legislatore abbia voluto garantire anche la stabilità dell’acquisto effettuato. Questo è fatto salvo anche in caso di inesistenza di un titolo idoneo, ove l’acquirente sia in buona fede.
In tal caso resterebbe ferma la possibilità per il debitore di far proprio il ricavato della vendita e di agire per il risarcimento dell’eventuale danno verso chi abbia dato seguito all’esecuzione forzata, nonostante il titolo fosse viziato.
4. Consulenza e assistenza legale per il tuo caso
Come avrai notato, la disciplina prevista in relazione alla figura della vendita forzata è decisamente complessa poiché occorre valutare molti elementi prima di predisporre la giusta strategia difensiva del proprio patrimonio.
Proprio per questo motivo, al fine di proteggere e difendere al meglio il tuo Patrimonio, ti consiglio di completare il Modulo di contatto che trovi in questa pagina.
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